Da quando perde e fa autocritica è più simpatico ed è un esempio di scuola di vita
Dovessi dire che il Gran Premio di Baku mi abbia entusiasmato, direi una bugia. Non in quanto tifassi per questo o quello, ma sol perché da questo mondiale stanno emergendo Max Verstappen, Checo Perez e la Red Bull senza che Charles Leclerc ne abbia colpa alcuna, se non quella di guidare una macchina che si rompe spesso, fermandosi prima del tempo. Peccato. Ecco, peccato davvero. Premesso ciò, per me il momento più bello ed emozionante del weekend azero è stato nell’immediato dopogara, quando Lewis Hamilton ha cercato di uscire dall’abitacolo della sua monoposto facendo una fatica boia, peraltro veicolata con ampio risalto in mondovisione, cogliendo l’attenzione del suo capo supremo in pista, ossia Toto Wolff, team principal e azionista della squadra Mercedes nei Gran Premi.
Ebbene, Toto Wolff prende la parola e senza problema alcuno dice bello chiaro, dimodoché tutti possano udire: "Lewis, sappiamo bene che quella che stai guidando in questo momento è una shitbox (la traduzione la do per scontata, nda), quindi voglio dirti che mi dispiace per i dolori alla schiena e ti dico che metteremo presto a posto le cose". Cioè, non è la prima volta che Wolf dice la sua senza troppi giri di parole per scusarsi dei difetti, dei problemi e dell’inconsistenza della sempre più deludente e sfiancante - non solo psicologicamente -, Mercedes W13, ma stavolta usa come mai in precedenza una terminologia diretta, esplicita e per niente corporate, che non sa di style, di policy e di politically correct. E questo, Dio sia lodato, s’inserisce all’interno di un neo-atteggiamento senz’altro originale, che negli ultimi tempi ha già avuto momenti oltre che sorprendenti decisamente interessanti.
Tra questi, una tonitruante intervista concessa tre mesi fa al Times, nella quale lo stesso Wolff confessa testualmente che: "Vado da uno psichiatra dal 2004, penso di aver fatto piú di 500 ore di terapia. Ho sofferto mentalmente, spesso mi succede ancora. Ottenere aiuto è un modo per superare i miei problemi e accedere al mio potenziale non sfruttato. Penso che tante persone di alto profilo, le quali sembrano avere tutto, in realtà spesso stanno lottando contro qualcosa e credo che bisognerebbe sensibilizzare la gente sulla questione". Non solo. Al Times Toto Wolff aveva anche raccontato le difficoltà vissute da bambino. Il manager austriaco custodisce infatti un’infanzia oltre che travagliata e triste perfino difficoltosa, in quanto al padre venne diagnosticato un tumore al cervello quando lo stesso Toto aveva solo otto anni, mentre adesso ne ha cinquanta tondi tondi, essendo nato a Vienna il 12 gennaio 1972. Per terminare la sua sconvolgente confessione, lui stesso ha aggiunto che la malattia comprensibilmente mandò all’aria l’equilibrio della famiglia e nel giro di poco tempo rimase orfano di padre, trovandosi quindi nella condizione obbligata di dover imparare a soffrire e a crescere molto più in fretta dei suoi compagni.
Dovendo diventare a tutti gli effetti uomo prima del tempo. La sua conclusione esperenziale resta semplice e interessante assai: "Queste cose nel bene e nel male hanno contribuito a farmi diventare l’uomo vincente che sono ora, dopo anni in F.1". In altre parole, dal punto di vista schiettamente e strettamente umano, se devo indicare la rivelazione di questo mondiale, del tutto al di là delle vicende e delle faccende di pista, limitando il campo delle indagini a questioni di foro interiore e di sincerità intellettuale, lo stesso Toto Wolff vince di gran lunga, dandoci a tutti un’immensa lezione di vita. Guarda caso, proprio dal momento in cui, dopo aver vinto di tutto dal 2014, ha infine imparato a fare i conti prima con il sapore amaro delle clamorose sconfitte - vedi Abu Dhabi 2021 con tutto quello che comporta -, e quindi con la delusione acre dell’insuccesso, rappresentato dal concepimento e dalla nascita della sempre più abortiva Mercedes W13. In sintesi, la scuola di vita che Wolff propone e offre a tutti noi dice una cosa semplicissima: non restate impettiti. Non vergognatevi di sconfitte, lacune, sofferenze, drammi vissuti, umiliazioni o, più semplicemente, delle debolezze personali. Non createvi un posto segreto in cui nascondere tutto, un tappeto sotto al quale celare le vergogne, ostentando all’esterno un sorriso ebete e felice, mentre dentro crepate e fuori bluffate.
No. Prima agite, elaborate, trovate i problemi e risolveteli, lavorando anzitutto su voi stessi e poi, una volta messo mano senza falsi pudori a quello che non va, parlate tranquillamente e parlatene. Sopportate le cose umilianti a testa alta e senza inutili rossori, pensando solo alla riscossa. Be’, ecco, questa non sembra tanto e solo F.1, no, molto di più: è vita. La Vita. In questo momento particolare Toto Wolff sta facendo incetta di ben poche coppe e mai dopo corse vittoriose, ma malgrado ciò si sta rivelando più profondo, intelligente, apprezzabile e diciamo pure assai più simpatico nelle sconfitte che non nei trionfi. Spiegandoci chiaro che magari adesso non è in grado di dirigere le W13 verso la leggenda ma che tuttavia ora più di prima Toto Wolff medesimo, se non altro, sa campare. E per tutto questo sarà anche il caso di dirgli umanamente, empaticamente e caldamente grazie, per aver condiviso così tanto vissuto, passato e presente. Insegnandoci qualcosa di importante e allo stesso tempo di grande, perché così facendo dimostra di sapere come affrontare le questioni nodali che si presentano prima o poi nell’esistenzia di tutti i giorni e di tutti noi. Mettendo a disposizione non solo uno stile, ma un modus operandi, insegnando una strada, spiegando come si va a caccia della luce perduta. E se non ha a disposizione due W13 vincenti, per il momento, Toto Wolff, può comunque contare su una favolosa spina dorsale, che sorregge una mente luminosa la quale si riflette su due palle, che avercele.
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