C’era una volta in America. Sì, perché la Gt40 rassomiglia al catalizzatore d’una saga cinematografica di famiglia e a una storia corale fatta di uomini e sogni. Il primo, quello di Henry Ford II, di comperarsi la Ferrari per renderla propaggine agonistica del suo impero, facendo meglio splendere l’immagine di tutte le sue creature. Così comincia il corteggiamento col Drake, quasi si trasforma in flirt e quindi la secca rottura. Okay, pazienza, su stimolo del manager Iacocca si decide d’andare avanti da soli, perché vale la pena correre e vincere per avere pubblicità gratis ogni maledetta domenica sui media di tutto un mondo che McLuhan dipinge come Villaggio Globale. L’Inghilterra sarà la testa di ponte dell’offensiva. Il comandante in capo è John Wyer, già geniale stratega dell’Aston Martin, che prende le stellette finendo preferito a Carroll Shelby, artefice del miracolo Ac Cobra. I prototipi dell’Arma Totale li realizzerà la Lola di Eric Broadley, con Len Bailey in aiuto, dando vita alla Ford Gt. La cifra “40” deriva dall’altezza in pollici della vettura misurata al parabrezza (1,02 m), il motore iniziale è un V8 4,2 litri derivato dalla serie. Si comincia alla 1000 Km del Nurburgring e alla 24 Ore di Le Mans 1964, ma la vettura è un disastro. Col cambio fragile e la spaventosa tendenza a diventare portante, la nuova Ford fa paura solo a chi la guida. Il management statunitense è furibondo, impaziente e interventista. Si decide per il cambio d’allenatore. Il nuovo trainer diventa Carroll Shelby, che cambia filosofia d’approccio e modulo di gioco: vettura riprogettata e motore potenziato intanto a 4,7 litri, in attesa di una cavalleria ancor più terrificante, più un nugolo di piloti Usa. I migliori disponibili. Per tester Bruce McLaren e, soprattutto, il quasi sconosciuto ma fantastico Ken Miles, britannico trapiantato negli Stati Uniti. Sarà lui, in centinaia di ore di test, la mente e il cuore in pista della grande rivincita. La Gt40 “stars and stripes” trionfa a Daytona 1965 con Miles e Ruby e si prepara a un 1966 da antologia. Stavolta l’attacco lo sferra la Gt40 MkII, con motore portato a 7 litri, telaio e aerodinamica riprogettati, cambio ridisegnato i freni nuovi: il tutto, finalmente affidabile. Miles, classe 1918, ha 48 anni e in coppia col 42enne Ruby, specialista di Indy, fa l’en-plein alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring. Sembra lui il grande favorito a Le Mans ’66, anche se in Ford guardano con fastidio quel vecchietto che vincendo a raffica si sta facendo più pubblicità della Gt40. Fatto sta che alla Sarthe per la prima volta la Ferrari è perdente e a giocarsi la corsa sono due Gt40 MkII, quella di Miles-Hulme e di McLaren-Amon, in uno stranissimo finale di gara che viene misteriosamente neutralizzato fino alla bandiera a scacchi da ordini interni in casa Ford. Morale, il sicuro trionfo Ford deflagra a livello mondiale ma il possibile successo sognato da Miles, in cerca della tripletta nelle classiche, viene per certi versi derubato: la vettura vincente sarà quella partita più indietro in griglia, perché di fatto in 24 ore ha percorso maggior distanza. Così la prima grande vittoria Ford a Le Mans tocca a McLaren e Amon, mentre Miles sussurra a mezza bocca: «Mi hanno fottuto». Poco dopo morirà in un crash durante un test privato. Intanto, preso dall’entusiasmo per aver finalmente battuto la Ferrari nella classicissima - e pure in campionato -, Henry Ford II si è lasciato scappare un minaccioso «Torneremo». E per vincere anche nel 1967 la Casa americana è costretta a uno sforzo economico immenso, sviluppando l’avveniristico prototipo J-Car, che della Gt40 non ha più nulla, e che si trasformerà nella MkIV sempre col V8 7 litri. L’anno dopo l’armada Ford, già al top a Sebring, fa il bis alla Sarthe con Gurney-Foyt. La vita della Gt40 sembra finita ma è all’inizio di una nuova alba. Nel 1968 un cambio di regolamento limita le Sport a 5,0 litri di cilindrata con almeno 50 esemplari esemplari costruiti. Tornano buone le vecchie Mk I portate a 4942 cm³, con 415 cavalli di potenza. Per John Wyer, “allenatore” silurato nel 1965, è l’occasione della rivincita personale. Sempre contrario alla grandeur americana e ai motoroni stile Nascar di Shelby, si mette in società con John Willment acquista la factory di Slough e ottiene la licenza per C’era una volta in America. Sì, perché la Gt40 rassomiglia al catalizzatore d’una saga cinematografica di famiglia e a una storia corale fatta di uomini e sogni. Il primo, quello di Henry Ford II, di comperarsi la Ferrari per renderla propaggine agonistica del suo impero, facendo meglio splendere l’immagine di tutte le sue creature. Così comincia il corteggiamento col Drake, quasi si trasforma in flirt e quindi la secca rottura. Okay, pazienza, su stimolo del manager Iacocca si decide d’andare avanti da soli, perché vale la pena correre e vincere per avere pubblicità gratis ogni maledetta domenica sui media di tutto un mondo che McLuhan dipinge come Villaggio Globale. L’Inghilterra sarà la testa di ponte dell’offensiva. Il comandante in capo è John Wyer, già geniale stratega dell’Aston Martin, che prende le stellette finendo preferito a Carroll Shelby, artefice del miracolo Ac Cobra. I prototipi dell’Arma Totale li realizzerà la Lola di Eric Broadley, con Len Bailey in aiuto, dando vita alla Ford Gt. La cifra “40” deriva dall’altezza in pollici della vettura misurata al parabrezza (1,02 m), il motore iniziale è un V8 4,2 litri derivato dalla serie. Si comincia alla 1000 Km del Nurburgring e alla 24 Ore di Le Mans 1964, ma la vettura è un disastro. Col cambio fragile e la spaventosa tendenza a diventare portante, la nuova Ford fa paura solo a chi la guida. Il management statunitense è furibondo, impaziente e interventista. Si decide per il cambio d’allenatore. Il nuovo trainer diventa Carroll Shelby, che cambia filosofia d’approccio e modulo di gioco: vettura riprogettata e motore potenziato intanto a 4,7 litri, in attesa di una cavalleria ancor più terrificante, più un nugolo di piloti Usa. I migliori disponibili. Per tester Bruce McLaren e, soprattutto, il quasi sconosciuto ma fantastico Ken Miles, britannico trapiantato negli Stati Uniti. Sarà lui, in centinaia di ore di test, la mente e il cuore in pista della grande rivincita. La Gt40 “stars and stripes” trionfa a Daytona 1965 con Miles e Ruby e si prepara a un 1966 da antologia. Stavolta l’attacco lo sferra la Gt40 MkII, con motore portato a 7 litri, telaio e aerodinamica riprogettati, cambio ridisegnato Legends gare, campioni e macchine tra poesia e mito chris amon 15a puntata di Mario Donnini la gt40 nasce come arma totale nella sfida contro la ferrari america all'attacco Dal 1964, con le sue evoluzioni, la Ford sfidò la Casa di Maranello aggiudicandosi per 4 volte la classicissima 24 Ore di Le Mans trionfa tore insieme a Mclaren, il neozelandese vuota il sacco la verità su le mans '66 Amon fece vincere la Ford in una 24 Ore controversa, specie nel finale. Ecco il suo punto di vista sulla gara e sull'epopea della Gt40 Chris Amon, sopra, ritratto col casco e in un momento di relax, è stato il primo pilota, insieme al connazionale Bruce McLaren, a portare al successo la Ford a Le Mans. In alto, ecco la Gt40 MkII dell'equipaggio neozelandese in azione nel corso della vittoriosa edizione 1966 POS TER STO RY Nel 1967 il prototipo Ford MkIV non ha più nulla in comune con la prima Gt40. Ecco l'esemplare vincente a Le Mans con Gurney e Foyt. Si nota la protuberanza sul tetto, per fare spazio all'altissimo ex marine Gurney La Ford Gt40 di Frank Gardner e Malcolm Guthrie impegnata nella 24 Ore di Le Mans 1968, dove si ritirerà per rottura di un semiasse. Vincerà la vettura gemella di Rodriguez e Bianchi La fored gt40 costruire e fornire la manutenzione alle Gt40. La sua J.W. Automotive schiera le Gt40 nel Mondiale marche e così la più genuina, minimalista e inaffondabile delle Ford vince il titolo 1968 nonché, stupefacentemente, con lo stesso telaio, il leggendario n.1075, si aggiudica due edizioni consecutive della 24 Ore di Le Mans. Lo stesso Wyer ricorda nella sua autobiografia: «Se quelli della Ford nel 1965 mi avessero ascoltato e lasciato lavorare, avremmo ottenuto le vittorie che volevano spendendo molto meno, perché il progetto di base della Gt40 era buono e vincente». Alla fine, risultati alla mano, hanno ragione tutti. E la Gt40 diviene feticcio dell’endurance anni ruggenti. A Le Mans '69 Ickx, nel caratteristico via a piedi, parte ultimo per allacciarsi le cinture con calma e 24 ore dopo vince l'esaltante e drammatico volatone con la Porsche 908 di Herrmann. La Gt40 resta l'indistruttibile sovrana dell'endurance. L’ultimo esemplare continua a correre col privato portoghese Emilio Marta in Angola fino al 1979. La prima diva rombante del pianeta Terra inteso come Villaggio Globale termina così una gloriosa carriera paradossalmente in chiave terzomondista e sottotraccia.
Quel mitico telaio numerato 1075
La Ford Gt40 più famosa ha vinto nel '68-'69 due 24 Ore di Le Mans
Delle oltre 100 Ford della famiglia Gt40, comprese derivate e affini, la più nota e mitizzata è quella contrassegnata dal numero di telaio 1075 e schierata dall'equipe di John Wyer nei colori Gulf. Lo stesso telaio, infatti è stato capace di aggiudicarsi due edizioni consecutive della 24 Ore di Le Mans, nel 1968 e nel 1969, senza accusare il minimo guaio. I due trionfi vanno ascritti rispettivamente agli equipaggi Rodriguez-Bianchi e Ickx-Oliver.
SCHEDA TECNICA telaio 1075 ANNO 1968
Motore: V8 a 90°, 4.942 cc
Potenza: 425 cavalli a 6000 giri/ minuto
Carrozzeria: pannelli in fibra di vetro
Telaio: semi-monoscocca in acciaio
Sosp. ant.: doppio triangolo, ammortizzatori a molle elicoidale
Sosp. post.: doppi bracci tirati con telaietto triangolare di supporto; molle elicoidali; barre antirollio
Freni: Girling a disco
Cambio: Zf 5Ds-25 a 5 velocità
Peso: 950 kg
Lunghezza/Ampiezza/Altezza: 4178 mm/1905 mm/1029 mm
Passo/Carreggiata: 2413 mm/1460 mm/ 1486 mm
Velocità massima: 340 km/h
Sulla scia delle prime GT40 furono costruite oltre 100 Ford
Dal prototipo Gt fino alla Gt40, quindi la X-1, la Roadster, la MkII e poi il culmine con la MkIV che non aveva più nulla del modello d'origine...
La saga della Gt40 in realtà non è la storia di un solo, fortunato modello, ma d'una famiglia di vetture nata e cresciuta attorno all’idea seminale. La produzione inizia in chiave 1964, con 7 telai di prototipi contrassegnati semplicemente Gt. Da lì e fino al 1970 si sviluppa la costruzione di 61 Gt40 vere e proprie. Del 1965 è la variante spider X-1, in un solo esemplare e quella roadster dell’era Shelby, con 5 vetture in tutto. Nel 1966 arriva la MkII, simbolo della rivoluzione targata Carroll Shelby, col motore portato a 7 litri: 8 gli esemplari realizzati. Le MkIII sono invece pensate per la produzione stradale (così come la successiva MkV prodotta dalla Safir, in Inghilterra) e ne vengono realizzate 7. Per Alan Mann 3 sono le MkII Gt alleggerite, anno 1966. Il 1966 è anche la stagione in cui arriva l’evolutissima generazione J, che con la Ford Gt40 ormai non ha più niente a che vedere e che attinge al know-how dell’industria aeronautica. La J-Car sperimentale, in tre esemplari, viene portata nei test a Le Mans 1966 e dà vita alla Ford MkIV (in 8 modelli, uno è uno J-Car riconvertito). Due J-Car, la 9 e la 10, vengono anche schierate con scarsa fortuna dai fratelli Agapiou nella Can-Am 1969. Nel ruolo di sorelle naturali vanno considerate pure le 3 Mirage realizzate da John Wyer nel 1967, tanto che è possibile la loro riconversione in Gt40. In tutto una grande famiglia con non meno di 12 varianti e la costruzione di poco più di 100 telai schierati nelle competizioni internazionali, a partire dalla stagione 1964.
Trionfa tore insieme a Mclaren, il neozelandese vuota il sacco
Amon fece vincere la Ford in una 24 Ore controversa, specie nel finale. Ecco il suo punto di vista sulla gara e sull'epopea della Gt40
Chris Amon sarà anche il pilota di F.1 più sfortunato, ma nell’endurance con la Ford di fortune ne ha avute due: vincere Le Mans 1966 e guidare tutte le Gt40 e consimili, nel biennio 1965- 1966. Ecco il suo prezioso contributo: «Il mio debutto con la Gt40 è stato con la 4,7 litri alla 1000 Km di Monza 1965 - spiega Amon -, insieme a Umberto Maglioli: vettura carente di potenza ma molto agile. A Le Mans avevo la 7 litri, ben diversa da quella iniziale, con coda lunga e avantreno profilato. In rettilineo andavamo a quasi 350 km/h, ma ci fu detto di stare attenti al cambio, molto fragile. Invece la Gt40 MkII del ’66 era una macchina tutta nuova, meno veloce in rettilineo. E ho corso negli Usa pure con la Ford Gtx-1, versione alleggerita e spider della Gt40 7 litri». Per te avere il posto in Ford grazie all’amico e connazionale Bruce McLaren rappresenta una chance meravigliosa. Poter vincere la 24 Ore di Le Mans insieme a lui è l’apoteosi... «Dopo tante traversie in F.1, per me vincere nelle gare di durata fu la dimostrazione che non ero un pilota poco rispettoso della macchina». Su Le Mans ‘66 aleggia ancora il mistero dell’incredibile e immeritata sconfitta per un’incollatura del vostro compagno di colori in seno alla Ford, Ken Miles. Puoi contribuire a chiarire le cose? «A tre ore dalla fine siamo in testa io e McLaren e compare dal nostro box il segnale di rallentare, quindi di mantenere le posizioni. Ken Miles è secondo, staccato di circa un minuto da Bruce, ma non ci sta, non rallenta affatto, anzi, lo raggiunge. Viene il momento del pit-stop per entrambi gli equipaggi. Una sosta di routine. A noi cambiano le gomme, all’altro equipaggio no. Non sapremo mai il perché, ma va proprio così. Fatto sta che torniamo in pista e Ken Miles balza in testa. McLaren è letteralmente furibondo. A quel punto al nostro box decidono che le vetture possono giocarsela liberamente, avere una sorta di spareggio tra loro, ma la realtà è che non accade niente del genere. Semplicemente nel finale la lotta si neutralizza, tagliamo il traguardo in parata, lo stesso Miles evita di lottare. E vinciamo noi perché al via ci siamo avviati partendo molto più dietro rispetto allo stesso Miles. Quindi 24 ore dopo, arrivando praticamente appaiati, abbiamo percorso seppur di poco una distanza maggiore. La cosa fa arrabbiare molto Ken e la vera tragedia è che poi lui trova la morte poche settimane più tardi durante un test privato. Eppure credo ci sia un altro modo di guardare le cose, tanti anni dopo». Ossia? «Io e McLaren l’abbiamo comunque meritata, la vittoria. In quella corsa incontrammo un sacco di problemi. Eravamo i soli in casa Ford a partire con gomme Firestone intermedie e nelle prime fasi della corsa ci fu molta pioggia. Per noi fu un problema non da poco, tanto che ci dovemmo fermare ben tre volte per cambiare gli pneumatici. E fu così che accadde in corsa una cosa incredibile: passammo al volo alle Goodyear, perché altrimenti non avremmo potuto continuare...». Una cosa incredibile per gli standard odierni. «Come vedere Alonso iniziare un Gp con le Pirelli e poi continuare e vincere con le Michelin. Mi viene da ridere... Va beh, fatto sta che eravamo 2 giri dietro ai primi e decidemmo di tirare alla morte per le restanti dodici ore, tanto non avevamo più niente da perdere. E fu così che ci ritrovammo in testa e andammo a vincere». Come dire: un trionfo in una 24 ore guidando metà corsa come un Gp... «È esattamente quello che capitò in quell’epico giorno a me e a Bruce McLaren». Le caratteristiche tecniche della Gt40 MkII? «Non era più a coda lunga e col muso profilato, segnava un passo in avanti fondamentale perché era più stabile, anche se in rettilineo andava 20 Km/h in meno della prima versione, comunque era sincera, perfettamente maneggevole e potevi girare lo sterzo con un dito solo. Il tallone d’Achille era nei freni. A Mulsanne, alla frenatona, andavano in shock termico e rischiavano di tradirti. Bisognava tenerli sotto controllo, ma per il resto era perfetta ». Prima di lasciare la Ford per la Ferrari, solo in prova, nel 1966 a Le Mans hai guidato la “J car”, evoluta e vincente l’anno dopo. «Una belva, tutt’altra cosa. Velocissima, ricca di contributi dell’industria aeronautica. Ricordo che nei primi test sul tracciato della Sarthe fui subito 2” al giro più veloce della MkII. La MkIV che poi ne derivò non la guidai, ma so che era molto, molto più competitiva».