Come prendere il ritorno del Biscione in F.1? Sia con realismo che con poesia
La trasformazione della Sauber in Alfa Romeo può essere presa in mille modi, ma in questo momento va inquadrata tenendo la mente vigile e il cuore aperto. Perché la cosa in sé vuol dire tantissimo o niente, a seconda di come la guardi. E soprattutto della direzione che prenderà.
Dal punto di vista degli equilibri proprietari, formalmente non cambia nulla. I padroni di ieri restano i padroni di oggi, alias Longbow Finance SA, ossia, diciamo così, gli amici carissimi del giubilato Marcus Ericsson, emigrato in IndyCar.
Sul piano della sponsorizzazione, quindi dell’immagine, dell’esborso economico e della confluenza di know-how, tecnologie, dati e materiali, nonché power unit belle cattive, si registrano invece significativi incrementi da Maranello in direzione Hinwil fermoposta Resta/Furbatto, appiccicati alle decal Alfa Romeo.
E allora questa lettura diamogliela pure, ma facciamola pirandelliana, così è se vi pare, cangiante, pluriprospettica, caleidoscopica e in divenire, tale e quale alla realtà di cui questa notizia è oggetto.
Di fatto in soldoni la presenza Alfa Romeo in Sauber e quindi in F.1 s’allarga con un esborso dilatato, pare, a venti milioni di euro, che di questi tempi non rappresentano poco-poco ma neanche follie, visto che con altrettanto s’acquista un Alfone 8C degli Anni ’30 a un’asta tosta.
La faccenda paradossalmente ricorda al momento il rapporto tra l’azienda di modellini, slot car e piste elettriche Politoys - in seguito divenuta Polistil - che nel suo periodo più d’oro diventa - per tanto meno, visti i tempi e la F.1 che era -, lo sponsor più importante del giovane Frank Williams, tanto da dare il nome alla Fx3 nella stagione 1972, con la società lombarda, che in quell’anno partecipa al Gp di Gran Bretagna) schierando la pomposamente ribattezzata Politoys FX3. E lì la cosa finisce. Un po’ quasi come la Texaco F.2 che dà il nome alle Lotus schierate nell’europeo di quegli anni, ecco.
Però, occhio, perché l’appetito vien sponsorizzando, se è vero che la Tyrrell e l’Alfa Romeo nel 1983 e nel biennio 1984-1985 portano all’arrivo della Benetton che proprio nell’85 acquista la Toleman e dall’anno dopo gli dà il nome e diventa costruttore vero e proprio - financo destinato a iridarsi - così come Fondmetal fa con Osella, a fine Anni ’80 e così via, gli esempi potrebbero esser più di mille, compresa la Ats con la ex Penske o la Spyker con la ex Midlan o la Marussia con la fu Virgin..
Per ora a Hinwil lo sponsor dà il nome alla squadra, un po’ come accade da una vita nel basket. Punto. Poi si vedrà.
Curiosamente Alfa Romeo Racing fa rima con l’ultima presenza del marchio nelle corse, perché nel 1984-1985 la dizione ufficiale era Alfa Romeo EuroRacing, in ossequio all’operazione che aveva visto la Casa cedere i materiali al team di Pavanello per una gestione decentrata e, di fatto, privatizzata.
Poi c’è un aspetto politico innegabile. Ferrari, ossia FCA, ottiene sempre più il controllo di uno junior team, anche se non ancora ai livelli della Red Bull con Toro Rosso. Di certo la direttrice futura potrebbe essere proprio quella, magari con le tre squadre top che gestiscono convenientemente ciascuno uno junior college al quale danno motori e in cui lasciano militare, a turno, certi loro piloti di riferimento. Com’era Force India lo scorso anno per la Mercedes, tanto per intenderci.
Però questo non è l’unico modo di vedere le cose. Perché poi c’è il cuore. L’allure del marchio, i ricordi evocati dal solo flatus vocis, dal mero fluire fonetico del vocabolo Alfa Romeo. E allora la faccenda, ormonizzandosi, endorfinizzandosi, adrenalinizzandosi ecco che arrapa, avvince, attizza più i vecchi dei giovani, tanto, tantissimo i maturi ma un pochino anche gli implumi, visto che nelle corse Alfa Romeo vuol dire un sacco di cose, d’epoche, d’eroi, situazioni, Quadrifogli, complicazioni affettive e nodi da sciogliere e mai sciolti davvero.
Oh certamente, una monoposto Alfa Romeo motorizzata Ferrari è coerente alla storia quanto - con rispetto parlando - un angioletto che in una mano tiene l’arpa e nell’altra il forcone, sfoggiando la coda biforcuta.
Tuttavia questa nuova fase, con una FCA globalizzata e su scenari turboibridocapitalisti, se non altro, si pone come formula nuova, liquida e quasi volatile del marchio Alfa Romeo, che diventa semplicemente nome, adesivo rosso avvolgente, ma anche catalizzante ectoplasma che, se evocato, può sempre scatenare magie indicibili frutto d’una memoria infinita e imbevuta d’eventi corsaioli indimenticabili. Varzegganti e Nuvolareggianti nonché al gusto di Campari.
Voglio dire che in F.1 come nella storia capitano cose che restano nell’aria, in sospeso come domande e poi, un bel giorno, la vita risponde. È un concetto by Baricco ma in fondo lo facciamo nostro senza problemi, perché è proprio così.
E allora, dai, diciamocelo: son decenni che antiche imprese aspettano un degno completamento. Che l’epica cavalcata di Bruno Giacomelli a Watkins Glen 1980 nel Gp Usa East attende d’essere vittoriosamente completata senza che un guasto eletrico ammultolisca tutto a una manciata di giri dalla fine, quando ormai tutti e lui per primo pregustavano il trionfo.
E un’altra fuga che stringe il cuore, stesso continente, due anni dopo, ancora aspetta l’urlo finale. Stavolta è il compianto Andrea De Cesaris, meraviglioso poleman, a menare le danze a Long Beach 1982, sotto gli occhi, anzi, gli oblò, della Queen Mary, fino a che, complice il doppiaggio della March di Raul Boesel, il ritornante Niki Lauda sulla McLaren Mp4/1 lo va a infilare tarpandogli le ali, appena prima che si rompa ogni cosa. Quello stesso De Cesaris al comando con l’Alfone anche nelle prime fasi di Spa 1983, il giorno in cui la F.1 tornò sul suo tracciato più bello e strappacuore.
Ecco, questa storia di una, anzi due monoposto che nel mondiale di F.1 2019 tornano a chiamarsi Alfa Romeo abbiamo abbastanza buon senso da leggerla in maniera asettica e disincantata ma anche cuore a sufficienza per provare un tuffo al petto, un nodo in gola e commuoverci. Per dire che sarà bellissimo tifare Giovinazzi e Raikkonen con gioia speciale, tornando a dire in F.1, dopo decenni: forza Mamma Alfa, fagli vedere chi sei.
La verità ha il colore degli occhi di chi la guarda e gli appassionati più grandi e cresciuti sono abbastanza romantici da aver capito tanto senza per questo inibire l’innamoramento antico. Sì alla fantasia, alla poesia e alla sospensione dell’incredulità, dunque, pensando che quel Biscione sulla ex Sauber è simbologicamente e mitologicamente assimilabile alla bestia potente alla quale dettero da mangiare Nivola, Nanni Galli, Spartaco Dini, l’ingegner Chiti e Vittorio Brambilla.
Oh Cavallino, Cavallino storno, ci riporti l’Alfa che ritorna.
Per una volta si vadano a nascondere le ragioni bottega. Se la F.1 è pronta a raccontare l’ennesima verità fallace, stavolta, se non altro, la mezza bugia profuma meravigliosamente di poesia.
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