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Legends 17 AS 41 - Alfa Romeo 33 e Andrea de Adamich

Legends 17 AS 41 - Alfa Romeo 33 e Andrea de Adamich

27 mar 2013



Certe volte la storia dice bugie. L’immaginario collettivo mente. Perché l’epopea delle Alfone prototipo nel decennio dal 1967 al 1977 fu molto più importante, concreta e affascinante di quanto si tramanda. Perché nel regno dell’ingegnere Carlo Chiti, tra urla, imprecazioni toscaneggianti e un nugolo di piloti tricolori, si fusero genio pratico, idee incessanti ed energie nobili in un crogiuolo di pura italianità. Tanto che i successi della Casa del Quadrifoglio con la macchina che dice Trentatré spiegarono a chi volle capirlo che la leggenda Alfa Romeo tutto sommato era in buona salute. E il ritorno metallico più atteso nella storia delle corse - quello dell’erede a ruote coperte delle 158 e delle 159 iridate in Formula 1 e poi sparite alla fi ne del 1951 - divenne stupenda realtà. L’Autodelta come braccio agonistico del Biscione nasce nel 1963 e le prime soddisfazioni arrivano con le Tz1, con piloti quali Bandini, quindi con le Tz2 e a seguire le Gta, con De Adamich validamente al top del Turismo europeo nel 1966-1967. Ed è proprio nel 1967, con la Periscopica, che parte la saga delle 33 Prototipo. È una crescita lenta, non facile, sfi dando belve spietate e più potenti, che si chiamano soprattutto Ferrari e Porsche, su tracciati equivalenti a sfi de ineguagliate nella storia delle corse, quali Nurburgring e Spa nelle versioni lunghe e Targa Florio, tanto per citarne tre e tacere di Monza, Mugello, Brands Hatch, Sebring, Daytona, Watkins Glen e Zeltweg. La 33 e 33/2 si fanno onore, quest’ultima cattiva nella classe 2000, ma il momento della verità arriva con l’avvento della 33/3, nel 1969 a Sebring. Da lì in poi, grazie al motore 2995 cc 8 cilindri, non ci si potrà più nascondere.



La morte di Lucien Bianchi, lo zio di Jules, nei test preliminari della 24 Ore di Le Mans è un duro colpo, ma la belvetta sul misto e quando piove può diventare una spina nel fi anco delle balene da 5000 cc schierate da Stoccarda e Maranello. Nel 1970 De Adamich-Courage vincono una gara della Temporada argentina e Gregory-Hezemans colgono un bel 2° posto a Sebring, in più la vettura appare sul fi lm “Le Mans - Scorciatoia per l’Inferno”, produzione nostrana - recita pure Edwige Fenech -, che non ha niente a che vedere col titanico “Le Mans” di Steve McQueen. Poche storie, l’anno di grazia è il 1971, apice e tramonto dell’era aurea endurance. Stagione piovosetta, se è vero che a Brands Hatch e al Watkins Glen le piccole e agili 33/3 spiegano al mondo che con 2000 cc in meno le stupefacenti 917 e le 512 affi date a ottimi team privati possono essere battute. In Inghilterra il miracolo riesce a De Adamich e Pescarolo, mentre negli Stati Uniti tocca allo stesso Andrea (già al top a Zeltweg in una gara fuori campionato) ripetersi, in coppia col “super-swede” Ronnie Peterson. E questo non è tutto, perché al centro dell'attenzione si colloca il trionfo storico alla Targa Florio 1971, col grande Vaccarella accoppiato a Hezemans. L’Alfa è seconda nel mondiale, dietro la Porsche ma davanti alla Ferrari, con le 312 Pb 3000 cc uffi ciali e le 512M per gli Indipendenti. Poi, dal 1972, tutto cambia. Tramontata l’era Porsche e i mostri da 5000 cc, gli allori per i 3000 cc li raccolgono Ferrari e Matra, ma in casa Alfa si prepara la riscossa con l’arrivo del motore a 12 cilindri contrapposti, da 500 cavalli. Dopo un 1973 di nascita e un 1974 di sviluppo - vince a Monza con Merzario-Andretti, con tanto di tripletta il propulsore piatto spopola nel 1975 sotto le insegne del Willi Kauhsen Racing Team, cogliendo 7 vittorie consecutive su 8 corse del mondiale prototipi disputate dal Biscione. Ed è struggente rilevare che l’Alfa, insieme alla Lancia, è una delle ultime grandi Case italiane a restare fedele alla Targa Florio stradale ormai al tramonto, cogliendo una nostalgica vittoria di commiato nel 1975, con l’inaffondabile Vaccarella accoppiato all’altro specialista Merzario. Pare poco perché non ci sono avversari di grido? Se vince una Casa Italiana, gli stranieri scrivono così e un po’ ci crediamo anche noi. Quando nell’endurance la Porsche domina, per esempio nel 1976, battendo l’Alpine Renault, quindi correndo poco più che contro se stessa, tutti zitti a idolatrare il mito di Stoccarda. No, bilanciamo la cosa: i titoli iridati Alfa Romeo sono buoni né più né meno di quelli altrui. E nel 1977 ne arriva un altro, tondo tondo, con 8 vittorie su altrettante corse e quattro vittorie a testa per Arturo Merzario (a Digione e al Ricard in coppia con Jarier) e Vittorio Brambilla, più l’apparizione sperimentale dell’ultima delle 33, la Sc biturbo che si affi anca alla gloriosa Sc 12 aspirata. Okay, il Mondiale Sport muore qui e per l’Alfa Romeo è tempo di una nuova, esaltante sfi da: la F.1, prima dando un cuore da corsa alla Brabham e poi intraprendendo la strada dell’Alfa-Alfa. Sarà l’inizio della fi ne di un'epoca. Tanti anni dopo resterà quel numero, Trentatré, echeggiante ancora come un antico grido di guerra nell’era dell’endurance ruggente. Dalle pieghe sinuose di Brands Hatch ai saliscendi del Watkins Glen passando per il salitone della Targa Florio, verso Caltavuturo, a spiegare al mondo come vince un Italiano.



 



Quella 33/3 agile e irriverente
Nel 1971 in 2 gare iridate "castigò" con un 3000 cc le Porsche 917 5000



Ciascun cultore Alfa ha la sua 33 favorita. E anche se non poté vincere un titolo, la 33/3 8 cilindri di 3000 cc occupa un posto speciale e privilegiato nella saga dei prototipi del Quadrifoglio. Nata nel 1969 e giunta al culmine dello sviluppo nel 1971, proprio in quell'anno colse due vittorie contro i mostri Porsche 917 di 5000 cc (e le Ferrari 312 Pb 3000 cc), a Brands Hatch e a Watkins Glen, con De Adamich-Pescarolo e De Adamich-Peterson, quando l'umido in pista esaltò l'agilità sulla potenza pura.

LA SCHEDA TECNICA DELL'ALFA ROMEO 33/3 1969-1971
Motore
: V8 a 90º, longitudinale
Cilindrata: 2.998 cc
Iniezione: Lucas
Potenza: 420 cavalli a 9400 giri
Telaio: monoscocca in pannelli scatolati
Cambio: manuale a 5 velocità
Peso: 650 chili
Lunghezza: 3700 mm
Ampiezza: 1900 mm
Altezza: 980 mm
Carreggiata: 1500 mm
Passo: 2240 mm

 

Dal 1967 al 1977 furono prodotti ben 96 telai
Lo sforzo produttivo della Casa del Biscione, tramite l'Autodelta, fu impressionante, dalla prima 2 litri fi no alla Sc 12 biturbo



La saga delle Alfa 33 parte a inizio Anni ’60, montando il motore 4 cilindri 1570 cc della Tz su alcuni prototipi sperimentali. Il lavoro fu sublimato dall’Autodelta dal 1963, producendo nel 1965 un primo esemplare dotato di un motore 8 cilindri a V di 90° e 273 cavalli a 9600 giri al minuto. Il debutto della vettura (5 telai realizzati), dotata di una presa d’aria a periscopio, avvenne nella cronoscalata di Fléron con Teodoro Zeccoli, subito vittorioso. Da lì in poi l’impegno nel Mondiale Marche è portato avanti con un picco, con un 5° posto di Zeccoli-Bussinello alla 1000 Km del Nurburgring. Da questo modello deriva anche l’Alfa 33 Stradale. Nel 1968 tocca alla 33/2 carrozzata Scaglione, con un trionfo di classe a Daytona: tre vetture ai primi tre posti, a inscenare una mini-parata sullo stile della Ferrari da mito dell’anno prima. Sono 34 le 33/2 costruite. Va segnalata anche la 33.2 Concept, studio stilistico con un V8 1995 da 345 cavalli, apparentata con altri due esercizi di stile quali la Bertone Carabo e la Italdesign Iguana. Il 1969 è l’anno dell’attacco in forze al Mondiale Marche, con l’arrivo a Sebring della 33/3, col motore portato a 2998 cc, con 400 cavalli iniziali, per competere contro le Porsche 908 e le Ferrari 312P e un telaio “scatolato” monoscocca, in 25 esemplari, più 2 33 Tt3 con telaio in alluminio. Da sottolineare che in forma privata le 33/3 sono fatte correre anche dal team belga Vds, storico cliente Alfa anche nelle corse Turismo, e, tra gli altri, nei colori Alfa Deutsch e della Scuderia Trentina. La 33/4 è invece una variante agonistica della 33/3 col motore portato a 4 litri per la Can-Am dove corse con Scooter Patrick per il team di Otto Zipper. Dal 1973 al 1976 l’Alfa mette in campo la 33 TT/12 a telaio tubolare e motore “piatto”, a 12 cilindri contrapposti, da 500 cavalli a 11.500 giri: 10 le vetture costruite. Lo sviluppo coglie frutti nel 1974 con la vittoria alla 1000 Km di Monza più il 2° posto iridato e l’anno dopo, sotto le insegne del Wkrt di Willi Kauhsen, col trionfo nel mondiale Sport e 7 vittorie su 8. Per il '76-'77 arriva la 33 Sc 12 (6 esemplari), dove la sigla Sc indica il ritorno al telaio “scatolato”, con la presenza di travature reticolari. En-plein e altro titolo Sport. Nel 1977 viene sperimentato un biturbo 2134 cc da 640 cavalli (due le vetture): l’ultimo della gloriosa dinastia 33.





Andrea de Adamich fu uno dei grandi interpreti della 33/3
Il pilota protagonista dei trionfi contro Porsche e Ferrari spiega come L'Alfa, con due gocce d'acqua in pista, diventava spietata



L’epopea dell’Alfa Romeo 33 ha un pilota che la incarna meglio di ogni altro: Andrea De Adamich. Sentiamolo: «La prima 33 che ho guidato è stata la 2 litri, sul vecchio tracciato di Balocco, nel 1967. Fu quello il primo vero passo di Chiti nel mondiale Prototipi, col telaio centrale e la monoscocchina in magnesio, delicata in caso di fuoco. Aveva dei comprensibili difetti di gioventù, non era facile da mettere a punto. Era comunque una vettura interessante». Poi arrivò la versione 2500, con la quale hai corso una Targa Florio in coppia con Jean Rolland. «Quella era una macchina poco bilanciata, non molto armonica nella gestione, ossia dal potenziamento sfasato, quindi tutt'altro che semplice da guidare». Nel 1969 dalla 12 Ore di Sebring arriva la più matura delle 33, la versione 3 a telaio scatolato e a motore 8 cilindri a V di 90°, di 2995 cc. Inizia un percorso di crescita e sviluppo che culmina nel 1971. «È la mia preferita. Nella sua evoluzione fi nale, cioè, sì, nel 1971, ci togliemmo belle soddisfazioni. Arrivarono per me le vittorie a Brands Hatch, in coppia con Pescarolo, e al Watkins Glen, insieme a Peterson. In entrambe le situazioni fu sull’umido. Chiaro: laddove le potentissime Porsche 917 5000 cc non riuscivano a scaricare a terra la loro immensa potenza, la nostra 33/3 c’era eccome e poteva dire la sua, battendo la stessa Ferrari, anch'essa di 3000 cc. Ci ho vinto fuori campionato pure una gara della Temporada argentina '70 e una corsa a Zeltweg l'anno dopo». Eppure, nella lunga storia dei prototipi Alfa, fu solo un bell’episodio, perché poi scende in pista la 33 con un inedito telaio tubolare (da qui la sigla) su un motore prima a 8 ma poi a 12 cilindri contrapposti, stile F.1. «Il concetto è semplice: la Porsche per la Targa Florio tre anni prima aveva tirato fuori l’arma totale, ossia la 908/3. La 33 a telaio tubolare è la risposta dell’Alfa Romeo. Quanto alla Tt/12, il debutto avvenne a Spa 1973. Dovevo correre con Stommelen, ma nelle prove uffi ciali fui protagonista di un grave incidente a causa di un problema a uno pneumatico Firestone. La brutta avventura fi nì con la macchina distrutta». TT sta per telaio tubolare, ma guarda caso anche per Targa Florio, una gara da te amatissima e pure, se passi il termine, per te “maledetta”. «Be’ con le Alfa ho ottenuto tutti i risultati, meno della vittoria. Secondo nel 1971 e terzo nel 1972, con la 33/3 8 cilindri. Pensa, nel 1971 Vaccarella, poi vincitore, anche lui su Alfa, era appena più veloce di me ma il suo compagno di colori Hezemans era molto più lento del mio, che era van Lennep. Nel fi nale, parliamoci chiaro, fu una corsa congelata dagli ordini di scuderia. Vaccarella, nulla da dire, era il più bravo e il più forte di tutti, però se van Lennep avesse forzato nel suo turno, avrebbe battuto nettamente Hezemans e il trionfo sarebbe stato nostro. Ora svelo un segreto: in privato parlai a Gijs e gli dissi chiaro di non ascoltare Chiti, di attaccare senza tregua e di andare a vincere, tanto lui era un pilota Porsche e correva per l’Alfa solo quella gara. Avrebbe avuto tutto da guadagnare e niente da perdere. Ma van Lennep non mi dette retta: fu ligio agli ordini di scuderia. L’unico punto debole di Vaccarella era il compagno di squadra e noi non lo sfruttammo». Andrea, in quel caso sei stato un po’ un bandito... «Sì, sì, un bandito! Sai, nel fi nale corsi in tuta presso un bivio e quando passò van Lennep gli feci segno sbracciando di attaccare Hezemans, di non avere pietà, di fregarsene della disciplina dei box, ma non ci fu niente da fare. Lui era nella posizione di trasgredire eppure non lo fece. Peccato». Nella Targa dell'anno dopo con la 33 Tt/12 Stommelen ti dà la macchina che è prima con un vantaggio enorme e con te al volante accade un episodio che fa la storia della Targa... «Guarda, era la mia grande occasione. Primo, con un margine comodo, nell’ultima edizione iridata della Targa Florio. L’occasione della vita. Vedo davanti a me una Lancia Ombra guidata da Adamo, un pilota locale, e per doppiarla resto calmo, non la punto in curva e aspetto un rettilineo per sfi larla, come si fa in autostrada. Mentre lo faccio, la Lancia mi taglia la traiettoria e mi spedisce fuori, dove c’è un muretto. Fine del sogno. Cosa vuoi che possa aggiungere?». Nello sfortunato 1973 c’è pure il tuo grave incidente a Silverstone, in F.1, con fratture agli arti inferiori. La fi ne della tua carriera nei Gp... «Difatti torno nei Prototipi e il 1974 è il mio ultimo anno di gare. Corro con la Tt/12, giungendo 2° alla Nodschliefe con Facetti e 3° a Monza, oltre a laurearmi campione italiano assoluto. La 33 Tt/12 l’anno dopo avrebbe vinto il mondiale. E con l’arrivo della 33 Sc 12, di nuovo col telaio scatolato, avrebbe rivinto il titolo Sport nel 1977, ma io avevo già iniziato una nuova carriera. Questo però a tutt’oggi non mi impedisce di amare la famiglia delle 33 e pure la Targa Florio, tanto che sto per donare casco e tuta al Museo di Collesano, perché i siciliani mi vogliono bene».




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