Ora basta definire Charles il “Predestinato”

Ora basta definire Charles il “Predestinato”

Un Gp rognoso come quello di Russia deve solo servire a capire che vita, opere e missioni di Leclerc non hanno niente a che vedere con un cammino già tracciato. Anzi, è vero il contrario: il ragazzo  monegasco è grande proprio perché si sta facendo strada nelle corse e nella vita malgrado tutto e tutti...

30.09.2019 12:53

Vorrei approfittare del dopo Gp di Russia, ben poco favorevole ai colori Ferrari e ai suoi piloti, Seb Vettel e  il poleman Charles Leclerc, per dire una volta per tutte che odio genuinamente e sinceramente quando quest'ultimo viene definito “Predestinato”. Anzi, la ritengo - niente di personale e senza polemica con nessuno, sia chiaro - la definizione più fuorviante e sbicentrata in tutta la storia della F.1. 

Ma “Predestinato” da chi, e da quando e verso cosa?

Tanto per cominciare, prima di guardare alla faccenda da una prospettiva più globale, anche in Russia il baby monegasco sperimenta come possa essere scomoda e problematica la convivenza con Sebastian Vettel e, nondimeno, quanto la buona sorte non sia esattamente dalla sua parte, in questa sua prima stagione in Ferrari.

Charles in realtà in tutto il weekend si dimostra semplicemente perfetto: al top sia in qualifica che in gara, finisce terzo solo perché la sorte questo vuole.

Inarrivabile in qualifica, parte bene e offre come da studiato copione la scia al compagno di squadra Vettel solo per ritrovarsi al centro di 23 giri di discussioni in team radio, perché Seb medesimo non ne vuole sapere di restituire il favore e la posizione, involandosi in un forcing che non può portargli nulla di buono. Tanto che il team si occupa poi intelligentemente di restituire equità alla situazione, fermando per il cambio gomme Leclerc tre tornate prima del compagno rivale. E quindi, di fatto, facendo reinsediare autoritariamente e tatticamente il monegasco davanti.

Non basta, perché il ritiro di Vettel per avaria tecnica al 28esimo giro in curva 15, sull’apposita exit zone, due giri dopo aver montato le gialle ai box, provoca una Virtual Safety Car che regala otto secondi di vantaggio, la leadership nel Gran Premio di Russia e l’insperata chance di vincere a un incredulo e legittimamente opportunista Lewis Hamilton su Mercedes.

A quel punto, Leclerc si assume le sue responsabilità e, perso per perso, gioca la carta del pit-stop in più in regime di Safety-Car per l’uscita di Russell, decidendo di montare le rosse da sfuttare in un presunto finale superaggressivo e strappacuore.

Niente da fare, non servirà proprio a niente - neanche si fosse fermato il giro prima -, perché Charles finirà anche dietro a Bottas e a nulla varranno i successivi ventitré giri per scavalcare il coriaceo finlandese, che proteggerà la cavalcata Mercedes verso la doppietta e la preservazione dell’imbattibilità argentea in terra di Russia. Ma anche in questo caso Leclerc in realtà non sbaglia nulla. Perché se con le Rosse non riesce ad aver ragione di Bottas, figuriamoci se con le gialle sarebbe riuscito a passare addirittura Hamilton... 

No, a quel punto, molto semplicemente, non era più cosa: la lotta per la vittoria nel Gp di Russia finisce esattamente quando la Ferrari di Vettel si rompe nel momento e nel posto sbagliati. Fosse accaduto qualche piega più in là, ad accoglierlo ci sarebbe stato l’ingresso della pit-lane e con esso un finale scontato, con Leclerc lanciato in gioiosa passerella trionfale verso la quarta vittoria consecutiva della Sf90. 

Invece, niente del genere. E il conto dei punti gettati al vento nel campionato 2019 di (ma non da) Charles subisce un altro incremento, ancora una volta senza colpe che possano essergli ascritte.

E in realtà resta lui la più bella novità di questa stagione per l’intera F.1 e soprattutto, ovviamente, per la Ferrari e i suoi tifosi. Alcuni dei quali appunto farebbero bene a smettere - e per sempre - di chiamarlo “Il Predestinato”, perché il presente di Charles Leclerc, la sua storia e il suo ruolo all’interno delle corse dicono esattamente il contrario algebrico. 

Charles Leclerc nasce da famiglia monegasca non ricchissima, il che è tale e quale a descrivere un clan eschimese che non sopporta tempaccio e spifferi. Charles in kart va subito molto forte, ma fatica a trovare appoggi giusti, tanto che, quando Nicolas Todt, coraggioso e ricco di intuito, gli salva la carriera otto anni fa, donandogli, sulle prime, umili prospettive indicizzate a traguardi da ottenere, il suo è un futuro ricco di sfide e di grandi incognite.

Non bastasse questo, nella sua vita Charles continua a perdere affetti e persone importanti, quale il padre Hervé, Jules Bianchi e, infine, anche l’amico Anthoine Hubert, all’interno di un percorso interiore che si rivela tormentatissimo, sofferto e causticamente contrastato dai casi dell’esistenza e, in ultima analisi, dalla cattiva sorte. Anche se, certo, come dicevano le nostre nonne, nella vita il peggio è sempre per chi se ne va...

La verità, semplicemente, spiega e narra  una cosa sulla quale tanti, se non tutti farebbero bene a riflettere: tutta l’esistenza e la carriera di Charles Leclerc in realtà sono un “against all odds”, ossia “contro ogni previsione”, un andare al di là di tutti i guai, i problemi e gli influssi malefici della malasorte, affidandosi unicamente al talento sopraffino, con la capacità di far leva sulla residua meritocrazia esistente ancora nel mondo delle corse, il tutto sapendo sfoggiare quelli che non saprei meglio definire se non due coglioni così.

Charles Leclerc, quindi, non è un predestinato. Semplicemente perché non lo è mai stato, né mai lo sarà. 

Altroché, è un resiliente, uno che nella vita sta insegnando ai ragazzi dell’età sua, ma non solo a loro, a non arrendersi mai. A tirare dritto per la strada che s’intende percorrere, fino in fondo, se necessario anche cominciando, alla bisogna, ad alzare la voce per farsi rispettare.

A ben guardare, il destino di Leclerc, sia per censo, nascita, destino genitoriale e inerzia biografica, lo avrebbe fatto parcheggiare ben presto in uno squalido binario morto, sul quale avrebbero attecchito accidia, inettitudine e rimpianti. Invece la sua grandezza resta proprio quella di cambiare e cambiarsi la vita utilizzando piste, mezzi, capacità e prestazioni velocistiche, oltre che, innegabilmente, i risultati ottenuti, quali soli fattori di cambiamento del proprio destino. Verissimo, guida una Ferrari di F.1 per il primo test a soli diciotto anni, cosa che non era mai stata riservata alla totalità dei futuri ingaggiati dal Cavallino, nell’intera storia dell’automobilismo da corsa, ma è anche giusto dire che qualsiasi suo passo in avanti appare a tutt’oggi un miracolo spiegabile solo ed esclusivamente per capacità e classe di guida, totalmente al di sopra della media dei contender del momento.

Quindi definirlo “Predestinato” significa misconoscere la parte più bella, formativa e sudata, più profonda e più galvanizzante di Charles Leclerc. Quella più valoriale, ispirante, vivificante e positivamente emulativa per chiunque - vecchio o giovane che sia - desideri gustare fino in fondo la vicenda, l’affermarsi e l’esplodere di uno dei piloti più genuinamente dotati e sorprendenti della Formula 1 moderna e nell’automobilismo tutto.

Uno il quale tutto ciò che ottiene in pista non lo ghermisce mai grazie a un grammo di buonasorte e che ogni volta è costretto a dare l’anima per portare a casa una vittoria quand’anche meritatissima. E che poi, in situazioni come quelle di Sochi, si vede costretto alla più ansiogena, innervosente e sfortunata delle corse, anche se non è certo questo che fermerà il suo cammino o rallenterà il talentuoso e granitico nonché alfieriano volli, fortissimamente volli.

Ma, per favore, mettete una tassa, inventate un’addizionale irpef o infilate un riccio negli slip a chiunque, ancora oggi, si ostina a definirlo il “Predestinato”. 

Fascino, allure, appeal e richiamo amabile di Charles Leclerc sono tutti sentimenti che scaturiscono dal fatto che uno prezioso quale lui è - in un mondo del cavolo, paludoso, wrestlingheggiante e putridamente politicone come questo -, ha ottenuto e ottiene tutto ciò che ha e che si sta conquistando facendo leva solo su potenzialità proprie, risultati e carattere.

I predestinati, in F.1 grazie a Dio, sono ben altri.

La straordinarietà deliziosa del caso Leclerc sta proprio nel fatto che - a giudicare da tutte le tristi e tranchant premesse della sua vita - sembrava davvero predestinato solo a guardare la F.1 in Tv e poi, al massimo, a sognare leggendo Autosprint. 


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