Gianni Agnelli & John Elkann il senso di una tradizione

Gianni Agnelli & John Elkann il senso di una tradizione

La 499P si innesta all’interno di una grandiosa storia di passione per la Ferrari

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23.01.2023 09:31

Il 29 settembre 1968 il Presidente della Fiat Gianni Agnelli dà ufficialmente il via alla trentaseiesima edizione della 24 Ore di Le Mans. L’Avvocato, in realtà, ama la 24 Ore e per varie ragioni. In fondo lui, Uomo di Sport, non sfugge al richiamo di una bella sfida, che sia di cielo, di terra e di mare. D’altronde aria, terra, acqua e fuoco sono gli elementi costitutivi per i presocratici e restano gli ingredienti passionali delle umanissime inclinazioni di Gianni Agnelli. Il quale ama spostarsi in elicottero, che utilizza perfino al posto dello skilift - lui l’adorato sci lo chiama “ski” -, o come trampolino per gettarsi in mare, quando anela a una nuotata selvaggia. Invero adora i cimenti marittimi di vela o motonatica - poi al culmine col Destriero -, e prova da sempre sensazioni forti per la sua Juve: «Si dica quel che si vuole, ma c’è sempre un certa emozione nell’aria quando si vedono scendere in campo quelle maglie bianconere».

L'amore per la Le Mans

E il fuoco endotermico di un motore da corsa che lacera l’aria ruggendo disperato proprio non gli dispiace, specie se urla a vita persa sulla ligne droite dell’Hunaudieres, il rettilineo più veloce e pericoloso del mondo. Gianni Agnelli diventa Presidente della Fiat nel 1966 e l’anno dopo è alla 24 Ore di Le Mans, in compagnia del fratello Umberto. Fa un freddo cane, il sabato della corsa, e loro sfilano in pit-lane elegantissimi e curiosi, in giacca e cravatta, come se fosse uno splendido dì di primavera, mentre tutt’attorno i commissari di gara li guardano stupiti e ammirati, intabarrati in giacche a vento degne di climi moscoviti. Per tutto il bel mondo, Le Mans 1967 è il posto in cui stare. Con la Ford che è tornata, per ribadire il trionfo dell’anno prima e la Ferrari che per impedirglielo sforna il mezzo semovente più bello di tutti i tempi, la P4. Non ci riuscirà. Quanto ai francesi, guardano Gianni Agnelli, ne restano incantati e gli propongono di tornare l’anno dopo, per dare il via alla gara. Occhio, che a Le Mans far da mossiere è un onore riservato a capi di stato, capitani d’industria o leggende dello Sport. Tipo, negli anni, il Presidente della Repubblica Pompidou, ovvero il ciclista di culto “Pou Pou” Poulidor.

Quell'edizione del 1968

Prima di Gianni Agnelli, l’unico italiano chiamato ad avere eguale onore, è il conte Aymo Maggi, co-inventore della Mille Miglia, nella poi purtroppo supertragica edizione 1955. L’Avvocato si ritrova in una strana edizione autunnale della classicissima, rimandata di oltre tre mesi a causa delle agitazioni del Maggio Francese. E per la prima volta nella storia sbandiera il via col tricolore transalpino alle 14, perché la gara parte due ore prima, rispetto alla tradizione. Sarà l’ultima volta che i 54 piloti al via sgambettano senza polemiche, nell’iconico avvio di corsa, poiché l’anno dopo, il 1969, Jacky Ickx partirà camminando, beffardo, per protestare contro la pericolosità dei primi chilometri di gara percorsi senza potersi allacciare le cinture di sicurezza. Quindi, per certi versi, abbassando davanti al mondo quella bandiera, Gianni Agnelli chiude un’epoca di Le Mans e apre la sua. L’edizione 1968 vedrà la terza vittoria per la Ford, stavolta non in salsa americana, ma nei colori e nella filosofia del britannico John Wyer.

Il testimone da raccogliere

Nel 1969 la Fiat entrerà ufficialmente nella Ferrari esattamente tre giorni dopo il quarto e ultimo successo consecutivo della Ford a Le Mans. Gianni Agnelli, il sabato in cui sbandierò l’avvio della 24 Ore di Le Mans 1968, aveva 47 anni d’età. Esattamente la stessa del nipote John Elkann, quando le due 499P prenderanno il via dell’edizione 2023 della maratona, il prossimo 10 giugno. C’è qualcosa di bello e grandioso, in tutto ciò. La poesia del gusto d’essere sportsmen, puri uomini di sport, che fende epoche e generazioni, all’insegna dello stesso Dna tenace e inquieto. Il gusto della sfida, il senso di un amore per un marchio, quello della Ferrari, e di un luogo, Le Mans, che nel 1949 fu il primo in cui il Cavallino s’affermò fuori dall’italia, spiegando al mondo delle corse che era nata una stella in grado di dare Nesquik alla via lattea. C’è qualcosa di narrativamente, sostanzialmente e anche scenograficamente stupendo nell’innamoramento e nella fascinazione di John Elkann per l’Endurance, per Le Mans, di cui è stato mossiere nel 2021, e per la stessa Ferrari, rivissuta e riportata nel suo cimento ancestrale. Una storia che chiama storie, che riallaccia generazioni, passioni e Cuori da Corsa. Quando l’Avvocato Agnelli compì settanta anni, nel 1991, il calciatore Michel Platini gli regalò il suo primo Pallone D’Oro, guarnito da un biglietto con su scritto “Questa è l’unica cosa che lei non potrà mai avere”. Agnelli ricambiò, donandogli un pallone interamente in platino. Se un giorno l’equipaggio di una Ferrari 499P dovesse vincere Le Mans, sarebbe bello vedere quelle tipiche tre coppe a parallelepipedo donate dai Piloti alle tre persone che più le meritano al mondo, ovvero Arturo Merzario, autore dell’ultima fuga sfortunata di un prototipo Ferrari nella notte di Le Mans, mezzo secolo fa, Antonello Coletta, motore tutt’altro che immobile della rinata saga Ferrari a Le Mans, e John Elkann, il più rivoluzionario tra i Presidenti Ferrari dell’era moderna. Magari con tre biglietti, con su scritto: “Questa adesso è la sola cosa dovete avere e che meritate”. Ricordando l’Avvocato, venti anni dopo. Onore a lui e in bocca al lupo, a voi tutti.


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