Ecco come è diventato grande il fondatore della Red Bull, appena scomparso
Il fiore all’occhiello di tutto è l’automobilismo da corsa. Tutto inizia nel 2002 al Paul Ricard quando, sotto l’egida Red Bull agli ordini dell’ex pilota di F.1 Danny Sullivan, si radunano oltre cento freshboys che sognano di arrivare un giorno in F.1. Sono tutti sconosciuti ma tra loro ci sono futuri nomi noti, quali A.J. Allmendinger, Ryan Hunter-Reay e Scott Speed oltre a Paul Edwards, figlio dell’ex pilota di F.1 Guy. Il resto me lo racconta direttamente Helmut Marko e ha del sorprendente. «Quello è solo un primo passo, ma il concetto va spiegato. Mateschitz non costruisce macchine per venderle agli uomini, ma vuole costruire uomini facendoli riappropriare del loro valore. A costo di mettersi a realizzare macchine per loro. Questa è la sua visione. E sai come comincia tutto tra noi? Sono proprietario di due alberghi e un bel giorno vengo a sapere che Dietrich Mateschitz, l’uomo che ha creato il miracolo Red Bull nel mondo, è ospite di una delle mie strutture. Vado a salutarlo, ci conosciamo meglio e tra noi c’è subito feeling. Lui mi espone la sua visione, con questo nuovo umanesimo al centro dell’automobilismo da corsa, e io, che ho già un mio team, decido di seguirlo, chiudendo la mia struttura e entrando a far parte del suo progetto. Sì, quello di arrivare ai massimi livelli dell’automobilismo da corsa, costruendo uomini».
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