Non è un bell’inizio di stagione, per la F.1 e non solo. Tra virus, veleni e polemiche, c’è bisogno di tornare a guardare le corse tutte con occhi diversi e ricorrendo al cuore. Grazie anche a parole che lasciano il segno...
Dai, non è cominciata bene, la stagione agonistica. Anzi, è proprio questo 2020, a partir male. Un inizio così non può piacere o entusiasmare nessuno. C’è aria triste e spaventata, in giro, ovvio, a prescindere dalle corse. Paure fondate di contagi e complicanze che conducono dritte a porte e finestre sbarrate, piazze deserte, eventi annullati, socialità ridotta, distanze ristabilite.
Eventi in bilico, gare in dubbio mentre in F.1 il mondiale a ventidue Gp, il più lungo e corposo della storia, perde pezzi, Cina in testa, rischiando di sfilacciarsi, tra richieste spaventatissime di quarantene preventive e perplessità sulla pericolosità batteriologica della comunità italiana del Circus.
Tanto che l’altra sera tirando a far tardi con Giorgio Serra, al secolo Matitaccia, abbiamo concluso che la Ferrari ha trovato il moto per rispondere al DAS della Mercedes e spaventarla ancor più: bastano un paio di finti starnuti ben piazzati.
Ma magari bastasse riderci su. Si può fare ma sottovoce, con rispetto, misurata discrezione e fino a un certo punto, perché la situazione simpatica non lo è per niente, neppure dal punto di vista della temperatura politico-giuridica.
Quindi, riassumiamo. Per i lunghi mesi invernali, fatti motoristicamente e formoulaunisticamente di niente, abbiamo atteso il via del mondiale, sognando una sfolgorante Rossa ritemprata ed elettrizzante, non per bieco e cieco tifo di bottega neh, ma soprattutto per il gusto della sfida ritrovata.
Magari un bel triello Mercedes-Ferrari-Red Bull, hai visto mai, con Leclerc e Vettel a dar noia ad Hamilton, Verstappen e viceversa, in pacchetto di mischia, tutti insieme (in)compatibilmente. Vai e senti, niente di tutto ciò.
Ai vernissage le macchine si somigliano un po’ tutte e fin qui niente di nuovo. Ma non solo si confondono tra loro, no, no, son tali e quali, a parte qualche eccezione, pure ai precedenti modelli dello scorso anno. Della serie, se quasi nulla cambia in vista di un 2021 in cui la rivoluzione sarà più annunciata che reale, come potrà mai ribaltarsi o rimescolarsi il verdetto delle pista, implacabilmente inchiodato da sei anni a questa parte sulla Stella a Tre Punte?
Una gran pena, insomma ma ormai, visto l’andazzo, stupisce chi si stupisce.
Dai pre-season test di Barcellona, per vero o falso che sia, arriva quindi il segnale di una Mercedes diabolicamente creativa grazie al genialmente furbissimo DAS e dal potenziale ancor più terrificante del solito. E la Rossa fa pochino. Tanto che delle tre squadre top, la vera possibile sorpresa in qualità di cattivissima contender potrebbe essere la Red Bull.
Poi eccoti le frasi prudentissime, flautate e un po’ smoscianti di Binotto, felice come l’orsetto Yoghi al ballo dei bracconieri dello Yellowstone, che al momento non s’aspetta neppure lui granché.
Spero tanto che Mattia sia un bugiardissimo genio della pretattica, ma boh. Ecco, boh è la chiosa più onesta, a questo punto. E questo è niente. Perché la lotta spietata e spettacolare, più che tecnica-agonistica, adesso diventa soprattutto politico-giuridica.
Visto che a rendere ancor più amaro il calice da trangugiare in questo inizio stagione, prima arriva un imperscutabile, cerchiobottista e surrettizio comunicato della Fia - la quale annuncia d’aver trovato un accordo con la Ferrari a chiusura delle indagini relative a possibili questioni di regolarità o meno circa le improvisamente strabilianti prestazioni delle Sf90 a tre quarti di stagione, sfociate in tre inattese e sorprendenti vittorie.
Bene. Quindi? Cosa vuol dire? Tra autorità e concorrenti non ci deve mica essere accordo alcuno, ma solo chiarezza e rispetto delle regole. Invece di godere di certezza del diritto, conoscibilità delle procedure, verificabilità dei meccanismi giuridici attivati, a oggi si temono paraventi e coperchi. Di rimbalzo ecco un letterone di reazione firmato da tutti i team non motorizzati Ferrari, in tutto sette, con uno spiritato Toto Wolff in testa, a chiedere, più che giustizia, spiegazioni di, della e alla giustizia. La Fia risponde e i sette incazzati a loro volta propongono un aut-aut.
Insomma, un pasticcio. Al di là delle spiegazioni reciproche in corso, è presto per dire se a medio termine il pasticcio stesso sarà grande, piccolo, immenso, consistente, insabbiabile o deflagrante, anche se la sola certezza appare malinconica assai ed è la seguente: da questa cosa, alla fine, a perderci sarà, comunque vada a finire, la credibilità e la rispettabilità della Formula Uno. E, soprattutto, il buonumore e la serenità dell’appassionato duro e puro.
Il quale, dopo aver accettato, mal sopportato e, obtorto collo, digerito i Gp a pagamento in Tv, più la quasi inavvicinabilità dei prezzi di tutto ciò che è marchiato F.1, dal cappellino di Leclerc ai mutandoni ignifughi di Ross Brawn fino a un weekend di Gp, il tutto unito alla noia monocorde e monotrionfale delle gare in semielettrificato, adesso è sempre più vicino a scoprire che tutta la faccenda oltre che poco bella potrebbe essere anche molto finta. Con patteggiamenti, ammiccamenti e un gioco delle parti da commedia dell’arte.
Non voglio dire altro né perdere ulteriore tempo a illustrare patologie, possibili degenerazioni o deprimenti e futuribili scenari, anzi, mi gusta, mi piace e m’esalta fare tutt’altro. Ossia dedicarmi alla cura dell’animo e dell’anima dell’appassionato medesimo, per prepararci e prepararlo nel migliore dei modi a vivere questo momento delicato, difficile e ingiustamente desolante.
Cominciando col porre una domanda di quelle bastardamente dirette, che contengono un punto interrogativo ma in realtà non ne hanno alcun bisogno. E se avessimo sbagliato tutto da anni e anni?
Chi e cosa, direte. Be’, tanti e tanto: i signoroni della F.1 e delle corse, hanno sbagliato, ma anche noi dei media e financo la maggioranza del pubblico, tutti appecoronati a squittire giulivi e goduriosi mille “sìììì, che bello!” di fronte a tutto quello che succede e che fanno capitare e cascare dall’alto.
Già, almeno tre decenni buttati perché vissuti nel falso mito della F.1 ricchissima, turbocapitalista, ipertecnologica, trionfale e trionfante, ostentante l’isterica e castrante ricerca della sicurezza assoluta e soprattutto una magnificenza economica cialtrona che neanche Mario Brega nei panni del macellaio arricchito nel film Vacanze di Natale 83.
Invece la F.1 intesa come Casa delle Case è implosa dopo la crisi di fine 2008 e i giganti d’allora son quasi tutti estinti, coi superstiti che fanno cartello e conventicola godendosi riduzione dei test, sviluppi di fatto calmierati, financo l’addio al giovedì per la stampa e il futuro salary cap, più diecimila arzigogoli da pitocchi per risparmiare due scudi usando simulatori che costano in realtà un casino di più.
Così, dai e dai, certi grandi della F.1 somigliano sempre più al Conte Oliver di Alan Ford: nobili ma con le pezze al culo, furbi come le bisce, quando si tratta d’arraffare due ghelli in più millantando spettacolo, elite, glamour e un appeal che non hanno ormai nulla del senso di meraviglia promanante dalla durezza selvaggia del Circus in cui James Hunt, Mario Andretti e Niki Lauda avevano facce che raccontavano vite più d’un romanzo di Pasolini.
L’endurance, poi, sembra una terra di nessuno dopo mille autodistruttivi assalti. La categoria Hypercar appare sempre più una delle più clamorose bufale nella storia della locomozione veloce, tale da far sembrare perfino la F.1 un purgatorio sostenibile.
Dai, il problema adesso per noi che vediamo Gp da quattro, cinque decadi è bello tosto, perché possiamo fare confronti e raffronti. E non c’entra niente esser anzianotti. Perché ormai a seguire le corse siamo rimasti soprattutto noi. Di baby pazzi per la F.1 pochi ce ne sono, i più preferiscono la PlayStation e i pochi attratti, economicamente, non spostano così tanto.
Ormai le corse son sempre più un paese per vecchi. E allora, comunque sia, a tutti coloro che ne hanno ormai viste e lette tante, qualche consiglio di pura sovravvivenza affettivo-agonistica voglio darlo.
Restiamoci comunque dentro, a questo amore e a questa lunga e bellissima storia rapresentata dalla nostra vita nelle e con le corse; da casa, dalla cameretta o dal vivo, non importa.Continuiamo ad amare, questa F.1. Certo, più per ciò che è stata che per quello che è. Più per ciò che il circus simboleggia da settan’anni che per i suoi attuali e discutibili circensi, visto l’inaridimento degli acrobati e il sovraffolamento di non pochi nanetti, prestigiatori e pagliacci. Coltiviamo il gusto della scoperta, dell’interdisciplinarietà e dell’eclettismo delle corse.
Badiamo ad assaggiare non tutto ma di tutto. Preserviamo le grandi classiche e i covi caldi. Dakar, Daytona, Sebring, Le Mans, Macao, Minardi Days, Goodwood, la 24 Ore del Nurburgring. Pensiamo che torna il Safari. Acquistiamo il dvd del film che esalta Ken Miles, perché è la prova che il fascino delle corse esiste ancora, travalica le epoche e si fa apprezzare anche da spettatori extra automobilismo, che so, da fidanzate simpaticamente sorprese, mica solo tra rugosi nerd impallati di Ford vs Ferrari.
Leggiamo libri sulle corse, godiamo dei social, di youtube, dialoghiamo con sinceri e caldi appassionati finalmente baciati dall’iperconnessione nei siti, nei posti e nelle pagine Fb giuste. Dove ci si conosce e riconosce, ci si confronta senza trollare e litigare.
Quando il coronavirus lo ripermetterà, programmiamo almeno un viaggio - una volta all’anno o in una vita, fa lo stesso - in una delle grandi cattedrali della passione, ciascuno scelga la sua, non per forza in F.1. Il momento è critico, sì. E bisogna tener duro, perché questo, il nostro, è uno sport meraviglioso.
Il Motorsport, malgrado tutto e tutti, malgrado perfino se stesso, è e resta wondersport. Non possiamo né dobbiamo lasciarlo, sol perché qualcuno per farsi i cavolacci suoi lo sta rendendo da troppo tempo tendenzialmente brutto, sciapo & scemo.
Tocca a noi ribellarci, offrendo - e io dico se possibile anche vivendo - modelli esistenzialmente e culturalmente diversi e alternativi da quello che il marketing mediatico mainstream ci propone e ci propina.
E, per finire, vi racconto una storia e vi regalo una piccola grande poesia che non sa d’esserlo, ma che, vedrete, vi sorprenderà e vi farà bene, restituendovi un po’ d’amore e cuore per le corse, quale primo passo sulla via della rimonta e del reinnamoramento per questo mondo.
Quattro anni fa sono a Floriopoli all’edizione numero cento della Targa Florio e ammiro Jim Glickenhaus e la sua straordinaria Ferrari 330 P3/4. Milionario, collezionista, amante dell’arte e bon vivant, prima d’accendere la belva e salirci col leggendario Nino Vaccarella per una sfilata indimenticabile, lo statunitense parla ad amici e curiosi, illustrando i punti fermi della sua - ma anche della nostra - passione. Snocciolando concetti che mi lasciano basito e che poi ritrovo in altri suoi interventi, tanto che col tempo raccolgo quelle parole, le traduco in italiano e le risistemo, dandogli un minimo di ritmo.
Alla fine, mi ritrovo con righe che sembrano un antidoto bello, smuovente e dolce contro le brutte cose che affliggono, appunto, l’inizio 2020 e le corse tutte.
Così, se la prima parte di questo Bastian Contrario è da sulfureo guastatore, il finale vuol essere reidratante, carezzevole, emolliente e tale e quale a quanto desiderate e meritate dalle corse stesse. Riscoprendo il fascino non solo degli uomini, ma anche di quelle creature meravigliosamente, inutili, indispensabili, delicate e spietate che sono la macchine da corsa, la cui origine ideale è nelle parole di uno dei suoi più romantici e concreti intenditori.
Perché se vogliamo riscoprire la poesia racing, se davvero desideriamo reinnamorarci delle corse, è da noi stessi che dobbiamo partire.
Ecco quindi le poche righe che seguono, a catturare il senso di tutto in un atmosfera emozionale, trasognata, lenitrice e alternativa a ciò che vorrebbe e potrebbe stufarci ma che mai intaccherà la nostra passione. Ladies & gentlemen, ecco a voi ciò che ebbi la fortuna di udire un pomeriggio, in un suolo agonisticamente sacro alle corse e che ora è anche tutto vostro, ovvero il Teorema di Glickenhaus:
Le macchine da corsa
Le macchine da corsa non nascono da numeri o calcoli, ma s’ispirano alle cose belle di una vita.
Vengono dal David di Michelangelo.
Ci sono suggerite da Parigi di notte.
Le immagini la prima volta mentre sfrecci per Lower Manatthan a bordo di un motoscafo Cigarette.
Mentre riascolti un discorso di John Kennedy.
Sono nell’inno americano The Star Spangled Banner eseguito da Jimi Hendrix.
Le percepisci ne “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone.
Nel tremito che ha il viso del tuo figlio appena nato.
Nel ritorno a casa della figlia che pensavi d’aver perso.
Le macchine da corsa nascono dai testi di Bob Dylan.
Da “Imagine” di John Lennon.
Dal libro “Le mie gioie terribili” di Enzo Ferrari.
Scaturiscono dagli occhi del tuo unico vero amore.
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