Mario, l'ottava meraviglia del Mondo

Mario, l'ottava meraviglia del Mondo

Signore e signori, gli ottanta anni di “Piedone” non sono solo un compleanno, ma un pretesto, la scusa dolce per ricordare e ricordarci chi è e che cosa rappresenta l’immenso patriarca della famiglia Andretti

02.03.2020 14:36

Mario Andretti sabato 28 febbraio ha compito ottant’anni. Ma questo non sarà mica un pezzo sul suo compleanno. Nell’era dei social gli auguri ciascuno glieli ha fatti come ha pensato e voluto. Tanto ormai chiunque è raggiungibile da chiunque e, per certi versi, in occasioni tipo questa, meno male.

No, il suo compleanno tondo tondo stavolta viene utilizzato come semplice e sublime pretesto per dire cose di tutt’altra natura ma che somigliano tanto a un regalo il quale, a dispetto della ricorrenza, come spesso accade, è lui che fa a noi e non viceversa.

Ormai tutto ciò che riguarda Mario Andretti nei confronti degli appassionati rappresenta un'immensa regalìa, l’elargizione ideale e quotidiana d’un patrimonio ideale, agonistico e storico meravigliosamente convidiso.

Tempo fa a cena con Pino Allievi e col direttore di As Andrea Cordovani dicevamo tutti la stessa cosa, che però poche volte ho visto scritta, e cioè che quella di Mario Andretti è presumibilmente la storia più bella tra tutte le millemila storie delle corse.

Somiglia alla sceneggiatura di un film già scritta e bell’e pronta per aspirare a una mitragliata di Oscar e riconoscimenti in tutto il mondo. Per certi versi è una stordente epopea alla Scorsese che va fin oltre il personaggio e che attraversa guerra, violenza, povertà, esilio, scoperta di un nuovo mondo, riscatto, salto di qualità e, infine, la parte più difficile, val a dire gestione oculata, intelligente e dignitosa della propria ritrovata fortuna. Evitando nondimeno di sbattere in faccia a veruno il riscatto ottenuto e, nello stesso tempo, per dirla alla Kipling, sapendo incontrarsi col Successo e la Sconfitta e trattare questi due impostori allo stesso modo.

C’è qualcosa di magico e umanissimo, mescolato alla storia e all’essenza di Mario Andretti e degli Andretti. Un che d’inspiegabile e allo stesso tempo d’immediato e familiare nonché famigliare.

Ogni festa di Mario Andretti è anche una festa della nostra passione tutta intera, del nostro sentimento per le corse. Perché lui rappresenta qualcosa di più d’un campione, di un innamorato dell’Italia o d’un pilota che ha vinto tanto e spesso.

Mario Andretti, ormai, nell’immaginario collettivo dell’universo mondo delle corse, è una sorta di Mister Spock di Star Trek che a bordo dei suoi bolidi ha visitato sistemi solari, epoche e galassie tra loro diverse lontanissime, salendo e scendendo, peraltro illeso, da mille astronavi e su mille pianeti. 

Altro che campione dei due mondi. Le nebulose delle corse - e non solo quelle - le ha viste, assaporate ed esplorate tutte, ricevendo ovunque non solo i premi ma anche l’omaggio, l’onore delle armi che si deve al soldato di tutte le guerre. 

Mezzo secolo di corse, con addosso la gloria anche nei due posti che l’hanno visto più sfortunato, vale a dire la Indy 500, vinta una volta sola, nel 1969, e la 24 Ore di Le Mans, vinta mai. Eppure il retrogusto, paradossalmente, è buono, per Mario. 

Se ha perso tre o quattro 500 Miglia per pura sfortuna e un paio di 24 Ore, il problema non è suo, ma di Indy e di Le Mans. Avesse vinto di più, ci avrebbero guadagnato gli organizzatori e i rispettivi eventi, ben più di lui, ecco.

Mario Andretti non è solo un pilota, ma un inno senza tempo al Motorsport. Ai sogni mai rinnegati, al trasporto agonistico infinito, alle capacità e al coraggio che diventano oro, gloria e a mille realtà ancor più grandi delle leggende su di esse fiorite.

Mario Andretti è uno che nel mondo delle corse Usa Anni ’60 – che era una sorta di congrega d’orsi cattivi, in cui ci si menava spesso, prima, dopo e a volte durante le gare –, s’è guadagnato e per sempre riguardo infinito. «Sai – mi ha confidato una volta – la cosa più difficile per uno minuto e piccolino come me, è stato ottenere il più totale e incondizionato rispetto, laddove nel Motorsport a Stelle e Strisce il punto di riferimento ideale era uno altissimo, grandissimo, aggressivo e, credimi, tostissimo come Aj Foyt. Finire rispettato come lui e da alcuni, perfino più di lui, per me ha voluto dire tanto, tantissimo, quasi tutto». 

Mario Andretti, anzitutto, è bella persona. Uno che se per caso lo incontri e lo saluti, non ti tratta male né ti snobba. Never. È persona gentile. Sempre.

Mario Andretti non è buonista. Nelle corse è stato sempre uno spietato e non ha mai reso le cose facili a nessuno. Il giorno in cui il figlio Michael debuttò in F.Indy, lui a pochi minuti dal via andò in griglia di partenza e si chinò nell’abitacolo del baby con apparente amore paterno, commuovendo mezza America. In realtà, gli stava sussurrando: «Sappi, Michael, che non sono qui per fare regali. In pista verso di te sarò corretto ma non generoso. Mai. Impara a sudarti i tuoi sogni. Buona fortuna». 

Mario Andretti ha cominciato a correre quando stava per smettere Fangio e ha disputato l’ultima gara che Max Verstappen iniziava a giocare con le macchinine in salotto, facendo brum brum.

Mario Andretti non s’è mai ritirato ufficialmente dalle corse, così come Tarzan non ha mai chiuso con la foresta o Tex Willer coi navaho o Diabolik coi caveau delle banche. Se lo hai nel sangue, lo hai nel sangue e lì ti resta. Punto.

Mario & il gemello Aldo. Storia intensa. Con Aldo iniziò la faccenda, facendo a testa e croce per chi designare chi disputava la prima corsa. Vinse Aldo e Mario iniziò dopo, ma non smise mai più.

Mario & la Ferrari, l’amore nato e mai consumato fino in fondo, ma reso eterno dalla Pole di Monza 1982. Mario & la Lotus. Conobbe Clark e Chapman a Indy e debuttò nella F.1 in pole al Glen nel 1968, quando Colin stava cercando dolorosamente di dare un senso al dopo Jim.

Mario & Ronnie, dualismo, gerarchie, lotta intestina ma anche consapevolezza reciproca d’un grande pilota contrapposto al suo opposto algebrico, poi il destino, l’iride 1978 per l’uno, la fine per l’altro.

Mario & la famiglia. Mario & i figli, poi financo un nipote in pista, a rischiare di rivincere a Indy, in un rapporto benedetto e maledetto con un posto fatato ma anche ricco d’incantesimi non sempre simpatici verso gli Andretti, ecco. 

Dai, Mario Andretti non è più solo un uomo. È un invito a godere delle corse tramite il suo canto meraviglioso attraverso i decenni. Quel suo essere ovunque e pertinente comunque. In qualsiasi evento racing nella seconda metà del Novecento lui c’era o c’era uno di quelli che ha battuto. E in qualsiasi corsa del presente o del futuro, lui c’è e ci sarà, con il suo afflato per le sfide vere e l’infinita capacità d’analisi che in due balletti e in tre righe ti spiega a voce cosa sta succedendo, senza ammettere repliche o chiose.

Mario Andretti è lo stimolo a leggere, a documentarsi, a vedere vecchi filmati, antiche registrazioni sulle corse, a reperire libri introvabili, ad abbeverarsi ai mille aneddoti di cui è capace lui o, più semplicemente, chi ha la fortuna d’ascoltarlo.

Mario Andretti a ottant’anni è la dimostrazione vivente che non esistono corse di ieri oggi e domani, ma semplicemente un presente infinito: le corse e basta. Quelle credibili. Rese nobili, stupende, commoventi e leggendarie da gente come lui.

Mario Andretti è uno che a ottant’anni gira portando al dito l’anello da Re della corsa che gli rubarono con più scorno, addirittura a tavolino, dopo essere stato premiato vincitore, ovvero la Indy 500 dell’81, causa ricorso degli avvocati di Roger Penske che fecero dichiarare race winner tramite scartoffie - immeritatamente – il rivale Bobby Unser.

«Se qualcuno non è d’accordo, me lo venga a sfilare, quest’anello, poi vediamo» – dice lui, carezzandosi ancora oggi il destro accartocciato a pugno, con la palma della mano sinistra usata a mo’ di pietra che affila la falce.

Federico Fellini amava ripetere che nella vita è fondamentale usare i tempi di scena giusti per dire addio o vaffanculo. Mario Andretti, addio non l’hai mai detto, nelle corse, mentre i fuck off li ha dedicati solo ai potenti, nei modi, nei tempi millimetrici e nei casi esemplari che lo esigevano.

Per questo e per altro, per la tua italianità, per come sai essere americano, e soprattutto, semplicemente, per come sai essere, grazie, caro Mario Andretti. Perché con o senza casco in testa e volante in mano, ormai hai alzato la posta e il tuo esempio non è più solo agonistico, ma tutto esistenziale, etico e metasportivo. Capace d’insegnare da otto decenni filati alle femmine e ai maschi che hanno la compiacenza di seguirti, dei modi belli nella vita per diventare, rispettivamente e onorevolmente, Donne e Uomini. Gente alla Mario Andretti.


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