Segni e sogni della passione

Segni e sogni della passione

La Ferrari per Leclerc e Vettel riscopre la grafica dei numeri filettati, che fa parte della storia del Cavallino da Gilles Villeneuve e Jody Scheckter in poi

10.02.2020 15:22

Certe volte essere presi in parola è bellissimo. Sulle pagine di Bastian Contrario, nei mesi scorsi, era partito a più riprese lo stimolo verso la Ferrari affinché fosse ripescato uno dei simboli più entusiasmanti e intensi della sua storia, ossia il numero 27 delle imprese di Gilles Villeneuve. E adesso la risposta a suo modo pare arrivare, eccome. Se non tale e quale rispetto alla domanda, di certo non casualmente a essa ispirata, perfettamente puntuale e pronta assai.

Sì, certo, è vero che Hulkenberg è fuori dalla Formula 1 e per ora il 27 resta nel frigo per il periodo regolamentare di gardening algebrico, però il Cavallino Rampante non è restato con le mani in mano, andando a sfoderare comunque il gusto colto e caldo per il citazionismo visuale.

Infatti quest’anno Charles Leclerc e Sebastian Vettel parteciperanno al mondiale sfoggiando come sempre i  contrasegni indentificativi - rispettivamente il 16 e il 5 -, tuttavia realizzati con una grafica che richiama chiaramente quella utilizzata dalla stessa Ferrari a partire dal 1979 in poi, col 12 per l’Aviatore e l’11 per il sudafricano Scheckter, iridato a Monza, l’ultimo mondiale Piloti con Enzo Ferrari al timone. Rosso in campo bianco, bianco in campo Rosso, la filosofia resta la stessa, ossia quello del contrassegno filettato, anche se da Sudafrica 1979 il primo ad avere il bianco filettato sul muso fu Jody (nella fiancate presentava l’opposto, tuttavia), mentre per Gilles lì per lì fu il contrario, salvo sfoggiare entrambe le soluzioni cromatiche sul muso a Monaco, con la prevalente Rossa nella disfida di Digione, del 1° luglio 1979.

Comunque, qui si parla di una storia che inizia nella seconda stagione completa dell’era meravigliosa di Gilles, passando anche per Jody Scheckter, Didier Pironi, Patrick Tambay, René Arnoux e Michele Alboreto, compreso il gran timoniere d’allora Mauro Forghieri - in plancia di comando fino al 1984 -, e non solo. Ecco, era una Ferrari fantastica quella dei primi numeri bianchi filettati. La Rossa del primo quinquennio della F.1 finalmente ipermediatica e televisiva e anche di un Circus che deliziava i tifosi italiani dal vivo di due grandi spettacoli rombanti e nazionalpopolari virati al colore racing nazionale, sia a Monza che a Imola.

Un Cavallino Rampante che coi numeri graficamente realizzati in quella foggia originale e così distintiva sapeva stupire e far sognare, dividere e innamorare, anche più del solito. Una Ferrari che poi, nel momento di maggior supremazia, ossia dopo l’inizio del 1982, conobbe la sofferenza della crisi interna tra Gilles e Didier oltre che la tragedia di Zolder che rapì Villeneuve e il dramma di Hockenheim che spezzò per sempre le ali e la carriera di Pironi. Malgrado questo, il supplente Tambay rischiò di rimettersi in corsa iride, disputando solo una manciata di gare.

Ma un infortunio in fase di fisioterapia gli impedì di concretizzare quella meravigliosa e rinnovata superiorità Rossa.

Poi con i contrassegni grafici listati in quella foggia, fu Arnoux ad arrivare vicino al titolo nel 1983, ma a impedirgli la gioia per certi versi anche meritata ci furono due fattori, ossia un’avaria meccanica a Detroit e, soprattutto, la fantasmagorica complicità di una benzina prodigiosa che mise le ali nel finale alla Brabham-Bmw di Nelson Piquet, lanciato verso il traguardo storico del pimo titolo turbo. 

E poi c’è il meraviglioso Michele Alboreto che col numero 27 filettato secondo tradizione Ferrari riporta al successo un pilota italiano a Zolder 1984 e l’anno dopo fa sognare il mondiale fino a che nella seconda parte della stagione, poi il bianco contornato fa battere forte il cuore un po’ con Berger, con Mansell e pure con Prost nel 1990 esaltante ma rovinato a Suzuka per la vendetta di Ayrton nella guerra personale col francese.

Con quel magico 27 disegnato in quella foggia, si arriva all’era Alesi e financo all’arrivo di Schumi col numero 1 traslato di fresco dalla Benetton, alla primissima stagione in Ferrari, prima che di fatto i numeri stessi in pratica sparissero dalla visuale delle monoposto tutte, per lasciare più spazio nei punti strategici alle ben più remunerative decal degli sponsor, anche se l’1 di Michael nel 2004 è un omaggio al vecchio stile bianco-filettato.

Ma torniamo ai giorni nostri. Bene, il segnale in chiave e in quota 2020 è dato. Così come fece Montezemolo quando poco dopo il suo ritorno a Maranello a inizio Anni ’90, disponendo la verniciatura bianca per i cupolini delle Ferrari in omaggio all’era di rinascita sancita da Lauda e Regazzoni, da metà Anni ’70, allo stesso modo, qui e ora, la Ferrari si riprende il gusto di affondare le mani nelle sue radici più intime e feconde.

Alla riscoperta romantica e vera di un’appartenenza identitaria e di una caratterizzazione forte, un segnale simbolico e pregnante di storia amatissima che fa sussultare e non solo tifare, ma anche commuovere, riflettere e perfino più intensamente amare. 


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