Sabato scorso ha festeggiato il compleanno un superitaliano che meriterebbe d'essere meno "invisibile" tra i media generalisti
Sabato scorso 16 novembre Giampaolo Dallara ha compiuto ottantotto anni e queste righe vengono scritte proprio mentre lui sta spegnendo le candeline della torta, quindi gli auguri, oltre che sentiti, son puntuali e retroattivamente recapitabili. Ma, in fondo, il compleanno del patron lo uso, se mi permettete, oltre che per il piacere di mandargli un abbraccio a nome di As, anche come pretesto per andare a toccare un argomento non meno interessante, sensibile e illuminante. Anzi, prezioso, per capire come va il nostro mondo e quello più grosso, lo universo mondo che tutte le umane cose contiene e move.
Giampaolo Dallara, dopo Enzo Ferrari, è l’italiano che ha ottenuto e mantiene maggior successo nella storia dell’automobile da corsa, contando passato, presente e futuro.
Un Costruttore al top
A differenza del Drake, prima è divenuto ingegnere e poi imprenditore, non solo disegnando la Miura a un’età in cui adesso i neolaureati ancora prendono la paghetta dai genitori, salvo realizzare a 34 anni la sua prima F.1, la De Tomaso, per poi dare una mano a Frank Williams, prima di mettersi in proprio facendo decollare Walter Wolf in Can-Am, nel 1977. L’anno seminale in cui con la ex Talon divenuta Wolf-Dallara WD1 si lancia Gilles Villeneuve e anche la stagione in cui si vede sfrecciare la “Wolfina” di F.3, progenitrice delle tante Dallara che cambieranno per sempre la categoria. Presto accompagnate dalle monoposto parmensi che rivoluzioneranno, a turno, oltre alla Tre, la serie cadetta, con l’azienda pronta anche a colonizzare - da Cheever al top di Indy 1997 -, pure la IRL, ovvero IndyCar, Indy e anche l’Imsa, senza trascurare i proto vincenti in varie epoche, ossia Audi e Ferrari, con l’Hypercar che tanto deve alla factory italiana anche per la Cadillac e la Bmw.
Dallara è le corse!
Insomma, Dallara mica partecipa alle corse, no, di più: “è” le corse. Con una versatilità imprenditoriale telescopica, neorinascimentale-mercantile di lungimiranza fiamminga, capace di mandare in pensione, a fine ’900 e inizio terzo millennio, tutte le più gloriose factory anglosassoni di auto da corsa chiavi in mano, ovvero March, Lola, Ralt e Reynard, senza trascurare le Usa oriented Riley&Scott, G.Force e Swift, per tacere le altre, che ve n’è una lunga fila, di ex combattenti e reduci.
Dallara nei decenni, con serietà, razionalità, solidità e qualità ha letteralmente fatto pulizia etica e etnica nel mercato delle propedeutiche monoposto maggiori e della serie premier statunitense e perfino giapponese.
L'esempio Haas
E a tutt’oggi, in Formula Uno, la stessa ammirata Haas altro non è che un ircocervo metà Dallara e metà Ferrari, a fondere armoniosamente la filosofia e le eccellenze di entrambi i marchi, utilizzati come engineering, sulla scia ideale di quanto di buono la Casa dell’ingegnere seppe fare con la Bms di Beppe Lucchini, da fine Anni ’80 alla prima parte dei ’90.
Insomma, in un Paese normale, in una nazione che serenamente ha un inno, una bandiera e dei cittadini simbolo, uno come Giampaolo Dallara sarebbe o dovrebbe essere minimo minimo senatore a vita - fino a che ne avremo, dico -, avrebbe proposte da ministro o alla peggio - anzi, alla meglio, saltando a pie’ pari la politica d’ogni colore -, verrebbe intervistato da Tg e programmi d’approfondimento ogni dì, per spiegare e dispensare consigli, dopo tutti i miracoli che ha fatto, compreso quello di chiamare al suo fianco uno a 24 carati quale Andrea Pontremoli, in veste di Ad.
Ciò detto in ambito racing e alla voce monoposto commerciabili, Dallara è il made in Italy più vincente in tutta la storia dell’automobilismo e il più prestigioso e diffuso sul pianeta Terra.
Ma, fateci caso, in Tv o altrove Giampaolo Dallara non c’è mai. Né la sera, in prime time, né la mattina presto, quando di solito chiamano quelli più intelligenti, che però è evidentemente bene mostrare a orari in cui ascoltandoli non si sente coglione nessuno di noi.
No, tra gli imprenditori e i racer più vincenti e di successo, Giampaolo Dallara è il più invisibile nella storia d’Italia. E sapete perché? Okay, da una parte lui è talmente brava persona e galantuomo misurato, che ’sta cosa d’essere invisibile sotto sotto gli leva un bel peso e gli dà serenità. Lui, in fondo, non baratterebbe per nulla al mondo la presenza a, che so, “Ballando con le stelle”, per un pomeriggio coi nipoti, un tressette al bar con gli amici o il gusto di spararsi una partita allo stadio della sua squadra preferita. Cioè, l’invisibilità di Giampaolo Dallara non è un problema suo, ma spicca come indice rivelatore di un problema etico-culturale tutto nostro.
Ch ingiustizia...
Perché il nostro sistema di vetrine o veline informative e formative nazionalpopolari ha tempo per talent show, Tg delle digrazie, marchettoni politici di tutti i colori, giochini cretini e special su mostri, ladroni o smutandate, ma di default non presenta quasi mai spazi virtuosi o tribune meritocratiche per personaggi come Giampaolo Dallara o per tutti i Giampaolo Dallara del nostro mondo e/o di altri comparti.
Peggio ancora, da noi delle corse, se ci sono italiani da portare e vantare come guru, in genere ci si rivolge a ben altro vivaio, andando a pescare non raramente tra chi, pur facendo tanto chic, non passerebbe l’esame di coscienza neanche copiando.
Per tutto questo, vedete, ogni anno - e sono tanti, tantissimi - che applaudo Giampaolo Dallara premiato alla Festa dei nostri Caschi d’Oro alla voce “Italia che vince”, godo come il riccio non solo sul piano sportivo, ma anche su quello morale.
Perché dietro quella sua genialità imprenditoriale abilmente nascosta dalle fattezze somatiche del buon padre e nonno di famiglia, si nasconde un superitaliano meraviglioso e invisibile, che invece meriterebbe, a ogni canto di gallo, boatos, cori di giubilo, applausi e canti benauguranti, anche con la pura scusa del compleanno, certo. Ma diretti per l’occasione a risarcire e restaurare l’Italia tutta dall’ingiustizia compiuta da chi lo ignora, Giampaolo, perché in ben altre faccende e faccendieri affaccendato.
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