I britannici li chiamano con la sigla DNA "Did Not Arrive", sono i piloti che, regolarmente iscritti non si sono mai presentati alla partenza di un GP. Accone alcuni casi, forse strani, a volte curiosi, addirittura eclatanti.

La Formula1 degli iscritti fantomatici

<span class="kcode ktype-immagine" data-k-id="2857437" data-k-kid="sn:autosprint:2857437" data-k-thumb="https://cdn-autosprint.corrieredellosport.it/images/2020/03/20/192023792-eb6fa467-73f5-41ce-ba08-b242620df9fc-th.jpg" data-k-type="immagine">

Benvenuti nella spiaggia delle occasioni perdute. Venghino, siore & siori... Sì, fuori dall’esempio maccheronicamente circense, venite pure a scoprire, vedere e gustare ciò che avrebbe potuto essere e mai fu. Le ipotesi più belle, dolci strane nonché sorprendenti nella storia della F.1, racchiuse alla britannica in una specie di sigla magica che tanto retroattivamente promette e nulla mai mantiene, ma molto evoca e sottende: DNA. Che in questo caso nulla a che vedere col codice genetico della vita, ma è acronimo che sta per Did Not Arrive. E indica i piloti iscritti a un Gp che però mai arrivarono in pista, nel weekend indicato. Vedendo il più delle volte svanire la loro unica chance di debuttare in F.1 in circostanze spesso misteriose e a oggi mai spiegate. Siamo cioè, nella terra fatata delle partecipazioni annunciate, promesse, certificate da un’iscrizione ufficiale, ma mai verificatesi all’interno di un Gran Premio valido per il mondiale. Una specie di letteratura del “what if”, del come se, nell’ipotetico rincorrersi della storia, all’interno di eventi possibilissimi, quasi probabili, ma per circostanze a tratti inesplicabili non maturatisi.

Non a caso, nella storia plurimezzosecolare di Autosprint, di questo potrebbe essere ricordato come il Cuore da Corsa dalla foto più brutte e sgranate di sempre, ma, capirete, quando si mostra qualcosa che di fatto manco esiste, se proprio volete avere la fortuna di vederlo, bisogna che vi accontentiate, neh. dell’immagine relativa.

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<h2>Sono italiani i primi DNA della storia F.1</h2>

Nell’anno settantesimo della F.1 iridata, è con un certo orgoglio che si può rilevare l’italianità dei primi due DNA di un certo lignaggio nella storia della F.1, vale a dire il leggendario vincitore della 1000 Miglia Giovanni Bracco, classe 1908, regolarmente iscritto al Gp d’Italia 1950 con una Ferrari 125 della SEFAC, ossia ufficialissima, ma mai apparso in pista. Nulla di fatto anche per Luigi De Filippis, stessa spiaggia stesso mare, iscritto con una Maserati 4CLT/48 ma, appunto, non arrivato. Luigi è meglio noto per essere il fratello di Maria Teresa, la prima ragazza al via di un Gp iridato in tutta la storia della F.1, ma a partire dal lustro successivo.

La voglia di correre in F.1 - ma in una corsa non iridata -, Luigi medesimo se la cavò comunque, gareggiando nel Gp di Pescara con la sua Maserati, giungendo buon sesto. Sudafrica, terra fertile Ma a ben guardare negli Anni ’60 è il Gp del Sudafrica il weekend più propizio per iscrizioni misteriose, pittoresche e non mantenute da apparizioni in pista, tipo il locale Tony Jefferies con una Brabham della Scuderia Scribante nel’edizione 1968, per fare corta una storia altrimenti lunga. Visto che in questo caso la modesta caratura dei partecipanti mancati e la scarsa competività delle vetture in ballo non consiglia di consumare altra candela per tale gioco.

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<h2>Lo strano caso di Herbert Muller</h2>

Ma nel vivo della faccenda ci entriamo eccome esaminando invece la strana storia di Herbert Muller. L’amatissimo specialista della Targa Florio in real tà nella F.1 iridata non correrà mai. Oddio, per fortuna c’è da registrare una sua presenza nel Gp di Pau non valido per il mondiale, nell’edizione 1963 con una Lotus 21, ma nient’altro. Eppure di possibilità ne avrebbe ben due in più, ma ci si mette sempre il diavolo di traverso. Nella seconda metà degli Anni ’60, il suo mentore Filipinetti gli rimedia una Eagle di seconda mano, ma, proprio quando stanno per partire le prime domande d’iscrizione, l’olandese Rob Slotemaker sfascia la macchina in una sessione di prove private. Fuori una. Per la chance ulteriore tutto pare a posto, perché per il Gp d’Italia 1971 la Jo Siffert Automobiles rileva da John Surtees una Lotus 72A già appartenuta a Rob Walker per farci correre Graham Hill a fine 1970 e la mette a disposizione per Herbie, che trova anche uno sponsor, la Villiger Tobacco, destinata poi a legare il suo nome alla Shadow, nella seconda metà degli Anni ’70. L’iscrizione c’è, i soldi pure, ma in quel weekend di Muller e della Lotus neanche l’ombra. Perché? Non lo sapremo mai con certezza, penso. Ma una mezza e plausibile spiegazione si può azzardare. Il Gp d’Italia 1971 vede la magistratura italiana a pieno ritmo al lavoro sul caso relativo alla morte di Rindt nel crash in prova alla Parabolica, l’anno prima, con una Lotus 72 ufficiale. La paura del sequestro, spinge Chapman a portare solo la 56 a Turbina, sotto le insegne del World Wide Racing, nome finto creato alla bisogna per non dover rispondere di un atto della magistratura italiana avverso la Lotus stessa. La sola 72 - seppur privata -, in pista e quindi sequestrabilissima, sarebbe quella di Muller, il quale, per stare dalla parte dei bottoni, lascia perdere la cosa. La successiva morte del patron Siffert a Brands Hatch, per un crash in una gara di F.1 non valida per l’iride, manda tutto a monte per sempre...

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<h2>Italiani, gente che scompare</h2>

Dai, la verità è che a proposito di Did Not Arrive, a noi italiani mica ci batte nessuno. Se è vero che lo sconosciutissimo Werner Biekel (o Bickell, secondo altre fonti) s’iscrive ma non si presenta al Gp di Germania 1970 su una Brm privata, lo stesso fa il nostro Giancarlo Gagliardi con una March-Motul del team di Frank Williams al Gp d’Italia 1972. Ma il record di Dna lo ha l’italianissima Scuderia Finotto (vedi la puntata di Cuore da Corsa pubblicata su As n.4 di quest’anno), che iscrive senza successo Manfred Mohr con la Brabham Bt42 al Gp di Germania e Jean-Louis Lafosse al Gp d’Italia. Rifiutati, come Pryce sulla Token e Ganley con la Maki a Monaco. Silvio Moser, il Dna più triste Sempre a proposito di Scuderia Finotto, a essa tocca anche il terribile primato del DNA più triste in tutta la storia della F.1. Avviene al Gp di Spagna 1974 quando la vettura che attende il bravo Silvio Moser, al ritorno in F.1 dopo tre anni di assenza, deve essere mestamente ricaricata sul camion perché il piccolo svizzero è in coma, in seguito a un incidente alla 1000 Km di Monza, dal quale non riuscirà a riprendersi. L’immagine dei meccanici che ricoverano sul van la Brabham con espressioni affrante è quanto di più malinconico possa emergere dalla storia dei Gp e, in questo caso, delle partecipazioni mancate.

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<h2>La leggenda di Jorge de Bagration</h2>

Poi ci sono presenze annunciate e non mantenute divenute addirittura leggendarie. Su tutte, una, quella dello spagnolo Jorge De Bagration su Surtees Ts16 al Gp di casa, nell’edizione 1974. De Bagration vanta una storia originale e d’antico lignaggio, giacché appartenente alla famiglia reale esule dalla Georgia, Stato sulle rive del Mar Nero, in quegli anni sotto il dominio dell’Unione Sovietica. L’erede legittimo al trono della Georgia, al secolo Jorge de Bagration y de Mukhrani, nasce a Roma (aridaje con l’Italia, nei DNA!) il 22 febbraio 1944 e a sei mesi d’età segue la famiglia che si stabilisce nella penisola iberica, essendo imparentato con Juan Carlos di Borbone.

Naturalizzato spagnolo, diviene valente pilota di velocità, endurance e rally, con due campionati nazionali poi conquistati nel 1979 e nel 1981, al volante della sua Lancia Stratos. Ma il weekend più importante della sua vita sarebbe quello del Gp di Spagna 1974 a Jarama, visto che ha pronta la macchina, la Surtees Ts16, il team, l’Escuderia Nacional Calvo Sotelo, e financo lo sponsor, El Corte Inglés, nota catena di grandi magazzini, più famosa per essere la classica sostenitrice del rally delle Canarie, negli anni ruggenti. Senonché, a due giorni dalle prove, lo sponsor rinuncia e De Bagration rimane con un palmo di naso. Il giallo della lista al Gp di Spagna 1974 Non finisce qui. L’iscrizione ufficiale di De Bagration scompare. E con essa il documento in copia unica della lista iscritti. Non si trovano più, né mai verranno rinvenuti. E sapete perché? Il venerdì del Gp di Spagna, il presidente del reale Automobil Club viene rimosso e costui, prima di cedere il posto al successore, svuota il più possibile gli uffici di documenti. In questo bailamme la lista ufficiale degli iscritti del Gp di Spagna va perduta per sempre. Su questa storia negli anni fiorisce un’ampia letteratura e addirittura esistono rendering e simulazioni della fantomatica Surtees immaginata nella livrea El Corte Inglés, a testimonianza di quanto l’argomento DNA possa avvincere gli appassionati, in particolare i più simpaticamente nerd. Ovviamente il principe Jorge De Bagration mai più avrà la chance di assaggiare la F.1 e passerà a miglior vita nel 2008 a Tbilisi, nell’amata Georgia.

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<h2>Phil Hill, iscritto a Long Beach 1976 su Ferrari!</h2>

A spulciare le liste degli iscritti, c’è da diventar matti. A Long Beach 1976, nella prima edizione del Gp Usa West, tra i piloti attesi, come “alternate driver” di Niki Lauda, c’è il vecchio Phil Hill al volante della Ferrari 312 T. In realtà Hill non prenderà parte alle qualifiche, ma girerà da solo tra una sessione e l’altra con la vettura, per dei giri puramente in veste demo, usando il casco scuro prestatogli dall’amico Dan Gurney. Phil Hill era stato progagonista dieci anni prima di una presenza trasparente al primo giro del Gp del Belgio, in coda al gruppo con una McLaren dotata di telecamera, per fare delle riprese per il film “Gran Prix” di John Frankenheimer.

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<h2>Il mito di Antonio Bernardo </h2>

E poi, cavolo, c’è il vero eroe dei DNA. Lo sconosciutissimo Antonio Bernardo, italiano d’origine e di nazionalità svizzera, classe 1939 e patron della Scuderia Piccioniaia di Lugano, molto attiva negli Anni ’60 e ’70, oltre che fedelissima alla Targa Florio stradale. Nella stagione 1976, in piena crisi economica della Ensign, lo stesso Bernando si accorda con Morris Nunn per tentare la qualificazione nel Gp del Belgio al volante della dismessa Ensign N174, visto che il primo pilota Chris Amon può contare sulla nuovissima N176. Il tutto, naturalmente pagando. Bernando la macchina se la mangia con gli occhi, ci sono rarissime foto di lui nell’abitacolo nella factory Ensign, ma poi a Zolder il fantomatico debuttante totalmente privo d’esperienza neanche si vede. Più avanti il suo nome viene collegato a tre partecipazioni nella serie britannica Sport F.5000, sempre con la stessa monoposto, ma in veste privata, eppure anche qui, tutte le volte, due a Brands Hatch e una a Thruxton, Antonio Bernardo s’iscrive e non sale in vettura, passando alla storia come il pilota più fantomatico nella storia della F.1 iridata e non. Di lui, agli inglesi che chiedono lumi sui suoi precedenti in monoposto, Lella Lombardi, stellina della F.5000 locale, dice che l’ha visto correre tanti anni prima con una Tecno, ma niente più...

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<h2>Varie ed eventuali</h2>

Di cose strombazzate ma che poi però non quagliano, in F.1 troppe ce ne sono. Oddio, rinforzate dall’iscrizione ufficiale non ne risultano poi tante, anche se qui è impossibile citarle tutte. Nel 1975 ai Gp del Argentina e Brasile viene annunciata la presenza della diva locale Berta di F.1 per il sudamericano Nestor Garcia-Vega, ma poi non si vede nessuno. In Austria 1976 ci vuol provare Karl Oppitzhauser, ma non viene autorizzato, causa scarsa esperienza. Di più. Nel 1978 Bernard De Dryver dovrebbe guidare la Ensign nei colori Belga e gira nelle libere ma poi per le sessioni ufficiali si fa di nebbia. Infine negli Anni ’80 è pronta una vecchia Benetton della Middelbridge sponsorizzata Trussardi, ma i privati sono esclusi dal Patto della Concordia e non se ne fa niente: più avanti il team compererà la Brabham decotta e finirà male, malissimo pure quella storia. La fine di un’era, col Patto della Concordia Dagli Anni ’90 il discorso cambia, perché viene ribadito che non ci si iscrive più alle singole gare, ma al mondiale intero, in veste ufficiale. Eppure nella zona griglia degli inizi mancati, brilla la roboante assenza dell’Andrea Moda nei primi due Gp del 1992. In Sudafrica il team si presenta con una ex Coloni C4 dotata di retrotreno Dallara e motore Judd, ma Caffi e Bertaggia non vengono autorizzati a girare, perché Sassetti non ha pagato l’iscrizione al mondiale (100 mila dollari, che poi verserà). Peggio ancora, dalla Fia le ex Coloni non vengono ritenute proprietà intellettuale del team. Infine in Messico per un presunto ritardo nella spedizione della nuova monoposto, sia Caffi che Bertaggia restano di nuovo a piedi e, prima di lasciare per sempre il team, vengono immortalati mentre prendono il sole in tribuna, belli stesi. Epilogo meravigliosamente glorioso, in questa elegia apologetica dei Did Not Arrive...

I britannici li chiamano con la sigla DNA "Did Not Arrive", sono i piloti che, regolarmente iscritti non si sono mai presentati alla partenza di un GP. Accone alcuni casi, forse strani, a volte curiosi, addirittura eclatanti.