Lettera aperta a Kimi che lascia la F1

Lettera aperta a Kimi che lascia la F1

Ecco una grande dichiarazione d’amore a Raikkonen. E dal 21 dicembre in edicola un nostro libro a lui dedicato e allegato al settimanale

13.12.2021 11:02

Smettere a quarantadue anni può significare un sacco di cose, caro Kimi, ma una su tutte. Non ci saranno repliche, ulteriori ritorni o ripensamenti. Non ne resterà più il tempo. Perché anche la Formula Uno, come tutte le cose importanti nelle stagioni della vita, diventerà un ricordo bello e anche un’esperienza irreversibile e da rivivere con un pizzico di malinconia. In fondo tu, dear Iceman, nella storia del mondiale di Formula Uno, volente o nolente, consapevole o ignaro, per due decenni buoni sei stato la valvola della pentola a pressione, la scheggia antisistema che rendeva il sistema più sopportabile, la mosca bianca che aiutava a non pensare troppo a varie altre mosche e ai loro non sempre condivisibili e squisiti atterraggi.

Se sei stato davvero un uomo di ghiaccio, proprio non lo so, perché i nomignioli nello Sport e nei bar da una vita lasciano il tempo che trovano. Però, cubetti o non cubetti, resto più che certo che - e questo è ciò che conta -, sei stato un Uomo Vero. Perché in un mondo che ci vuole come vuole, che fin dalla nascita ci chiede d’essere funzionali, precisi e complementari al meccanismo micidiale con cui c’ingloba - che poi siamo capi di stato o usceri del catasto poco importa, ciascuno si ritrova binari, biglietti da pagare e obliterare oltre a stazioni obbligate -, be’ ecco, in un Pianeta fatto così a razzo di pane, tu sei stato forse uno dei pochi terrestri dell’era moderna ad aver coltivato un sogno raggiungendolo per strade tutte sue e restando esattamente, perennemente e implacabilmente te stesso.

Tardelli, Frank & Il Biondo

Dai, certe sere di freddo, acqua e vento, quando c’è bisogno di qualcosa che ci faccia evitare d’esser tristi, ciascuno ha le sue medicine. C’è chi riguarda il gol di Tardelli alla Germania, chi rigusta Frank Sinatra in concerto che fa piangere il mondo urlando struggente l’ultima strofa di I did it my way - ho fatto tutto a modo mio -, chi si spara il Triello de “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone e chi si inietta gli ultimi giri di Brasile 2007, con te che vai in trionfo strabeffando Alonso, Hamilton, Ron Dennis, la McLaren e la Mercedes, in un catino che frigge di Ferrari, un Maracanà improvvisamente arrossatosi per tingersi di leggenda. Tu, Kimi Raikkonen, per noi, sei questo, sì, tutto questo insieme. Fuso, oliato, mitizzato ma anche visto per quello che semplicemente sei. Un grido a squarciagola di libertà, forse l’ultimo, l’hangover durante il quale siamo orgogliosi d’essersi presi una sbornia di te. Sei un gol alla Germania in finale, sei quello che fa come gli pare, sei il Biondo che resta in piedi mentre ci si spara sulle note dell’Estasi dell’Oro, alla faccia di Tuco e Sentenza, sei il simbolo meraviglioso e bello di vent’anni di automobilismo altrimenti mediamente ammosciato e deludente, che in te trova qualcosa d’inatteso, di diverso, d’unico, trasversale, silenziosamente o laconicamente pulito, pur rifuggendo il perbenino, il finto, il retorico e gli estrogeni. Ecco, ghiaccio o non ghiaccio, il tuo bello è che non sei uno molliccio. Mai. Per come sei arrivato nelle corse e in Formula Uno, per come te ne sei andato dal Circus la prima volta, a soli trent’anni, per il modo sorprendente in cui sei tornato poco dopo e, infine, per quando, come e perché ci saluti per sempre, poiché niente è per sempre. Tu, non ricchissimo d’estrazione, col fratello pilota pure lui, ma velocissimo, scatenato e tostissimo fin dai tempi del kart, quand’eri praticamente un baby. E poi subito belva in macchina, dalla F.Ford alla F.Renault, tanto che resti uno dei pochi al mondo ad arrivare in F.1 presto, a 21 anni, e dopo sole 23 gare disputate in carriera, evitando sia F.3 che formula cadetta, perché chi va forte ha anche tanta fretta.

Sensazionale in Formula Uno

Poi favole e realtà, vere le prime e esagerata la seconda. Tu che in un test Sauber al Mugello dai mezzo secondo al giro al titolare Diniz e prendi solo otto decimi da king Schumi su Ferrari, tu che fai esordio nel mondiale F.1 in Australia con una stranissima superlicenza condizionata e vai a punti pesanti, addormentandoti a mezz’ora dal via.

Tu che entri pochi mesi dopo nell’orbita McLaren, diventandone nuova punta di lancia, in un’era in cui essere il primo cavaliere di Ron Dennis significa l’investitura verso la leggenda. Dopo sole quaranta gare corse in auto in vita tua. Poi quel mondiale sfiorato all’ultimo tuffo a Suzuka 2003 battuto d’un soffio da Schumi, il passaggio alla Rossa per prendere il posto del suo pilota più vincente e infine la laurea iridata d’Interlagos 2007, che a tutt’oggi resta anche l’ultimo urlo mondiale del Cavallino Rampante. Però basta con la cronaca, perché le cose su di te le sappiamo tutti e ci piacciono da matti.

Grazie, Kimi, e lo dico da giornalista, perché hai detto chiaramente che i giornalisti medesimi in venti anni non hanno fatto altro che gonfiarti le palle, eiettando domande per lo più inutili e insulse.

Mediamente, su di noi hai ragione. Ovviamente me compreso. Grazie anche perché vestendoti da gorilla e facendo l’asino alle feste, hai riportato un briciolo di scanzonata umanità alla figura del campione, sennò condannato ad essere perennemente ingessato e insopportabilmente politically correct. Grazie per tutte le sbornie che ti sei preso, non solo quelle private ma anche le altre, decisamente più pubbliche, financo a una premiazione della FIA, e grazie per le sigarette, i sigari e qualsiasi cosa emettesse fumo, ovviamente legale, che ti sei sparato quasi sempre di nascosto, fino al 2017, anno dopo il quale ti sei dato una calmata. I grazie vanno intesi pure nel senso del tuo discostarsi dalla figuretta del pilotino salutista, schizzinosetto, chirichetto e timorato. Bacco, tabacco e diciamo pure anche qualche Venere dimostrano che in te c’è fuoco, oltre alla cenere. E meno male, perché i tuoi silenzi sono molto più sinceri e carichi di significato dei vuoti, insulsi e sciatti bla bla di gran parte dei tuoi colleghi, più o meno titolati.

Laconico come Eastwood

Poi c’è un altro aspetto meraviglioso ed è la tua capacità di dire tutto in mezza riga. Quella voglia di non parlare che ti spinge a essere lapidario, secco, asciutto, essenziale, una specie d’eroe Spaghetti Western. E allora godetevelo adesso, perché un giorno lo ricercheremo, nel Circus, uno così, e lui non ci sarà. «Guidare è l’unica cosa che amo riguardo alla Formula Uno». «Facciamo così cagare, è incredibile» (Al suo debutto in Nascar). "La mia vita sarebbe stata molto più facile se fossi stato un pilota di F.1 negli Anni ’70. Sono nato sicuramente nell’era sbagliata". "Sono stato ubriaco per 16 giorni di fila fra il Gp del Bahrain e quello di Spagna. Non sono riuscito a ricordare quel periodo, in gran parte me lo hanno dovuto ricordare gli altri. Abbiamo fatto il giro dell’Europa e ci siamo divertiti, non era la prima volta, per noi era normale. Non c’è niente di sbagliato in questa cosa". "Bere e fumare ha reso il mio modo di vivere migliore. Se sei un tipo a cui piace leggere libri, devi leggere. Devi fare qualsiasi cosa che ti faccia stare bene, l’importante è che tu sappia cos’è meglio per te. Ognuno ha il proprio metodo, non importa quale sia. Deve essere divertente: se qualcuno ti dice tutto il tempo di fare qualcosa che non ti diverte, a lungo andare non andrai bene". "Se potessi incontrare il Kimi Raikkonen 21enne al suo debutto in F.1, cosa gli direi? Niente, non gli parlerei nemmeno". "Cosa ascolto durante la parata dei piloti? Qualsiasi genere di musica. Molto spesso, però, metto le cuffiette solo così che le persone non mi disturbino in quanto pensano che io stia ascoltando musica, mentre in realtà non sto ascoltando nulla". "Come mi sono fatto male? Sport. Ho sempre detto che fare sport è più pericoloso, probabilmente bere birra è più sicuro. Di solito infatti non ti infortuni, al massimo hai i postumi della sbronza". Reporter: "Kimi, sei mai stato arrabbiato per qualcosa, e hai gridato?". Kimi: "Sì, molte volte, ovviamente non sei felice nel caso in cui ti ritiri o qualcosa del genere, ma credo che per lo più accade nella vita normale che nelle corse. Reporter: Ci puoi fornire esempi?". Kimi: "No, in realtà no". Reporter: "Quali sono le cose che ti fanno arrabbiare nella vita normale, come dici tu?" Kimi: "Se continuate a fare domande come quelle". E per finire: "Ho sempre detto che quando non mi piacerà correre, semplicemente non mi presenterò più alla prossima gara. Potrei andare via se non ne avessi voglia e non ho alcun motivo per fare qualcosa che non mi piacerebbe. Ci sono tante cose sicuramente che non mi piace fare, ma correre non è una di queste".

Bwoahhh, Canada 2008 & altre storie

Dai, Kimi, ora dobbiamo abituarci a fare a meno di te, in pista e al paddock, a uscire dall’assuefazione potente dei tuoi Bwoahhh coi quali iniziavi ogni risposta, per dire poco più di niente ma pure tanto. E adesso, qui, ho solo qualche riga per ricordarti, esaltarti e amarti ricorrendo a un solo episodio capace di contenere tutto, per cominciare a rimpiangerti e a commuovermi da subito. Canada 2008, gara piena, pit-lane. Hamilton fa strike e colpisce te, Raikkonen Kimi di anni 29, in fila al semaforo della corsia, oh yes, ti tampona alla carlona, subito dopo la ripartenza dei box. Botto sciapo e clamoroso, detriti, casino e piloti fuori gara. Tu, Kimi, scendi a movimenti lenti, quasi ieratico, tranquillissimo. Ti accosti a Hamilton, uno dei più clamorosi paraculi del Pianeta Terra, lo guardi sereno poi gli indichi il semaforo, facendogli fare una delle più universali figure da barbagianni che un supercampione abbia mai fatto. E attenzione, perché Lewis è tutt’altro che uno così, solo che, ecco, appunto, l’attimo del coglione capita a tutti, prima o poi, perfino a lui. Ma nelle teatralità, nella presenza scenica, nell’a-sciuttezza recitativa e nei tempi comici da consunto attor grande, tu, Kimi Raikkonen, ti riveli per sempre, a Montreal 2008, come uno strano, diverso, tosto, unico, inimitabile, esilarante e irresistibile, proprio perché non hai nessuna voglia di far ridere ma ci riesci alla stragrande, perché tu sei così, punto. Perfino mai zittibile, benché e perché poco parlante.

Lo stile di guida

E poi c’è lo stile di guida. La capacità negli anni felici d’essere velocissimo quando serve, di saper tirare la coltellata in gara e anche di issarsi a re indiscusso del giro più veloce in corsa. Capace di andar forte a ritmo costante, un vero martello, riuscendo a rispettare mediamente la meccanica e le gomme probabilmente meglio di chiunque altro, nei giorni migliori.

Grazie pure per quel primo addio

Non so quello che accadrà adesso che te ne vai, però permettimi di dirti grazie per come te nei sei andato la prima volta dalla F.1, a fine 2010. Perché salutare la compagnia a poco più di trent’anni, a due da un titolo vinto ancor fresco e dalla Rossa, non era mica da tutti. Per andarsi a giocare reputazione e pelle nel mondiale rally, oppure nei catini dei truck e della Nationwide serie, la F.2 della Nascar, come uno di quei vecchi campioni del rodeo che a un certo punto della vita se ne fregano degli agi e delle cose patinate preferendo tirare lacci e corna dove capita, a più bestie possibili. Fantastica, la tua lezione di fine 2009. Signori della F.1, vi saluto, forse per sempre. Dai, chiunque faccia ingresso nel Circus, da sempre, fosse anche un reggicoda o il più grande, giammai ne esce prematuramente e volentieri. Guai. La F.1, il paddock e il suo giro largo, sono droghe mediatiche, araldiche, economiche dalle quali non ti liberi mai una volta che le hai sniffate, vedi Jackie Stewart e Niki Lauda, per fare gli esempi di due intelligenti, furbi e genuinamente pervasi da passione non solo per la filigrana. Tu, no. Quando è stato tempo, hai preso e te ne sei andato, pur pagato dalla Ferrari per l’anticipata fine del rapporto in pista. Però non sei stato a casa a guardarti le unghie dei piedi, no, hai colto l’occasione per tuffarti negli ultimi paradisi dei duri e puri. Nei rally e nel giro Nascar, ovvero per lo universo mondo nonché nell’America del Profondo Sud con la tua faccetta irriverente da Huck Finn. Ossia, rispettivamente, sulle strade pericolosamente qualsiasi griffate Wrc e nei catini più artificiosi, cioè il modo più naturale e quello più bastardo per provare a farsi male competendo ma sentendosi tremendamente vivi e al diavolo la Formula Uno. Grazie anche per come sei tornato nel Circus E poi il ritorno clamoroso nel Circus, a 33 anni, come fanno quelli che contano, dopo che sembrano spacciati. Un nome che sembrava morto e solo nostalgicamente pronunciabile, la Lotus, accanto a un cognome dato per disperso, Raikkonen. Nell’era delle tattiche esasperate e delle gomme ad alto degrado, agli ordini di James Allison, la combinazione motorizzata Renault fa miracoli, gira nelle zone nobili del mondiale e vince Gran Premi, due. Tanto che la Ferrari per il 2014 si ritrova a cercare un buon secondo da affiancare ad Alonso e sceglie il Cavallino di ritorno, Kimi, accolto dalla marea Rossa come l’innamorato ritrovato, mica solo un campione purchessia. E da lì cinque stagioni belle, particolari, piene di tanto e intense, vissute tutte col tuo stile. Da assistman, gregario di lusso, specie di Vettel, con bei gesti, buone prove e qualche cocente delusione, più spruzzatine di dispetti qua e là, perché arrivare secondi per decreto non dà mai gusto, neh. Ma il pomeriggio magico in Texas 2018, con quello scatto felino al via, rimette tante cose a posto. Culminando con una vittoria liberatoria, purificatrice, definitiva, che ci unisce tutti in un ideale abbraccio con cui da allora tanti di noi continuano a cingerti. E quindi il triennio in casa Alfa Romeo, nel quale dimostri d’assere ancora uno d’artiglio, quarantenne che non s’arrende mai, capace di qualche bello spunto e pure di sfiorare il podio, con un quarto posto in Brasile 2019. Fino al giorno, al brutto giorno, in cui, in pieno 2021, annunci di voler chiudere coi Gran Premi a fine stagione, trasformando il resto delle gare in un semitour d’addio e in un conto alla rovescia affettivo, fino al salutone targato Abu Dhabi, 14 dicembre.

Quelle cifre e poi Spa

Trecentocinquanta Gp corsi, più di chiunque altro sul Pianeta Terra, 21 vinti, 18 pole e 46 giri più veloci. Raccontato così, Kimi, sposti eccome, anche se sembra l’elenco del telefono. Eppure entusiasma soprattutto pensare a te come al maestro moderno della superpista di Spa, con quattro vittorie complessive, come Hamilton e Clark, e dietro solo a Senna con cinque e a Schumi a sei.

Passerella di commiato

Ma torniamo a questo 2021. Con ogni Gran Premio che si è trasformato in una passerella durante la quale salutarti in tanti e salutarti bene è stata la cosa più malinconica ma anche la più dolce di questa era, perché con te se ne va la parte migliore di questa F.1 e anche il gusto bambino di tutti noi di leggere in te uno col quale ci sarebbe piaciuto andare a cena e bere mezzo bicchiere di più, per ridere insieme, sbracati, confusi e felici. “Leave me alone” “Leave me alone, I know what I’m doing”, lasciatemi solo, so quello che sto facendo. Il tuo ultimo team radio nella notte di Abu Dhabi 2012, prima del favoloso trionfo a bordo della Lotus, resta for ever la tua frase simbolo, che per tanto tempo ci ha fatto ridere, sorridere e tacere, goduti. Ma dopo quasi dieci anni di silenzio, dopo l’ultima notte di Abu Dhabi 2021, finito questo buio strano, infilzato di mille luci e fuochi d’artificio, di pacche sulla spalle, di sorrisi un po’ forzati, di “dai, teniamoci in contatto” come quando da bimbi si partiva dal mare salutando tutti e promettendo cartoline sapendo che invece sarebbe stato un addio vero, finalmente ho, abbiamo, una risposta da inviarti. Collegandoci idealmente a te dal nostro muretto fittizio dal quale ti abbiamo seguito, stimato, applaudito e voluto bene da venti stagioni che sembrano un milione d’anni per le infinite emozioni che hai regalato, ma mezzo secondo per come tutto è sfumato, perché la vita bella e vigliacca regala estasi veloci, lasciando duraturi solo i gusci secchi dei ricordi. E allora, caro Kimi Raikkonen, adesso che ti sei sfilato l’ultima tuta del Gran Premio di chiusura nel cerchio della vita agonistica, ti guardiamo idealmente negli occhi, riprendendo la linea via etere per dirti, semplicemente, in ciò che resta nella notte della tua carriera, in questo team radio dei Cuori da Corsa, con un sorriso un po’ storto e la gola che s’annoda pensando al domani senza di te, solo una piccola cosa, ma per noi - e penso anche per te -, molto importante.

Ciao, Kimi. Sai quel che fai, ma non ti lasceremo mai solo.


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