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Lo strano caso Catheram

Lo strano caso Catheram

8 mag 2013



Splende qualcosa d’affascinante e ridente, sulla faccenda Caterham. Una storia che sa di cloni, ironia e stile. Anzitutto, leviamoci ’sto dente: perché si chiama Caterham? Be’ per lo stesso motivo per cui Guittone d’Arezzo era Guittone d’Arezzo e Matteo da Gualdo si vantava d’essere Matteo da Gualdo. Perché le Caterham le fanno in una cittadina che si chiama Caterham, in Inghilterra, presso la contea del Surrey. E guarda caso quest’anno come Casa automobilistica compie 40 anni esatti, perché proprio nel lontano 1973 iniziò a produrre su licenza diretta di Colin Chapman clonazioni evolute della leggendaria Lotus Seven, leggendaria e leggerissima vettura sport nata nel 1957 che finì col costituire l’ossatura delle gare club britanniche. Proprio nel 1973 la Caterham, che in passato era stata una semplice anche se speditissima concessionaria di vetture Lotus, fece il grande passo e iniziò come detto a costruire su licenza le Lotus Seven, prima nella versione 4 e poi, per andare incontro ai gusti di una clientela “classic oriented”, ripiegando sulla più canonica versione 3.



L’Ikea delle Kit-Car
Ma la particolarità prenatale della Caterham non è solo quella di nascere come centro di manipolazione genetica del Dna Lotus. No, il discorso è più strano e furbo. Perché Colin Chapman al culmine del suo successo di Costruttore aiutò molto l’industria britannica delle Kit-Car, concedendo le licenze, una volta smesso di produrre direttamente, dei suoi modelli più nobili e amati. In poche parole, il gioco ghiotto non era tanto quello di clonare dei modelli già assorbiti dal mercato, quanto quello di offrire delle repliche evolute nuove di pacca, fornite ancora smontate e tutte da assemblare, per un motivo semplice e demoniaco. Così facendo si riusciva a eludere la nuova normativa fiscale in vigore nel Regno Unito. E ciò per il compratore finale faceva sì che diveniva improvvisamente agevole aggiudicarsi una vettura facilmente assemblabile a un prezzo d’acquisto (imballata) e a un costo finale assolutamente competitivi. Non a caso ancora oggi la Caterham offre tutte le versioni possibili della immortale ex-Lotus Seven, ormai mutata, fatta salva la Csr (ossia la Serie 6) model. Come se Chapman e il fondatore della Caterham, mister Graham Nearn, esattamente quarant’anni fa avessero applicato pari pari gli stessi criteri che avevano già fatto grande l’Idea di mister Ikea, Ingvar Kamprad, nel settore dei mobili in legname, a partire dal lontano 1943.



La strana storia della F.1
Detto questo, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che alla fine il marchio Caterham sarebbe approdato in F.1, addirittura a sfidare - con quali risultati e riscontri in questo ragionamento non sposta - la mamma naturale Lotus. Eppure, la vicenda che porta l’approdo della Caterham in F.1 è semplicemente stupenda e nasce da uno straordinario colpo di genio e di stile dell’indo-malese Anthony Francis Fernandes, uomo d’affari fondatore della Tune Air Sdn. Bhd. Fernandes introduce nel mercato mediorientale la prima compagnia di volo a basso costo, AirAsia - un marchio prima in mano pubblica e dai bilanci fallimentari - al grido di «ora chiunque può volare». Ed è sempre lui, il vulcanico Fernandes, che - cambiando pelle e destini della stessa AirAsia sul mercato dei voli civili - spacca quando sposa la carriera del politico malese Mahathir Mohamad, riuscendo a far passare, quando lo stesso Mohamad diventa primo ministro, l’idea di avere rotte aperte e libero accesso ai cieli di Thailandia, Indonesia e Singapore. Da lì in poi AirAsia ha via libera e successo.



Fernandes fa rinascere la Lotus F.1
Parlare degli interessi nel marketing, negli affari, nella politica e nello sport di Tony Fernandes, non avrebbe senso, tanto sono molteplici e fitti. Però uno lo prende più di tutti. Quando gli parte la mina della F.1, non lo ferma più nessuno. Nasce così l’operazione volta a riportare in F.1 il marchio Lotus, con la denominazione di Lotus Racing. La squadra è di proprietà di 1Malaysia F1 Team Sdn. Bhd., nata da una partnership tra il governo malese e un consorzio d’imprenditori malesi, la Tune Group, dello stesso Fernandes e Naza Motors. E qui però cominciano i problemi, perché il gruppo malese Proton, che detiene il controllo della Lotus Cars, dopo aver dato il permesso all’utilizzo del glorioso marchio fondato da Chapman, in seguito sceglie di fornire il suo appoggio all’ex-team Renault, concedendogli i diritti all’uso del nome e dei colori della Lotus stessa. Buffo, perché con due squadre che si vantano di avere lo stesso nome, la faccenda non può che finire per avvocati, con tanto di sentenza dell’Alta Corte inglese, e alla fine Fernandes - dopo aver corso come Lotus Racing nel 2010 e come Team Lotus nel 2011 - è costretto, poche storie, a cambiare nome alle sue monoposto.



Come i Digimon coi Pokemon
Per la prima volta nella storia della F.1 una squadra perde il diritto a portare quello che pensava fosse il suo nome e deve correre ai ripari. E lì avviene il vero colpo di genio e di stile, perché Il 27 aprile 2011 Tony Fernandes annuncia al mondo l’acquisto del costruttore britannico di vetture sportive Caterham. Tanto che dal giugno 2011 il team di Gp2 viene ridenonimato Caterham Team Air Asia. L’operazione, oltre che economicamente conveniente, è filosoficamente strabiliante. Suona così: se non mi fanno usare il marchio Lotus, correrò con quello al mondo che gli è più geneticamente vicino, cioè Caterham. È come se qualcuno avesse costruito una F.1 che si chiama Pokemon e, una volta che gli è stato vietato di chiamarla così, la ribattezzasse beffardamente Digimon, cioè gli eroi di fantasia che volenti o nolenti imitano e navigano sulla scia del successo degli originali.



La bellezza della Caterham F.1
E non è tutto. A meravigliare, più che nel 2012 di certo nel 2013, sono i colori sfoderati dalla Caterham, che sembra esattamente come avrebbe potuto essere nel terzo millennio l’originario british green di Chapman, ma adattato a un manto fluorescente e ammaliante, che solo a guardarlo ti fa star bene. Un altro capolavoro, l’ennesimo, di Fernandes: le sue monoposto si giocano il triste ruolo di fanalino di coda del mondiale con la Marussia, eppure da ferme non hanno rivali quanto ad appeal e implicazioni artistico-storiche della livrea. Al resto ci pensa la simpatia di Fernandes, uno che dice sorprendentemente di amare le canzoni di Pino Daniele e che al termine della prima annata ha preteso il pagamento di una delle più strabilianti scommesse mai fatte da due team manager di F.1. Con Ri- 41 chard Branson, boss della Virgin, aveva infatti giurato che in caso di sconfitta nel confronto diretto, avrebbe offerto un giorno del suo lavoro in un aereo della compagnia rivale vestito da hostess. Alla fine ha vinto Fernandes - quando ancora la sua squadra si chiamava Lotus - e di Branson vestito da hostess che serve il tè in business ha fatto subito stampare un fotomontaggio trasformato in poster... Fatto sta che il vero pedaggio della scommessa non è stato pagato, prima perché Branson s’è rotto una gamba sciando e poi perché il volo previsto per l’agghiacciante evento è stato più volte rimandato. Ora pare che finalmente sarà possibile vedere Mr.Virgin coi collant scuri, il gonnellino rosso e il cappellino dell’Air Asia: Tony Fernandes l’ha rivelato su Twitter due mesi fa e attendiamo tutti con trepidazione il drammatico epilogo. «Il fatto è che io sono uno che non dimentica le cose importanti della vita - ha specificato lo stesso Fernandes - e sarà bellissimo vivere anche questa esperienza». Ancora una volta il boss indo-malese dimostra d’essere un uomo di puro humour. Lo stesso con cui ha saputo citare uno sbaffo bello di storia dell’automobilismo, vivendo la sua sconfitta nell’utilizzo del marchio Lotus come un’opportunità per rispolverare e fare suo quello della Casa che più geneticamente deriva dalla creatura che fu di Chapman. Ecco il senso della presenza Caterham nel Mondiale F.1. Perché Fernandes è uno degli ultimi uomini a frequentare il Circus con lo spirito, l’umorismo alato e, perché no, una sana e onesta dose di furba arguzia, che rese indimenticabili i patron indipendenti della F.1 degli anni ruggenti.




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