La vera rivelazione del mondiale è Magnussen

La vera rivelazione del mondiale è Magnussen

Il danese sta andando alla grande ma non piace ai top team perché  è poco politically correct

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25.04.2022 17:12

Una Haas in seconda fila non c’era mai partita e Kevin Magnussen questa soddisfazione l’ha tolta nella Sprint Race a se stesso, a patron Gene e al team principal Gunther Steiner. Nel granpremietto è poi giunto ottavo, conquistando un altro punto, giungendo nono domenica e restando in top ten in classifica iridata, perdendo posizioni solo perché dietro avevano più cavalleria e velocità di punta di lui, mica più pelo sullo stomaco. Proporzionalmente all’anno di assenza dalla F.1, al modo perentorio e presumibilmente definitivo con cui era uscito dal Circus iridato e da quello che ha ottenuto nell’anno di lontananza, più i risultati del ritorno nel mondiale con la sorprendente VF-22, Kevin è la più grande sorpresa del mondiale. E non solo per il quinto posto in Bahrain e il nono in Arabia e a Imola, ma anche per il quarto tempo del venerdì in Romagna, per sopravanzare tranquillamente, puntualmente e regolarmente il nobile compagno Mick Schumacher e, soprattutto, per aver concretizzato in pista la meritatissima rinascita della Haas, grazie alla stupenda vettura concepita dall’italianissimo Simone Resta e alla gestione ideale del team del tetragono, roccioso, carissimo, spassoso e irascibile Gunther Steiner.

Ma c’è dell’altro. Lo scorso anno Kevin Magnussen con la Cadillac di Ganassi vince la gara di Detroit e quindi nel team Arrow McLaren va a sostituire l’infortunato Felix Rosenqvist in occasione della gara di Road America, tracciato di quelli vecchia maniera e il danese riesce a vivere il brivido di sei giri in testa, prima di ritirarsi per noie meccaniche. Tra le altre belle esperienze, quella alla 24 Ore di Le Mans dove corre insieme a papà Jan in Lmp2 e, sul piano umano, la neopaternità con la nascita di una figlia dal matrimonio con Louise Gjørup, sposata nel 2019. Ma la verità è che Kevin Magnussen fino a pochi giorni dall’inizio del mondiale era a tutti gli effetti per sempre un ex pilota di F.1, malinconicamente prepensionato, appunto l’umarell più biondo del mondo. Salvo essere ripescato sol perché la Russia dichiara guerra all’Ucraina e gran parte del resto del mondo dichiara guerra economica contro Putin, mettendo a piedi Mazepin restato senza sponsor.

Peggio. Già prima l’avventura di Magnussen in F.1 era proseguita sol perché aveva trovato nella Haas dal 2017 al 2020 l’unico team in grado di dargli fiducia, dopo le delusioni con la Renault, Casa nelle cui formule propedeutiche si era allevato e lanciato, vincendo la F.Renault 3,5 Series, nel 2013, l’anno prima di debuttare con la McLaren in F.1, nel primo anno della svolta turboibrida, cogliendo un sorprendente e mai più bissato secondo posto in Australia, all’esordio assoluto nella massima formula.

Da qui una domanda semplicissima. Come è possibile che Kevin Magnussen sia stato, sia e resti il pilota meno cercato, corteggiato e inseguito di tutto il Circus della F.1? Come mai se n’è andato alla fine di una stagione 2020 in cui a essere in crisi era la sua squadra, ben più di lui? E come si spiega il fatto che tuttora il danese non sembra avere, al di là delle tante pacche sulle spalle, la fila di team principal pronti finalmente a riconoscere il fondamento della sua classe? Kevin Magnussen è un duro, in pista e fuori. È uno che in gara non fa complimenti, spesso è al limite dei regolamenti per difese arcigne e attacchi iperaggressivi. Dialetticamente, poi, è uno che pensa a quel che dice e dice sempre quel che pensa, ben oltre il conformismo imperante, il blablabla e il birignao come cifra media espressiva di una buona parte dei colleghi. Il suo “Suck my balls, honey” detto a Nico Hulkenberg nel dopo gara del GP d’Ungheria 2017 resta uno dei momenti più virali e virili della sua carriera mediatica, ma al di là di questo la storia di Kevin può e deve far riflettere tutti, soprattutto sui meccanismi di valutazione, eiezione e ripescaggio quanto a meritocrazia imperante in F.1.

La verità è che la sua presenza in questo campionato è una sorta di bug del sistema, un’anomalia non voluta, una quasi imbarazzante cartina di tornasole che getta ombre inquietanti sull’autorevolezza delle porte girevoli che fanno entrare e collocano fuori piloti, molto spesso in base a ragioni d’opportunità politiche e economiche senza troppo badare alla reale sostanza di chi arriva e chi se ne va. Kevin Magnussen, in altre parole, è l’uomo che non doveva e non dovrebbe più essere in F.1 e invece ci sta eccome e alla grande. In fondo non ha neanche ventinove anni e una vita agonistica davanti. Eppure continua a non andar di moda, a essere percepito come escrescenza eccentrica, tipo scomodo e strano, un eccentrico stravagante, un mezzo piantagrane, uno che con le policy delle grandi Case e il galateo flautato delle corporation non ha assolutamente niente a che vedere.

Allora, vedete, la voglia di appoggiarlo, di tifarlo, di sottolineare tutto ciò che il danese sa fare ma anche quello che in questo momento rappresenta Kevin Magnussen, diventa inarrestabile e inestinguibile, perché la sua stupenda, inattesa e tonitruante storia di resiliente, tignosa e sfanculante umanità - che fa il paio col suo meravigliosamente ritrovato piede pesante -, è uno dei grimaldelli in grado di scardinare la spocchia, il politically correct e la ruffianeria troppo spesso imperanti in Formula Uno.

Ed è bello ascoltarlo quando descrive la sua squadra, la Haas della quale lui stesso ormai è uno dei padri costituenti con 82 sue presenze nelle 126 complessive del team: "Si tratta di una piccola struttura, praticamente un team quasi a conduzione familiare, una realtà unica in questa F.1, nella quale si può vivere e gustare un clima in cui i rapporti tra persone sono belli e importanti. Una sorta di ultimo superstite dei piccoli indipendenti".

Ecco quindi che a ben guardare dietro la rinascita di Kevin, della Haas e della F.1 dal volto umano si intravede in controluce la storia più bella, verace e calda di questo inizio di Mondiale 2022. Poi il mercato piloti con Magnussen farà come sempre quel che vuole. Anzi, faccia pure quel che vuole. Se è vero che dietro questa riscoperta c’è un pesantissimo piede destro, tanto cuore ben distribuito tra lui e Gunther e un meraviglioso ritorno in auge di valori quali consuetudine, fiducia e amicizia, forse il più bel riconoscimento delle sue qualità Kevin Magnussen potrà ottenerlo restando alla Haas, quale ultimo, unico e ideale ultimo paradiso salubre, riconoscibile e riconoscente verso uno come lui.


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