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Vaccarella e i suoi favolosi 80 anni

Vaccarella e i suoi favolosi 80 anni

27 mar 2013



Lascia stare
, Nino, non sarai mai padrone dell’automezzo». Ciò disse più di mezzo secolo fa l’austero Vaccarella Senior al figlio neopatentato, che aveva appena distrutto la Topolino del cognato e la 1100 del padre tentando d’improvvisarsi pilota. Strana, la vita. Ora Nino Vaccarella, 80 anni meravigliosamente compiuti pochi giorni fa, è l’uomo che più ha saputo lietamente emozionare la Sicilia, dal giorno in cui Luigi Pirandello vinse il Nobel per la letteratura. Tre vittorie alla Targa Florio, almeno altre cinque sfiorate, trionfi brucianti alla 24 Ore di Le Mans, alla 12 Ore di Sebring e alla 1000 Km del Nurburgring. Poteva anche essere nella paratona Ferrari da leggenda alla 24 Ore di Daytona ’67, ma quel giorno preferì starsene a Palermo a fare il preside dell’Istituto Oriani, scuola privata ereditata dal padre, il quale, morendo improvvisamente nel 1956, gli cambiò la vita. È da lì che Nino Vaccarella deve essere Preside Volante, visto che può pure fare il pilota. Come, dove e perché, lo spiega lui. «La passione m’era nata da piccolo, in quella mia Sicilia che al tempo sembrava il Brasile dei motori, scorrazzando in Targa Florio per i garage Alfa Romeo, insieme ad Ascari, Villoresi e Taruffi. Poi, va beh, quei primi approcci rocamboleschi, fino al vero debutto con la Fiat 1100 di papà nella salita che andava verso Bellolampo, a 23 anni». - È solo l’inizio. «Nel biennio 1957-1958 passo a un’Aurelia 2500 e vado alla grande. La svolta è il mio viaggio a Modena nel 1959 alla Maserati, dove mi conosce e m’apprezza il grande Guerino Bertocchi. Sai, in quei tempi la Casa del Tridente era più aperta e amichevole coi piloti, rispetto alla Ferrari. Insomma, comincio a vincere anche al nord Italia, gare in salita quali la Bolzano-Mendola e la Sassi-Superga e entro nel giro della Scuderia Serenissima del conte Volpi, un signore». - Nel 1960 sali agli onori delle cronache per un’impresa alla Targa Florio, al volante dell’ultima grande Maserati dell’era Orsi, la Birdcage, schierata dalla statunitense Camoradi di Cassner. «Mi mettono in coppia con Maglioli, uno dei più grandi stradisti di sempre. Salgo in macchina che ho 2’40” di distacco dal primo, guido, scendo e scopro che ora ne ho 4 di vantaggio. La gara l’abbiamo in mano, ma una perdita di carburante ci priva della gioia del successo». - Il giro della Serenissima prevede anche il debutto in F.1. «Nel mondiale con la De Tomaso a motore Alfa Romeo preparato da Conrero, una macchina piccola, preziosa, valida. L’esordio iridato fu al Gp d’Italia, ma non arrivai al traguardo». - Sempre tramite la Serenissima, arriva l’ingaggio per correre con la Porsche alla Targa ’62 e ancora una volta Nino Vaccarella spiega al mondo di che panni veste. «Corsi insieme al campione del mondo Graham Hill e a Jo Bonnier. Il meglio del meglio. Ebbene, i cronologici parlano chiaro, io non mi vanto di niente. A Hill davo quattro minuti al giro, a Bonnier due. Vedi, erano anni in cui si faceva fatica a trovare un italiano che andasse forte, dopo le tragiche morti di Ascari, Musso e Castellotti. È vero, Baghetti aveva vinto al debutto in F.1 con la Ferrari ed era un uomo stupendo, ma la sua 156 aveva 20 km/h di velocità di punta più delle Porsche che sconfisse. Era un campione al volante di una grande macchina, io ero un ragazzo che a parità di vettura andava più di Graham Hill. Voglio solo dire che la cosa fece rumore e arrivò la chiamata della Ferrari». - Come fu l’approccio col commendatore? «A Maranello trovai una nebbia fittissima e mi sentii soffocare. Enzo Ferrari disse subito che era meglio mi trasferissi in Emilia ma io puntualizzai che avrei continuato a fare il preside. Potevo essere professionista solo al 50%. È la cosa che mi ha sempre limitato, ma questa è stata la mia vita». - Il 1963 per Nino è l’anno maledetto. Una sequenza di sfortune incredibili. «No, piano, non mi lamento. Sono vivo. A quell’epoca si moriva, quindi guai metterla giù dura, se sono qui a raccontarlo. Comunque hai ragione, non andò proprio bene. Ma scusa, vinco la 12 Ore di Sebring con Mairesse e i cronometristi si sbagliano assegnando un giro e mezzo in più a Scarfiotti-Surtees che vengono proclamati vincitori. Dragoni, il diesse Ferrari, dà ragione a noi e va a protestare in direzione gara, ma non c’è niente da fare. D’altra parte la Casa di Maranello non può fare reclamo contro se stessa e la classifica resta quella. Una beffa. Poi salto la Targa perché il prefetto mi aveva ritirato la patente. Corro anche in F.1 con la Ferrari F.1 a Monza, la 8 cilindri, mentre i miei compagni hanno il motore a 12. In prova percorro 60 giri e sarebbe bene cambiare il propulsore, ma si decide di tenere quello spompato così in gara nel finale si rompe. Pazienza. Non è finita, sul conto ci va anche uno spaventoso incidente sulla Nordschleife del Nurburgring, quando finisco in un burrone, nelle esse in discesa dietro i box. Fradicio di benzina, nella macchina distrutta, ad aspettare di bruciare e invece niente. Di solito si muore ma a me tocca di sopravvivere». - E come in un film, l’anno dopo, il 1964, il boom. Ehm... in senso buono.



«Be’ capovolgo il destino, perché vinco la 1000 Km del Nurburgring, ma ancora una volta per la Targa Florio non c’è niente da fare, perché la Ferrari è in polemica con la Federazione e non schiera le vetture. La mia prima affermazione sulle strade amate delle Madonie è rimandata». - Non quella alla 24 Ore di Le Mans, dove Nino Vaccarella e la Ferrari trionfano. «Posso dirlo? Le Mans è la mia corsa preferita. Molto più della Targa Florio e parlo di guida allo stato puro. Senti perché: alla Targa guidavi per tutto il giro con una mano sul volante e una sul cambio. Una sofferenza, una tortura. A Le Mans no. Velocità superiori ai 300 orari, a Mulsanne e a Maison Blanche derapate di 200 metri e se sbagli forse muori. Un palcoscenico scintillante di fronte a sovrani, soubrette e capitani d’industria, 200 mila persone sulle tribune. Di giorno e di notte. Quello è correre, quella è vita. Poi certo, il circuito più pericoloso e impegnativo era il Nurburgring, perché si stava sempre in aria. Sì, si volava spesso. Adesso hanno piallato tanti dossi, ma una volta non era così. Roba ben diversa era la vecchia Spa, dove si stava sempre col piede sull’acceleratore a vita persa, a più di 300 orari, una cosa micidiale. Un’altra pista per adulti». - Nino, parla del trionfo di Le Mans ’64. «Volevo correre con Scarfiotti, il mio compagno abituale e mi dettero Guichet. Ero incazzato nero. Be’ guarda, fu la mossa vincente, la vittoria più bella della mia vita. Il francese era un regolarista e ogni volta mi riconsegnava la Ferrari nelle esatte condizioni in cui gliel’avevo data. Si rivelò un perfetto coequipier. Con due treni gomme facemmo 4800 km, sostando ai box solo 24 minuti in 24 ore. Per l’epoca, un primato. Mi fanno sorridere ora questi della F.1 che per correre un’ora e poco più di gara si fermano quattro volte a sostituire gli pneumatici...». - Il 1965 è l’anno del liberatorio successo di Vaccarella alla Targa Florio.



«La chiave fu tutta nella scelta della macchina. Enzo Ferrari mi voleva dare una Dino 2 litri, agilissima, ma io ho sempre sposato la filosofia della potenza pura. Ho sempre voluto tanti cavalli, perché la velocità non è un pericolo ma si rivela un aiuto se la sai gestire. Così volli la P2 e con Lorenzo Bandini fummo primi al traguardo, in un’emozione di folla indescrivibile. Portato in trionfo, con 700mila persone in visibilio e la Sicilia in ebollizione. Enzo Ferrari mi disse: “Quando ho visto lei scortato dai carabinieri, mica pensavo avesse vinto, ero convinto l’avessero arrestato”. Ecco, se Le Mans ’64 per me è “la corsa”, la Targa ’65 resta la vittoria del cuore. Il giorno in cui i siciliani sentirono una sorta di rivincita infinita. Fu poco dopo che a Collesano, la roccaforte della Targa, i cittadini mi videro arrivare in un giorno di festa e posarono, Dio li perdoni, la Madonna dal baldacchino per issare me e portandomi in trionfo». - Anche il 1966 è un bell’anno, con la vittoria al Rally Jolly Hotel, ossia il Giro d’Italia, in coppia con Pinto sull’Alfa Gta. «Pinto mi mise paura. Guidava su strada come uno che non aveva niente da perdere, ma era bravo. Ricordo una tappa in salita nella quale fece volare per tutto l’abitacolo panini e banane...». - Il 1967 è l’anno del marciapiede maledetto preso alla Targa con la Ferrari P4, forse il più grave errore della tua carriera. «Ho sbagliato io. Punto. Sono un uomo. Può succedere. Dissero che m’ero distratto per salutare gli spettatori, già certo della vittoria. Non è vero. Fu un errore e basta». - Okay, ma quella fu anche la corsa del sorpasso un grande simbolo degli anni ruggenti Dai terrapieni del Nurburgring alle notti di Le Mans, dai tramonti infiammati di Sebring alle meravigliose edizioni della Targa Florio all’apice della leggenda. Più che una carriera, la vicenda sportiva di Nino Vaccarella sembra una ballata che racconta le gesta di un’eroe. Nell’altra pagina, la Ferrari con cui vinse la sua corsa più bella, la 24 Ore di Le Mans 1964 La targa l’amavo per la gente ma era noiosa, tutte curve. Io preferivo la pista di le mans Nino vaccarella sul podio della targa florio 1971 1° alla targa 1971 su alfa 41 più bello della tua vita.





«Era venuta la Rai con l’elicottero e Lino Ceccarelli mi chiese consigli per avere immagini da sogno. Io correvo appunto con la P4 e davanti a me partiva la favolosa Chaparral 2F 7000 di Phil Hill. Tenetevi bassi dopo Cerda, dissi, perché tempo un giro lo raggiungerò e l’attaccherò al bivio di Montemaggiore. Così fu. Ora quelle immagini restano per sempre a immortalare dall’alto lo squalo rosso che addenta la balena bianca. Quando lungo le Madonie si sparse la voce che Vaccarella con la Ferrari aveva annientato la Chaparral quasi un milione di persone andarono in delirio. Poi, ahimé, finì come finì. Colpa mia». - A volte si perde per colpa altrui. Targa 1968. Vaccarella è in testa con 19 minuti di vantaggio sul futuro vincitore Elford, manco fosse Fausto Coppi. E Schutz sale sulla macchina battistrada, esce e si gioca la corsa». «Stesso discorso di prima: era un uomo anche Schutz. Se non avessi avuto scherzi del destino, ne avrei vinte 8 di Targhe». - Allora andiamo a quella del 1971, vinta con l’Alfa Romeo. «Ho rischiato di perdere pure quella, per gli accoppiamenti fatti in Alfa. Situazione semplice Io e Van Lennep eravamo i più veloci. Messi insieme, avremmo stravinto. Chiti invece decise di mettere me con Hezemans e Van Lennep con De Adamich. Così tutto quello che io guadagnavo su De Adamich, Hezemans lo perdeva con Van Lennep. Tanto che alla fine Chiti, per evitare disastri, neutralizzò la lotta e potei vincere». - De Adamich mi ha confidato che incitò Van Lennep a trasgredire gli ordini di scuderia. «E io ci credo. Andrea è sincero. Ma l’olandese fu corretto. Lì con Chiti ci siamo capiti, mentre con Forghieri a Le Mans 1970 un po’ meno, anche se dell’ingegnere ho la massima stima».



- Racconta, Nino. «Semplice. Arrivo all’ultimo momento alla Sarthe dopo aver saltato la simulazione della 24 Ore a Balocco, perché devo star dietro agli esami di maturità nella mia scuola, salgo sulla Ferrari 512, un mostro, e a pochi minuti dalla fine delle qualifiche sono il poleman. Un capolavoro. Mi battono in extremis, ma pazienza. Però sento che il motore s’è indurito e dico a Forghieri di sostituirlo per la gara. Lui mi dice che farà un controllo e poi mi rassicura: va tutto bene. Pronti, via, dopo mezz’ora la mia Ferrari sbiella. Peccato. Io penso che potevamo anche vincere». - Sempre nel 1970 vinci finalmente a Sebring, battendo Steve McQueen. «Con Giunti e Andretti, che salì alla fine. Io e Ignazio bastavamo, ma quella di far salire Mario per promuovere il nome della Ferrari in America fu una decisione intelligente. In gara tornai ai box con una gomma kappaò e Forghieri fece cambiare la sospensione. Mi arrabbiai e l’ingegnere mi mandò a quel paese. I meccanici fecero il miracolo in 20 minuti e andammo a vincere. Forghieri chiese quella riparazione solo perché aveva a cuore le nostre vite. Un grande». - Nino, all’inizio degli Anni ’70 ormai sei vicino ai 40 anni... «Lo so, come pilota non ho futuro, ma vado quanto Giunti, sulla 512, solo che Ignazio è una belva a Monza, lì non gli sto dietro, lo ammetto. Ma c’è altra gloria ad attendermi, ancora». - Un meraviglioso rapporto di cameratismo-rivalità, con Merzario. «Targa 1973, con la Ferrari. Io e Merzario abbiamo vinto ancor prima di partire perché Ickx sull’altra Ferrari è debuttante e ce lo mangiamo quando vogliamo. Solo che Arturo la mette sul piano della prestazione pura e in prova mi rifila 20” al giro. Okay, è irruente. Gli dico di star calmo e lui risponde di sì. Parte lui: a Floriopoli s’avvia tanto di spinta che lascia a terra 300 metri di gomme. Io quella Ferrari non l’ho rivista più, Merzario non me l’ha mai più riconsegnata sana. Peccato. Poi torniamo insieme con l’Alfa Romeo nella Targa 1975, lui è più veloce in prova, io in gara. Un altro trionfo. Ho 42 anni. In pratica la mia carriera finisce qui. Senza rimpianti, anche se magari avessi accettato le proposte di von Hanstein per correre in Porsche avrei tante altre vittorie nel carniere, nell’era della 917». - Nino, come vuoi essere ricordato? «La mia carriera si conosce. E mi piacerebbe essere visto come un uomo che ha onorato la sua terra, la Sicilia, e come un italiano vero».


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