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Legends 9 AS 31 - La Porche 908/3 e Brian Redman

Legends 9 AS 31 - La Porche 908/3 e Brian Redman

12 mar 2013



Non ce n’è un’altra uguale, di storie così. La Porsche 908-3 era tutta nuova ma le dettero il nome di una macchina che esisteva già, aggiungendo solo un trattino e il numero dantescamente perfetto. Tanto doveva durare poco. Lieve come una farfalla diurna destinata a morir di sera. Nata per vincere due corse e niente più, sui circuiti più antichi, sinuosi, belli e perfidi del creato: Nordschleife e Targa Florio. Essenziale, spartana, corta. Plastica su tubi d’alluminio. Neanche cinque quintali di peso, poco più dell’uomo più obeso del mondo, ma con un motore 3000 al posto del cuore e 360 cavalli a disegnar ghirighori e arabeschi facili, su per la salita verso Caltavuturo o bucando la foresta di Arenberg. Il corpo gliel’aveva donato la 909, ballerina destinata ai laghi dei cigni alpestri, le cronoscalate più prestigiose, su cime lontane. La chiamavano “Bicicletta”, la 908-3, perché andava dove volevi. Come una Graziella. L’anima, però, no, era tutta sua. Spirito inquieto avvinto a una massa critica da bomba instabile. Vinse subito. Alla Targa Florio del 1970, con Siffert e Redman. Segnando il record assoluto con Kinnunen, che sarebbe rimasto per sempre, come una bandiera piantata sulla luna. E poi, ventotto giorni più tardi, trionfò al Nürburgring, con Elford e Ahrens. L’anno dopo tornò alla Targa Florio e fu l’apocalisse. Esplose deflagrando alla Curva del Paralitico - Cristo, che nome rabbrividente -, nelle mani di Redman che scottato continuò ad amarla, perché con le femmine fatali è così che funziona. Poi con Elford e Larrousse concesse il bis trionfale al Nürburgring. La sublimazione esaustiva di un organismo caduco ormai inutile perché già decisivo. Filosoficamente morente per il raggiungimento dello scopo. No, troppo facile. Fu allora che la 908-3 tirò fuori l’anima. La voglia tutta sua di non dire basta, di correre e vivere lontana dalla madre Porsche, di cambiare trasmutando in qualcosa di diverso. Ne avevano costruite tredici per vincere due mondiali e così andò. Ma alla fine del biennio ruggente 1970-1971, la schiera delle 908-3 superstiti finì in mano ai privati, punto. Tipo l’Escuderia Montjuich o Joest Racing. Gente che la lasciò libera d’avere un’esistenza nuova, ovunque e comunque. La danzatrice candida e sinuosa - nata d’appoggio alla 917K leggiadra, cattiva e ignorante come una lottatrice perizomata sul fango - andò anche alla 24 Ore di Le Mans, che con l’infinito rettilineo dell’Hunaudiérés la faceva sentire fuori posto tipo Carla Fracci che balla l’Alligalli alla Sagra della Robiola. La 908-3 non si scompose. Ricorse a trapianti e espianti, perché no, si rifece labbra, fianchi e connotati, mise il turbo, cambiando l’Otto cilindri aspirato col più canonico Sei turbo - porschisticamente parlando -, e in un pomeriggio glorioso, guidata da Reinhold Joest-Mario Casoni e Juergen Barth, giunse quarta assoluta alla Sarthe, nel 1975. Sì, la Fracci aveva entusiasmato perfino quelli della proloco più prestigiosa dell’endurance. Sembrava un tramonto poetico, invece manco per niente. La 908-3 la vedevi vincere la 9 Ore di Kyalami, nel pied a terre nobile dell’Africa Nera, piuttosto che convincere in mille corse Interserie, adorata dai privati. E poi richiamata nel Mondiale marche, alla fine dell’era Silhouette, quando la 908-3 prese il suffisso 4 e il biturbo per sbancare a Digione e Brands Hatch nel 1979, ancora una volta ricostruita, potenziata e guidata dall’uomo che più di tutti la carezzò: Reinhold Joest, che col telaio numero 008 ballò nove estati. Era solo l’overture dell’ultimo grande hurrà, perché nella 1000 Km del Nürburgring 1980, a dieci anni dalla prima vittoria iridata, la creatura colse un altro strepitoso trionfo con Stommelen e Barth. Ne giravano due di 908-3, quell’anno. Siggi Brunn aveva tirato fuori dal museo una 908-3 mezza clonata, nei nostalgici colori celeste e arancio della mitica Targa 1970 e sui tracciati del mondiale Marche ormai in declino andava ancora da far spavento, a strizzare l’occhio all’altra, l’inaffondabile versione 4 di Joest. Erano così umane, quelle macchine. Avevano un’espressione. La bocca anteriore dei radiatori disegnava un sorriso aperto, nel vecchio cetaceo di Brunn e quella modificata di Joest sembrava più contratta e cattiva. Tenacemente coriacea. Al volante di una di queste belve, Herbie Muller trovò la morte proprio al Nürburgring, nella 1000 Km del 1981. E le volute di fumo che sprigionavano da quel rottame furono il drammatico segnale che un’epoca si stava chiudendo. L’avvento del Gruppo C non bastò però a fiaccare la 908-3, ormai confinata al campionato tedesco Sport e all’Interserie. Il 12 settembre 1982, a dodici anni e mezzo dal debutto, il telaio 008 vinse a Siegerland, nelle mani di Volkert Merl. L’anno dopo l’addio, a Most, in Cecoslovacchia, nei colori del dentista Siggi Brunn e con Jochen Dauer alla guida. Alla fine della gara e di tutto, su quel muso umano c’era un’espressione orgogliosamente un po’ così. Come se cantasse “I did it my way”. Sì, aveva vissuto a modo suo. Ciao, 908-3.





Piuma da 500 chili poi salvata dal turbo
Nel 1970-1971 è la leggerezza l'arma vincente Poi nelle mani dei privati il turbo la rivitalizzò



Si fa presto a dire 908-3, ma non è facile sintetizzare la sua lunga storia tecnica in poche righe. La divisione netta è tra la versione ufficiale del 1970 e 1971, la vera"Bicicletta", e la lenta e lunghissima evoluzione che dal 1972 in poi fa cambiare la vettura potenziandola e rinforzandola telaisticamente. L'ultima versione biturbo, siglata autonomamente da Joest 908-4, resta competitiva fino alla fine della carriera.

Telaio: tubolare in alluminio
Motore: boxer aspirato 8 cilindri 3 litri
Peso: poco meno di 500 kg
Posizione: centrale longitudinale
Distribuzione: Doppio albero a camme in testa, 2 valvole per cil.
Alimentazione: Iniezione meccanica Bosch
Cilindrata: 2997 cc
Alesaggio: 85 mm
Corsa: 66 mm
Compressione: 10.4:1
Potenza: 360 cavalli a 8400 giri
Carrozzeria: in plastica
Sospensioni: A triangoli sovrapposti con molleammortizzatori, barre antirollio
Carreggiata: 2300 mm
Lunghezza: 3540 mm
Larghezza: 1950 mm
Altezza: 675 mm
Cambio: 5 velocità
Velocità massima: 276.8 km/h

Le 908/3 Turbo dal 1975 al 1981 Sono vetture vendute ai privati e modificate con l’adozione del turbocompressore per il motore 6 cilindri 2140 e 2400 cc, con oltre 500 cavalli di potenza







La competitività della 908-3 ha sfidato ere tecniche e decenni
Oltre a vincere la 1000 Km del Nürburgring con l'aspirato e il turbo, la 908-3 ha corso nell'Interserie fino alla prima metà degli Anni'80



La 908-3 è stata costruita in 13 esemplari, i primi due dei quali sono stati utilizzati come vetture laboratorio. Il telaio contrassegnato dal numero 011 è stato demolito in un crash al Nürburgring 1970, mentre lo 010 è stato distrutto da Redman alla Targa Florio 1971, gara che l'anno prima aveva visto immolarsi anche la scocca contrassegnata 007. Tuttavia alla fine degli Anni '70 il collezionista e gentleman driver tedesco Siggi Brunn ha ottenuto dalla Porsche il permesso di "clonare" un nuovo telaio che è stato ribattezzato 011A e schierato con buoni risultati nel mondiale Marche 1980. Più complessa la storia di un'altra 908-3 di Brunn, la 013, fatta correre da Wyer nel 1971, venduta alla Escuderia Montjuich nel 1972, quindi passata al Porsche Club Romand nel 1973, poi ancora alla Montjuich per approdare alla Escuderia Tibibado. Infine, finita nella mani dello stesso Siggi Brunn, la vettura, già dotata del turbo nel 1975, è stata convertita agli ultimi aggiornamenti e fatta correre nel mondiale Marche 1981. Purtroppo è proprio alla guida della 013 che Herbert Muller ha trovato la morte in un tragico rogo a seguito di un incidente nel corso della 1000 Km del Nürburgring edizione 1981. L'addio della 908-3 è stato nel 1983, nel campionato Interserie. Il più glorioso dei telai resta comunque lo 008 di Reinhold Joest col quale il pilota e team manager tedesco ha corso personalmente dal 1972 al 1980, ricostruendolo nel 1975 grazie anche all'adozione del motore turbo e ribattezzandolo ufficiosamente 908-4. Questa vettura si è dimostrata vincente nel mondiale fino al 1980, trionfando al Nürburgring a dieci anni esatti dal debutto agonistico, dopo che l'anno prima aveva vinto anche a Digione e Brands Hatch.





La 908-3 nell'esperienza di uno dei suoi piloti più prestigiosi
Brian Redman con la "Bicicletta" alla Targa Florio nel 1970 ha vinto con Jo Siffert e l'anno dopo ha rischiato di finire carbonizzato...



Grande interprete della 908-3 è Brian Redman, 75 anni, eroe dell’endurance nei “Seventies”. Sentiamolo: «La 908-3 è una vettura tutta diversa dalla 908 e dalla 908-2: di quest’ultima aveva solo il motore e pochissime componenti. In realtà derivava dalla 909 costruita per le salite, si presentava molto leggera e impressionante da guidare, perché il pilota era stato spostato in avanti per motivi di bilanciamento e i piedi si trovavano oltre l’assale delle ruote anteriori». Il tuo giudizio sulla 908-3? «Eccezionalmente maneggevole, con un ottimo rapporto peso-potenza, vicino agli stessi valori poi espressi dalla 962. Fantastica da guidare e, a parte le paure che mi ha regalato, l’ho amata e ancora la amo». Per te la “Bicicletta” è sinonimo di Targa Florio: «Nel ’70 feci tre giri con la 908-3, in coppia con Jo Siffert. Nel primo stint ero dietro a Vaccarella, il re delle Madonie. Provai tre volte a passarlo, ma senza successo. Così decisi di aspettare. Rientrammo insieme ai box di Cerda e il mio compagno di squadra Siffert riuscì a ripartire davanti alla Ferrari, andando a vincere. L’anno dopo proprio non pensavo di tornare. Alla fine del ’70 mi ero ritirato, perché troppi miei amici erano morti in corsa. Così decisi di stabilirmi a Johannesburg, ma dopo quattro mesi mi stufai di quella vita troppo tranquilla e tornai a correre. Così John Wyer mi chiamò per la Targa Florio al posto di Derek Bell, di nuovo sulla 908-3. In prova Siffert picchiò la vettura, che fu subito riparata. Per la gara, Wyer mi chiese di prendere la partenza, perché non voleva che Jo facesse il turno assieme al suo acerrimo rivale Rodriguez. Così presi la guida io e realizzai che la 908-3, pur riparata, aveva grossi problemi di maneggevolezza. Al km 35 arrivai alla Curva del Paralitico, dove nel ’69 aveva sbattuto il mio ex compagno di squadra Richard Attwood. Era impossibile memorizzare tutte le pieghe della Targa, però quella la conoscevo bene e feci molta attenzione. Provai a sterzare, ma non accadde nulla. Picchiai violentemente contro un muro. Prima del via un ingegnere della Porsche si era raccomandato dicendo: “Redman, dovesse andare storto qualcosa, si ricordi di non sbattere dal lato destro della 908- 3, perché è quello del serbatoio”. In una frazione di secondo realizzai di aver sbattuto a destra e subito dopo sentii “Boom!”. Con la forza della disperazione uscii dalla 908- 3, che mi aveva fatto un brutto scherzo. La mia tuta era in fiamme e alcuni spettatori mi aiutarono a spegnere il fuoco. Sentivo che donne e bambini tutt’attorno urlavano, spaventati dalla scena. Poco dopo cominciavo a sentire il dolore delle ustioni, ci vedevo pochissimo e alcune persone mi sventolavano dei giornali davanti al volto per portarmi sollievo dalle ustioni. L’elicottero arrivò in un quarto d’ora. Ricoverato all’ospedale di Termini Imerese, fui lasciato per ore su di un letto senza che nessuno facesse qualcosa per me. Alle nove della sera arrivarono Pedro Rodriguez e Richard Attwood che mi portarono via di peso, dicendo che l’ospedale era sporco e pieno di gente che sputava e fumava: sembrava l’inferno. Così fui rimpatriato a Manchester con il jet privato di Wyer. Lì fui curato. Per giorni rimasi senza vista perché ero ustionato a volto, mani, collo e schiena. Randle Champion, uno specialista che aveva fatto pratica sui piloti d’aereo ustionati nella seconda guerra mondiale, mi sottopose a un intervento di plastica facciale e rimise le cose a posto. Fu fantastico tornare alla normalità». – Nell’86 hai vinto anche l’edizione storica della Targa, sempre con la 908- 3. «È stata una gara vera e propria. Pensa quanto sono precisi i tedeschi: ho ritrovato un mio vecchio meccanico che s’è messo a cercare nei box in rovina un chiodo che aveva piantato nel 1970. E l’ha trovato. Che bel posto e che belle giornate ho passato lì... Oh, sono molto patriottici i siciliani. Subito dopo la mia vittoria del 1970, erano talmente dispiaciuti per Vaccarella e la Ferrari, che tutt'attorno regnava un silenzio da funerale».

 

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