La sorella Viviane racconta Ayrton (1° parte)

La sorella Viviane racconta Ayrton (1° parte)
Il campionissimo svelato a cuore aperto da chi l'ha vissuto e conosciuto meglio di chiunque altro

29.04.2014 ( Aggiornata il 29.04.2014 15:38 )

di Mario Donnini PRIMA PARTE Non vi prendo in giro dicendo che Viviane è solo la sorella di Senna. No, Viviane è molto di più. Incarna ciò che resta di Ayrton. Il personale di terra di una leggenda alata che è volata via. Non ci provo neanche a convincervi che l’arco del sorriso di Viviane è lo stesso del campione, per capirla basta guardarla ancora oggi. Vi racconto una storia, piuttosto, una strana storia che mi ha svelato Paula, la 29enne figlia di Viviane. Ayrton era scomparso da pochi mesi e suo padre Milton non si dava pace per il dolore. Nei momenti in cui la mancanza del figlio lo trafiggeva in modo insopportabile con mille spilli di nostalgia, prendeva un registratore, lo accendeva e sentiva la sua voce. Quand’ebbe ascoltato tutti i nastri che aveva, divenne più triste. Non ci sarebbero state più parole nuove, avrebbe ripassato sempre le stesse. Ma un giorno, per caso, registrò anche la voce di Viviane. Poi, chissà perché, la riascoltò rallentandola del trenta per cento. Chiamò gli altri della famiglia, spinse il tasto play e tutti ebbero un tuffo al cuore. Quella sembrava la voce di Ayrton che diceva cose nuove. Ora Viviane è anche questo, per noi tutti che leggiamo queste righe. Una voce da registrare e rallentare per sentire Ayrton ancora vicino. E noi facciamo come il vecchio Milton, quando spingeva un tasto, stringeva gli occhi e con rimpianto guardava lontano. Ascoltiamola, leggiamola Viviane. Al rallentatore, con una suggestione che ci riporta a una leggenda interrotta venti anni fa mai mai dimenticata. 04-ao-williams-94 - L’ingresso nel terzo millennio ha stabilito realtà nuove per il nom di Ayrton Senna, eletto “Pilota del Secolo” sia in Brasile che in Europa. «In Brasile è accaduto in netto anticipo, mi ha fatto piacere che il riconoscimento sia poi stato conferito anche nel continente europeo». - Ayrton fu un campione che si costruì da solo, aiutato agli inizi dalla famiglia, ma ben presto divenendo un pilota professionista in gradi di fare leva sui risultati. Papà Milton può essere considerato a sua volta un self-made man, diventato ricco dal nulla. Lei è una donna colta, manager dell’istituto dedicato a suo fratello e laureata in psicologia. C’è qualcosa di speciale nella famiglia Senna. Cosa, secondo lei? «I valori della mia famiglia sono stati uno stimolo eccezionale alla nostra intraprendenza individuale. In realtà nessuno di noi è speciale. Forse la vera differenza l’ha fatta l’educazione che abbiamo avuto dai genitori, basata su determinazione, onestà, impegno, ricerca continua della perfezione. valori utili sempre e ovunque». - E le radici del patrimonio di famiglia? «Mio padre si è costruito una fortuna con un’azienda che realizzava maniglie delle portiere e accessoristica per auto. Col boom del mercato degli Anni ’60 cominciò a lavorare per Case come Ford e Volkswagen. Tutto cambiò in meglio, per noi. La verità è che abbiamo avuto dalla vita molte chance che ad altri sono precluse o comunque non sono state concesse». - L’educazione che avete ricevuto è stata di matrice laica o religiosa? «La sorprenderò ma dico laica, anche se, essendo la nostra una famiglia d’origine italiana, l’humus è stato quello della cultura cattolica. Io e Ayrton fin dalla più tenera età abbiamo frequentato scuole cattoliche, poi abbiamo ampliato il patrimonio delle nostre esperienze. Mi sono avvicinata al protestantesimo e gli ho anche trasmesso i risultati del mio percorso. Non abbiamo mai smesso di cercare Dio. Non in modo bigotto, ma come tappa irriunciabile per capire l’essenza, il significato più profondo della vita». - Ayrton visse una fase mistica all’apice della carriera, nel 1989. Si diceva in grado di dialogare con Dio e un sabato pomeriggio in qualifica a Hockenheim rivelò d’aver visto la Madonna. «Mio fratello aveva un triplice legame fortissimo con la sua famiglia, il suo Paese e con Dio. Parte della sua immensa forza mentale e caratteriale scaturì proprio da questi punti di riferimento. Per esempio, lui disse più volte che ritirandosi in famiglia acquistava immensa energia. Dio era una delle fonti di questa forza per fronteggiare le sfide che gli si presentavano davanti». 08-ao-mclaren-93 - Venti anni dopo la sua scomparsa, Senna resta il pilota più amato dai brasiliani. Più di Fittipaldi, immensamente più dello stesso Piquet, mentre gli altri sono considerati solo dei bravissimi piloti. Può spiegare il perché? «Dal punto di vista emotivo, dico che è un mistero. Sul piano razionale, penso che dal mare di lettere e messaggi che ci arrivano ancora oggi all’Instituto Senna si evince un concetto molto chiaro. Mio fratello si è elevato a un livello paradigmatico, ha rappresentato il modello di un modo di vivere e di pensare, oltre che uno stile di correre in pista. Un giorno un ragazzo mi scrisse: “Ho messo il poster di Ayrton sopra il letto e ogni mattina lo guardo e dico che posso e devo vincere, al fine di trovare la via per superare le difficoltà, proprio come lui è sempre stato capace di fare. Ma...». - Ma? «C’è un altro fattore che considero molto importante. Lui mostrò un lato positivo del Brasile che prima era nascosto. Ayrton svelò al mondo la faccia luminosa del nostro Paese. fate presto, voi in Europa. Potete vantarvi del vostro cibo, della vostra industria, della vostra tecnologia. Noi no. Ragionando in termini di psicologia di massa, credo che il nostro sia un complesso d’inferiorità che deriva dalla colonizzazione portoghese. Poi venne un uomo chiamato Ayrton e nel mondo divenuto improvvisamente e mediaticamente Villaggio Globale dimostrò al di là dei luoghi comuni noi brasiliani potevamo vincere, avere una consistenza mentale in grado di superare qualsiasi genere di ostacolo. Un successo di radice squisitamente individuale, quindi d’impronta ben diversa da quella tradizionale del nostro clacio “bailado”. Vede, ogni giorno compare sulla stampa il cosiddetto lato oscuro del Brasile: corruzione, devastazione, povertà. Ayrton ha mostrato al mondo lo “shining” della nostra terra, tramutandone un’identità di massa da negativa a positiva. Per quanto mi riguarda vorrei sottolineare che non è stato solo un grande campione. per noi brasiliani è e credo resterà il più grande ambasciatore di tutti i tempi. I poster degli altri piloti sono solo foto appese al muro, quello di Ayrton no, è magicamente molto di più. Rappresenta uno specchio, per chi lo guarda. La promessa di un’ispirazione, un viaggio difficile e premiante». Complessivamente suo fratello riuscì a sconfiggere il suo grande rivale Alain Prost sull’asfalto della pista, entre il francese a più riprese si dimostrò più a suo agio sul velluto dei divani di trattativa nelle salette privé del paddock, dove da sempre si tessono le trame della politica e del potere. Più furbo, politico e volpino del grande rivale, non crede? «È ora di chiudere per sempre la questione del dualismo Prost-Senna. Ho elaborato una mia idea. Alain e Ayrton avevano un bisogno immenso l’uno dell’altro. Erano dotati di un potenziale che, come per tutti, rappresenta una sommatoria di possibilità virtuali. Combattendosi spietatamente sui circuiti di tutto il mondo si costrinsero a vicenda a tirare fuori il meglio, la quint’essenza di ciascuno. Ayrton non sarebbe mai diventato così forte se sulla sua strada non avesse incontrato Alain, e viceversa». - Paradossalmente, i conti tornano. Dal ritiro di Prost, Senna non vinse mai più un Gran Premio. Dal giorno della morte di Ayrton, Alain non ha più ottenuto alcun successo nelle corse di livello top stando fuori dall’abitacolo. «Non credo sia un caso». 84-Senna021_17 - Diciamo le cose come stanno. La realtà su suo fratello non è stata solo idilliaca e celestiale. Per esempio la stampa ha sempre nutrito un’attenzione quasi morbosa per la sua sfera più intima e personale. Più che per altri campioni. Piquet ha avuto in vita sua tutte le mogli e le donne che ha voluto senza che nessuno gli rompesse l’anima. Ayrton, no. Il contrario. Sempre o quasi chiacchiere e grane. Fin dal giorno del suo fulmineo diverzio da ventenne, dopo un solo anno di matrimonio. Perché, secondo lei? «Mio fratello ha sempre separato la vita privata da quella pubblica». - Sarò più preciso. A seconda delle scuole di pensiero, Ayrton è stato definito rispettivamente un instancabile playboy castigavergini, un eclettico bisessuale e un omo mascherato, un gay, insomma. «Ahahahaha!!!». - Che fa, ride? «Il modo in cui mi pone la domanda è divertente. nessun ragazzo di trenta-trentacinque anni dìetà con le pressioni pazzesche che aveva Ayrton nel suo lavoro può sprigionare il potere sessuale atribuitogli da quelle dicerie, non crede?». - Signora, sia buona, non lo chieda a me. «Tanti anni fa un giornalista domandò a mio fratello se fosse davvero gay. Lui rispose rifilandogli un pugno in faccia». - Apprezzo il fatto che lei in questo frangente mi pare più dialettica. «Comunque c’è un’altra ragione che spiega certe speculazioni, ed è ancor più importante di ciò che le ho detto prima. E ciò risiede nell’invidia che provava per Ayrton la persona che mise in giro certe voci. Fu un colpo basso, una vigliacca pugnalata alla schiena. Un modo disonesto di combattere mio fratello. perché non c’erano il coraggio e le capacità per fronteggiarlo in pista». - Ogni riferimento della mia prossima affermazione a ciò che lei ha appena detto è puramente casuale. Negli anni successivi alla morte di Ayrton Nelson Piquet ha un po’ moderato i toni della sua posizione, tradizionalmente contrapposta a quella di Ayrton e alla sua figuara di uomo e campione. «Posso dirle che alla mia famiglia non interessa ciò che dice Nelson Piquet». Fine prima parte - Leggi la seconda

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