Quel 1983 da onorare

Quel 1983 da onorare

Un quarantennale F.1 che è anche un giallo!

02.01.2023 12:43

La vita di un appassionato vero ricomincia quarant’anni dopo. Anzi, ricomincia sempre e in alcuni casi ancora di più. Perché certe annate non se ne vogliono andare dal cuore e dalla testa, oppure perché ci sono ere che ci piacciono e basta. Ricche di nomi, rombi, ricordi, cronache e sensazioni che ormai fanno inscindibilmente parte del nostro vissuto. Quindi qua siam dentro un album di famiglia, nostra quindi vostra, mica a parlare di questo o quello, purchessia. L’anno di grazia automobilistico-corsaiola 1983, novello quarantenne dalla notte del recente capodanno, giace bello bello in questa zona magica e per un sacco di ragioni, che qui val la pena restringere a due: per ciò che accade in F.1 e, con particolare interesse, all’interno della Ferrari. 

Mauro Forghieri sapeva tutto

E qui vado sul personale e non poco. Tra le cose che Mauro Forghieri mi aveva pregato di non scrivere mentre era vivo ma, sfiorandosi scaramanticamente, semmai solo dopo, non a caso, c’è questa: "Sai, il mondiale di F.1 1983 per me resta una questione aperta, un dolce fastidio che ogni tanto mi viene a cercare. Perché noi della Ferrari quel campionato l’avevamo vinto, secondo me. Cioè, non dico mica corbellerie: il mondiale Costruttori a tutti gli effetti resta attribuito alla Ferrari, ma io parlo del mondiale Piloti. Insomma, a conti fatti, sommando i risultati dei nostri due piloti Arnoux e Tambay, e dei nostri due modelli impiegati, la 126C2 e quindi la nuova 126C3 in carbonio, schierata dal Gp di Gran Bretagna in poi, il Cavallino batte tutti, fine, non c’è discussione, con la Renault staccata di ben dieci punti. E la Brabham addirittura è solo terza, staccatissima di 17 punti da noi, cioè un abisso. Strano, no, che la macchina che fa suo il mondiale Piloti nel Costruttori sia così indietro, difatti qualcosa da capire c’è. E fino a tre gare dalla fine il nostro Arnoux è chiaramente in lizza per vincere il mondiale Piloti, poi all’improvviso Nelson Piquet e la Brabham-Bmw sembrano mettere un razzo nel motore, tramutandosi in imprendibili"

Tanti vincenti, ma alla fine...

Continuo il tema. E la Brabham vince tre gare consecutive, ossia quelle determinanti, le ultime in calendario: due con Nelson e una con Riccardo Patrese, guarda caso all’interno di una delle stagioni più incerte e col maggior numero di vincitori (Piquet, Prost, Arnoux, Tambay, Rosberg, Watson e Patrese), non solo tra i piloti ma anche tra le monoposto, con Brabham, Ferrari e Renault in veste di top team ma anche con Williams, McLaren e Tyrrell, che piazzano almeno una zampata da race winner e l’Alfa Romeo Euroracing che ottiene due secondi posti. 

Anno di spartizione democratica

Insomma, il 1983 è anno di spartizione quasi democratica della gloria, fatti salvi i tre atti conclusivi del tutto controcorrente, in cui la Brabham si trasforma in asso pigliatutto e in effetti piglia tutto, monopolizzando i punti pesanti quando contano davvero e champagne, nonché laureandosi iridata con Nelson Piquet. A questo si aggiunge che, secondo ripetute analisi, il limite per il carburante fissato a 102 ottani nelle gare decisive fosse stato superato proprio dalla Brabham, a 102,5. Un vero e proprio giallo, avvalorato da una serie di documenti riportati da Autosprint dell’epoca, diretto da Gianni Cancellieri - uno che non ha mai fatto sconti a nessuno, Ferrari per prima -, con l’inviato Giancarlo Cevenini scatenato e prolifico assai nel cercare la verità. Tutto questo fino a che, un bel giorno, si comincia a parlare di una lettera di scuse di Bernie Ecclestone e la faccenda muore lì, a sostituire benzine e sospetti con il classico menù a base di vino e tarallucci.

Le confidenze di Forghieri

A me però restano le confidenze di Forghieri, che tanti anni dopo adombrano serenamente ben altri dubbi: "Parliamoci chiaro, sono passati decenni - mi disse un giorno l’ingegnere a pranzo in una piola dalle parti di Baggiovara. Sì, piola, come la chiamava lui: ossia in un posto modesto in cui però si mangia più che discretamente -, eppure secondo me il 1983 ebbe un finale inatteso non solo in pista, ma soprattutto dopo. Prendi Enzo Ferrari: l’Enzo Ferrari che conosco io, in una storia del genere avrebbe tirato in aria il mazzo di carte e preso a calci il tavolo da gioco, se solo roso dal dubbio, dal semplice, legittimo dubbio, d’essere stato battuto e fregato con un mazzo truccato nelle ultime tre mani. Invece, niente di tutto questo. Io analizzavo i dati in nostro possesso, li rettificavo in base all’esperienza e all’osservazione che avevo avuto sui campi di gara della Brabham e mi restava la sensazione che forse ci avevano buggerato. E dico forse, perché resto una persona educata. Tanto che andavo in ufficio dal Vecchio e gli dicevo: 'Commendatore, mi creda, c’è da fare del gran casino, qui. Da spender dei soldi in avvocati e carte da bollo, perché questi non ce la raccontano mica giusta'. Insomma, lo infuocavo sempre più, ma lui niente. Poco reattivo, anzi, sempre più freddo, peggio: placido. Fino a che un bel giorno mi disse a bassa voce, prendendomi a braccetto, di lasciar stare e di concentrarmi sulla stagione successiva. Secondo te, perché?". 

Un OMISSIS di quelli tosti

E qui, francamente, non sapevo cosa rispondere, ma no problem, perché era lo stesso Forghieri ad andare al punto: "Non dirmi che io Enzo Ferrari non lo conoscevo bene. Cioè, sul lavoro ero tra i pochi al mondo a conoscerlo davvero. E il suo comportamento a fine 1983 secondo me sta a significare una cosa ben precisa: giunto a quel punto, lui aveva più convenienza a stare zitto e a lasciar perdere, che non ad arrabbiarsi sul serio. E difatti lasciò stare, per sempre. E la cosa finì lì. E sai, perché, secondo me? Ma questo non dovrai scriverlo mai, è la parte che dovrà restare tra noi... OMISSIS".

"Un anno che resta dentro"

Qui debbo fermarmi, perché non ho delega, né mai l’avrò dalle celesti sfere. Mi spiace, la faccenda sta esattamente in questi termini. Posso solo dire che il finale, ovvero la spiegazione paventata dal compianto Mauro Forghieri in fuori onda, era ed è l’interpretazione di uno più realistico del re. Punto. Morale della favola, l’ingegnere tornava nel raccontabile, dicendo: "Fatto sta che quel 1983 lo ricordo e lo sento come un anno speciale, perché è l’ultimo mondiale che ho vinto con delle macchine progettate da me e resta anche l’ultimo campionato Costruttori vinto da Enzo Ferrari. Però è anche l’ultimo mondiale Piloti che abbiamo rischiato di vincere insieme, io e il Commendatore, quindi non so se privilegiare il bicchiere mezzo pieno o quello mezzo vuoto... Però è di sicuro stagione molto particolare, ecco, questo sì. Un momento che mi è restato dentro più di tanti altri, per belli o brutti che fossero". 

Storia di una stagione

E in effetti particolarissimo il 1983 lo è, perché quasi a ogni gara capita qualcosa di inatteso e cinematografico. In Brasile vince subito Piquet, con quella Brabham che sembra una freccia, fatta realizzare solo in due mesi scarsi dal genio di Gordon Murray. Si va a Long Beach e trionfa John Watson con la vecchia McLaren Mp4/1, mettendo a segno la più grande rimonta nella storia dell’umanità. Quindi in Francia Prost impone la legge della Renault e a Imola, nel GP di San Marino, Patrick Tambay trionfa in trance agonistica e in pieno transfert con l’anima di Gilles Villeneuve, mandando in visibilio centomila persone, tra le quali chi scrive, al tempo diciottenne, di stanza al Tamburello. 

Il giorno della vergogna

È il giorno della vergogna per il comportamento di tanti tifosi Rossi nei confronti di Patrese, che esce alle Acque Minerali, subendo psicologicamente la rimonta di Tambay, e gli sberleffi del pubblico in  tribuna che esulta da stadio, dispensandogli a più riprese il gesto dell’ombrello. Si va a Montecarlo e in mixed condition Keke Rosberg con la altrove moscia Williams Fw08 disputa la più bella gara della sua vita, andando a vincere di prepotenza. Quindi dopo quasi tre lustri si torna nella rinnovata e accorciata ma superba Spa e svetta Prost, anche se per qualche giro fa sognare De Cesaris, in testa con l’Alfone di Pavanello. Ed eccoti a Detroit, con una notizia brutta e una bella. Prima la brutta, dai. Tambay litiga con la Ferrari dopo aver saltato un briefing per assistere in Tv al Roland Garros di tennis, dove gioca l’amico Yannick Noah. Quindi in  gara manco parte, perché resta fermo al via. Gli costerà cara, col non rinnovo a fine anno e l’arrivo di Michele Alboreto che intanto sorprende tutti andando a vincere sul cittadino statunitense da campione, con la modesta ma onesta Tyrrell. Era questa la bella notizia.

Ferrari & Arnoux grandi!

In Canada è il gran giorno di Arnoux che rilancia le chance iridate della Ferrari vincendo anche in Germania e alternandosi con Prost e la Renault che fanno centro in alternanza all’odiato collega ferrarista di Grenoble in Gran Bretagna e Austria, mentre in Olanda è René a tornare in auge. Prost e Piquet sono fuori a Zandvoort, autoeliminatisi in una sconcertante collisione che al tempo, quando tutto era lecito, ovviamente non termina con sanzioni né reprimende. Tutto è aperto. Chissà chi vincerà, perché mai i valori in campo sono così indecifrabili. E invece no, come sappiamo. Sul più bello, all’improvviso, la Brabham-Bmw trita tutti e porta Piquet a Kyalami a vincere il mondiale, davanti a un Alain Prost e a una Renault distrutti. Al punto che, poco dopo, il vertice della squadra francese si dissolve. 

Metti una sera a cena

Anni più tardi a cena con Jean Sage, alto dirigente della Renault sui campi di gara, gli chiedo se era vero che la squadra era saltata perché qualcuno finì a letto con la moglie sbagliata e lui mi risponde: "Complimenti per la domanda, la ritengo assolutamente pertinente, ha fatto benissimo a pormela, ma mi consenta di passare al menù della serata". Ordinati i primi, mi guarda strizzandomi l’occhio e non aggiungendo mai più nulla in vita sua. Chiaro, no? Larrousse se ne va e sbatte la porta, Prost pure e alla Renault in chiave 1984 va il transfuga Tambay, portando con sé l’amico ingegner Carletti. Cose così. E poi c’è il poi. La Bmw festeggia il primo mondiale Piloti vinto da un turbo nella storia della F.1, anche se, come mi diceva Forghieri, smembrando una cotoletta: "Il primo titolo mondiale vinto da un turbo in realtà è il campionato Costuttori 1982 con la Ferrari 126 C2 al top, ma nessuno lo dice mai e anche questo è un bel mistero, che riguarda però voialtri giornalisti, ma mica posso adesso picchiare te per prendermela con tutti... Buone anche queste patatine fritte, vero?". 

La verità di Patrese

Bene. Poche sere fa sono con Patrese, un dopocena alla presentazione di un libro su De Angelis e Riccardo torna sul 1983 dicendo una cosa giustissima, cioè questa: "Se in quella stagione Piquet fa 59 punti e io solo 15, la spiegazione c’è: per quasi tutto l’anno io vengo utilizzato dalla squadra come cavia, per verificare prestazioni e affidabilità di componenti che poi vengono montati, se validi ed efficaci, da Nelson. È questo il motivo per cui a prestazioni, specie in prova, posso dire la mia rispetto a lui, ma in gara sono molto spesso vittima di ritiri. Questo spiega anche perché la Brabham sia così indietro nel mondiale Costruttori". 

Rivali ma Amici

Infine, la storia resta fatta pur sempre da uomini. Per gli strani gioci del destino, Paul Rosche, ovvero il papà del potentissimo ma in quel caso discusso motore 4 cilindri Bmw che a fine 1983 batté la Ferrari di “Furia” e del Drake in circostanze mai del tutto chiarite, è estimatore incondizionato oltre che uno degli amici più grandi e più cari di Mauro Forghieri. E, due decadi dopo, quando ci sarà da affidare un ruolo importante nel ritorno della Bmw in F.1, sarà proprio l’Oral Engineering dell’ingegnerone e del fedelissimo collega Franco Antoniazzi a ricevere la fiducia della Casa di Monaco. Di più. Sempre l’Oral, con Forghieri & Antoniazzi, procederà alla realizzazione della non più fantomatica - perché mostrata nel corso della nostra serata di festa, durante la passata edizione dei Caschi d’oro di Autosprint -, Bmw MotoGp tre cilindri. Vado oltre. Gordon Murray, papà della Brabham Bt52 freccia, da lui stesso ritenuta tra le tre vetture più importanti nella sua carriera di progettista, ritiene il trionfo nella stagione 1983 tra i più belli della sua vicenda agonistica sui campi di gara. Del tutto inutile chiedergli qualcosa circa le benzine, perché quella era una materia riservata al motorista Rosche, che però non c’è più da quel dì, ovvero dal 2016. La sola cosa certa è che anche Murray fino all’ultimo è stato amico di Forghieri, tanto che andava a trovarlo in villa a Magreta una volta all’anno, mangiando grana all’aceto e rinverdendo i bei tempi andati. 

L’unica certezza? Roberto Rinaldi

Al giorno d’oggi, l’unico che potrebbe dire qualcosa in materia potrebbe essere Bernie Ecclestone. Chissà. Quel che conta davvero e anche il vero motivo della stupenda cover di As di questa settimana, ad opera del maestro Roberto Rinaldi - capace di passare con nonchalance da Dylan Dog alla F.1 1983 -, e delle pagine che seguono, qui e ora, è non dimenticare. Non dimenticare l’anniversario numero 40 di un’annata intensissima, combattutissima e comunque bellissima, la quale ci regala l’ultima Ferrari iridata del Drake. E non dimenticare neanche che tutti tecnici apicali rivali giurati di quell’annata, ingegneri Ferrari e Brabham-Bmw in primis, con gli anni, invece d’odiarsi, erano diventati fraterni amici e convinti estimatori l’uno dell’altro. Perché l’intelligenza unisce. Solo la stupidità divide. E quando il genio si sposa al cuore, certe storie intense non finiscono mai.


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