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Legends 10 AS 31 - Ferrari 312 B/B2/B3 e Jacky Ickx

Legends 10 AS 31 - Ferrari 312 B/B2/B3 e Jacky Ickx

12 mar 2013



C’è una storia che giace conficcata nella roccia del tempo come un diamante nascosto che resterà grezzo per sempre. Narra l’incontro di due entità tra le più estreme mai viste in F.1: un ragazzo speciale e un blocco di metallo ricamato. Lui è Jacky Ickx, belga, venticinquenne nel 1970. L’altro è un motore, il Ferrari 12 cilindri Piatto. Sembra minuto, Jacky. Capelli mossi, bocca larga e labbra sottili a onda, a far da base a occhi acquei e trasognati. La fragilità fisica apparente è guaina d’un carattere d’acciaio e un talento sopraffino. Che esplodono sui circuiti più terrificanti del creato, Nürburgring e Spa, o nelle giornate di pioggia, come a Rouen 1968, il giorno della sua prima vittoria in F.1, mentre gli altri perdono o muoiono. È quasi ricco, velocissimo e costa il giusto. A Enzo Ferrari piace talmente tanto, che, dopo averlo preso, prima lo lascia e poi lo rivuole. Perché ad attenderlo c’è l’ordigno più prezioso e deflagrante mai visto in F.1. Il motore con le bancate a V di 180 gradi progettato da Mauro Forghieri. L’arma totale. L’esaltazione filosofica sublime del centro di gravità basso, pietra filosofale che ottimizza e trasforma in oro la trazione disponibile sugli pneumatici, in un maelstrom di potenza accompagnata a una sinfonia pluricindrica che uccide i timpani, resuscitandoli. Il 1970 segna un momento epocale per la Casa di Maranello. Non vince più un titolo in F.1 dal 1964, sta accogliendo e subendo l’ingresso della Fiat e in F.1 è stufa del V12 con le bancate a 60 gradi, gioiello antico che rende ormai come la bigiotteria messa in vendita dalla Cosworth. No, ci vogliono i cilindri contrapposti e tutto cambierà, giura Forghieri. Con le bielle di ogni bancata sullo stesso perno, quindi i pistoni girano nella medesima direzione, mentre nel Boxer puro, tipo il Porsche, ruotano uno contro l’altro. Per questo, secondo “Furia”, il suo è un 12 cilindri piatto, non proprio un Boxer puro, punto. Nasce 2 litri, montato su una Sport, la Dino 212, e si scioglie nell’Euromontagna 1969. Facendo tesoro dell’esperienza viene alla luce la versione 3 litri per la F.1, collaudata da Amon a Modena, col neozelandese conscio che la sua prossima partenza in direzione March per fare posto a Ickx sarà l’errore più grosso della sua vita. 



Perché il Dodici Piatto vivrà alla grande per undici lunghi anni, più di qualsiasi motore Ferrari. È vero, nell’incubatrice langue soffrendo di “surging”, con l’olio di lubrificazione che invece di schizzare via dall’albero a gomiti s’incolla al manovellismo, creando attrito e ostacolando la rotazione delle parti in movimento. Allora Forghieri, mezzo matto e tutto genio, indossa impermiabile e mascherina di plastica, buttandosi sotto il motore semiaperto, mentre gira a mille al banco, per capire cosa diavolo c’è che non va, in un’epoca in cui non esistono sonde o sistemi spettrografici per verificare da fuori cosa succede dentro un propulsore. La mela di Newton, in confronto, è una pensata da Bertoldo. Svelato l’arcano Forghieri riduce le perdite per attrito, realizzando ogni pezzettino interno del motore con superficie a depressione per non trattenere l’olio. Lo stesso albero a gomiti viene sagomato affinché sputi lubrificante. È l’uovo di Colombo. Così il Dodici a cilindri orizzontali ruota a 11.600 giri, erogando 470 cavalli, una quarantina in più del vecchio V12 e dell’odiato Cosworth Dfv V8. Il tempo di collaudare il tutto, shakerato nella nuova Ferrari 312 B, e dopo quattro gare il package va a punti con Giunti a Spa, quarto. Poi tocca a Ickx. In Olanda va a podio, quindi, il 18 giugno 1970, il primo annichilente trionfo, in Austria: una doppietta con Regazzoni Gianclaudio secondo, in un mondiale dominato dalla esplosiva Lotus 72 di Jochen Rindt. Ma a Monza la storia cambia. Rindt in prova esce alla Parabolica con la sua Lotus impazzita, si schianta e riporta ferite mortali. La gara la vince Regazzoni, che da allora diventa Clay, in un tripudio di folla. E per la prima volta la sfida iridata diventa uno strano confronto tra Ickx, il Dodici Piatto e Rindt, un campione che non c’è più. Jacky trionfa in Canada e Usa, ma intanto ha dato addio alle speranze iridate con un 4° posto al Glen, causato da un pit-stop imprevisto, per una perdita di carburante. Una leggenda metropolitana mai confermata vuole che la Ferrari abbia voluto perdere quel titolo, degno solo del campione che per vincerlo aveva perso la vita. Ci saranno altre occasioni. È quello che pensano tutti. E quando nella vita dici così, così non è mai. Perché Jackie una chance reale non l’avrà mai più. Tre anni buttati via. La 312 B2 è una macchina sbagliata e la B3 si rivelerà un laboratorio infinito, con Forghieri messo nel freezer che si consola concependo la “Spazzaneve” mai usata, crogiuolo d’idee che verranno buone poi. Ickx e il Dodici Piatto rispiegano al mondo cosa voglia dire dominare per manifesta superiorità a Zandvoort nel 1971 e al Nurburgring l’anno dopo, quando la pioggia o la pista infernale tolgono importanza al telaio esaltando il ragazzo dalle labbra a onda e quel blocco di metallo ricamato e urlante. Poi, dopo Monza 1973, l’addio. La Ferrari prende Lauda e Regazzoni, Ickx firma per la Lotus e si compera una Rolls Royce Silver Shadow, giusto per dimenticare quello che avrebbe potuto essere e invece non fu. E che sarà, solo in mano ad altri, col Dodici Piatto che disputerà in tutto 155 Gran Premi, dal 1970 al 1980, con 37 vittorie e 3 titoli mondiali piloti (due Lauda, uno Scheckter). L’unica corale consolazione per Jacky resterà il Mondiale marche 1972 vinto dalla Ferrari 312 Pb, spinta dal medesimo propulsore. E adesso punge il cuore a veder brillare come un diamante la storia di un ragazzo e del suo ordigno sulla Nordschleife, incastonati in una macchina rossa che dopo poche curve saluta tutti e se ne va. Chi deve sapere, lo sa: se i Gran Premi si fossero corsi tutti lì, nessuno li avrebbe mai più ripresi, quei due. Il resto, in fondo, cosa importa.

Quasi 500 cavalli non bastarono!
Fin dalle prime apparizioni il Boxer raggiunse grandi potenze. Ma il titolo non arrivò con Ickx



Come scheda tecnica, forniamo di seguito quella relativa al motore Boxer accoppiato alla Ferrari 312 B2, forse la più sfortunata tra le monoposto che hanno accolto il propulsore, ma non per questo meno amata delle altre.

Telaio: Semi monoscocca
Passo: 2,380 m Carreggiata anteriore: 1,560 m
Carreggiata posteriore: 1,570 m
Motore: posteriore boxer 12 cilindri con 48 valvole comandate da 4 alberi in testa, cilindrata 2991,08 cc (1971) e 2991,80 (1971/1972), aspirato a iniezione, potenza circa 470 CV a 12600 giri/minuto e circa 480 CV a 12500 giri/ minuto (1971/1972).
Cambio: Ferrari a 5 marce
Trazione: posteriore










Dal 1970 al 1973 furono costruite 12 monoposto ferrari F.1
Nel faticoso cammino che portò all'era Lauda, ci fu anche la sfortunata "Spazzaneve" che non venne mai impiegata in gara

Quella delle monoposto siglate B come Boxer per la Ferrari è un’epopea di faticosa rinascita. Dal 1970 al 1973, vennero realizzate 12 monoposto. La 312 B di Mauro Forghieri montava il motore Tipo 001, un 12 cilindri “Boxer” da 3000 cc. La 312 B2 era un’evoluzione nell’aerodinamica e prevedeva l’ala posteriore dietro l’asse ruote, mentre il motore, potenziato esprimeva 470 Cv. foto COLOMBO, SUTTON-IMAGES.COM Legends La Ferrari 312 B3 conobbe invece una doppia vita. La prima relativa a un progetto di Forghieri (tecnico messo in stand-by) che non scese in gara: la “Spazzaneve”. La “vera” Ferrari per il 1973 si chiama anch’essa B3 ed è figlia di Giacomo Caliri e Franco Rocchi, gestiti da Stefano Colombo, ex dalla Fiat. Il Boxer era montato sulla prima monoscocca disegnata a Maranello e realizzata in Inghilterra da Thompson. Nel dettaglio, la 312B3/010, portata all’esordio da Ickx in Spagna nel 1973 sarà utilizzata per 7 Gp, e trasformata nella 312 B3-74 per il 1974 nelle mani di Lauda. La 312B3/011 fu sgrossata da Merzario a Monaco 1973, schierata in 4 Gp, quindi convertita nella 312 B3-74 di Regazzoni l’anno dopo: con essa Clay sfiorò il mondiale. Infine, la 312B3/012 fu fatta debuttare da Merzario in Francia nel 1973, utilizzata in 4 Gp e riproposta come 312 B3-74 nel 1974, anch’essa per Lauda. Il ritorno di Forghieri permise la realizzazione di decisive modifiche sulla “nuova” B3, che dal 1974 segnò la riscossa Ferrari e l’apoteosi del Boxer, ma questa è un’altra storia.















Jacky Ickx ha sempre avuto parole di apprezzamento per il boxer
Fosse stato per il 12 cilindri Piatto, Jacky avrebbe creduto nella Ferrari fino in fondo, evitando d'andarsene alla vigilia della rinascita



Il rapporto tra Jacky Ickx e la Ferrari sembra una storia d’amore. Si conoscono e s’innamorano nel 1968 con tanto di fidanzamento ferreo e una vittoria figlia della pioggia di Rouen, al Gp di Francia. Quindi la separazione per il 1969 e il ricongiungimento nel 1970, all’inizio della nuova era del Boxer. A sentirlo adesso, Jacky non mette in alcun modo in discussione il motore: «Era tutta una questione di monoposto a fare la differenza. La 312 B, ossia la prima era davvero ottima, ma la B2 poteva essere giudicata in modo così negativo che al Gp Usa al Watkins Glen chiesi di salire sulla vecchia macchina che era stata portata lì solo come muletto. In quell’epoca la Ferrari era così: un anno avevi una macchina fantastica e la stagione dopo quella nuova proprio non voleva saperne di andare. E non era facile farsi capire, perché ciascun tecnico ha il suo ego e nessuno ammette facilmente di aver sbagliato. Poi a quel tempo anch’io avevo il mio bel carattere...». In tutto, per il pilota soprannominato "Pierino la Peste", fanno 46 gare: con 3 Gp vinti nel 1970 (Austria, Canada e Messico) e un titolo mondiale sfiorato: «Momento, Rindt era morto a Monza. Quando ci siamo resi conto che non saremmo riusciti a fare più punti di lui, tirammo un sospiro di sollievo. Sarebbe stato imbarazzante togliergli quel mondiale. Penso che se c’è un Dio e costui ha fatto sì che Jochen vincesse quel mondiale, ebbene, quello può essere definito un Dio giusto». Nel 1971 il Boxer stava evolvendo bene, ma... «Era un problema di monoposto, non di motore. Ero talmente sazio di quella B2 che mi faceva sognare la vecchia B». Anche se nel 1972 il motore dopo la prima parte della stagione andò in crisi d’affidabilità e tutto sommato, dopo l’ottimo inizio del mondiale, da incorniciare c’è solo la vittoria al Gp d’Olanda: «Sì e tra l’altro abbiamo corso due annate proprio con la stessa B2, seppur modificata, ossia la monoposto che mi piaceva meno». Non è che la prima B3 abbia risolto la situazione, visto che è la sola Ferrari di F.1 con la quale Jacky Ickx non ha vinto gare iridate. Tant’è che dopo il Gp di Monza 1973 le dichiarazioni del pilota belga erano inequivocabili: «Il motivo essenziale per cui lascio la Ferrari è che con le attuali monoposto non è possibile vincere delle corse». La prima scappatella al Gp di Germania al Nürburgring - quando Jackie si fece assegnare una McLaren giungendo al terzo posto -, divenne ben presto, all’indomani del Gp d’Italia una vera e propria seperazione consensuale tra lui e la Rossa. Ecco il problema della B3, spiegato da lui all’indomani del divorzio: «È una vettura molto difficoltosa da guidare, imprevedibile e non sai mai cosa voglia fare. Il peso può non essere un problema in prova, perché basta girare a serbatoi semivuoti per fare un buon tempo. In gara non posso dire altrettanto, mentre ricordo che con la B in Spagna nel 1971 a inizio corsa avevo perso 10” col pieno dalla Tyrrell di Stewart, poi riguadagnati nel finale. Dopo aver guidato una McLaren al ‘Ring, ora so che il problema è nella maneggevolezza. Non ho mai avuto una buona relazione con l’ingegner Colombo, abbiamo fatto molti test ma in Ferrari non hanno seguito i miei suggerimenti». Eppure, malgrado la delusione che si prova alla fine di una relazione così importante, Jacky al momento dell’addio ebbe parole molto buone per due diversi soggetti: Enzo Ferrari e il motore Boxer: «Non ho né mai avrò nessun disaccordo di carattere personale col Commendator Ferrari. È stato talmente comprensivo da permettermi anche di disputare una gara con la McLaren, tanto era lo spirito di famiglia, più che di squadra, che ci caratterizzava». E quanto al motorone della Rossa: «Proprio disputando un Gp con la McLaren M23, sono tornato a guidare un Cosworth per la prima volta dopo quattro anni e da quel punto di vista, pur notando i miglioramenti del Dfv, ho verificato che ha sì più coppia, ma un range di utilizzo molto meno vasto. Niente resta facile e piacevole da utilizzare come il Boxer, perché ha una fascia di potenza assai più ampia e molto, molto più gestibile dall’alto verso il basso. Non è solo questione di forza bruta ma anche di migliori possibilità di sfruttarla ». Tornando al Jacky di oggi, la sua chiusa è illuminante: «Non mi ha mai sorpreso che Forghieri tornando al timone, dal 1974 in poi ha saputo capitalizzare quello che c’era di buono e correggere ciò che andava corretto. La sua era una creatura vincente. Nel frattempo io avevo semplicemente preso un’altra strada. La vita è questa».

 

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