Effetto suolo, sorpassi e vittorie per tutti? Manco per idea...
In giro sulla F.1 se ne dicono di ogni, ma ce ne fosse uno che uno a porre una domanda semplicissima e di gravità immensa: che fine ha fatto la strombazzata e decisiva rivoluzione del 2022, col ritorno dell’effetto suolo, la miriade di sorpassi promessa, il budget cap salvifico e il favoloso livellamento delle prestazioni che avrebbe ristretto il gap tra top team e sfig team, tenendo apertissime vita natural durante le lotte per le vittorie di tappa e per il titolo?
Ricorderete che nel biennio 2020-2021 si era corso con gli stessi telai giusto per risparmiare, in pieno tsunami Covid-19, quando neanche si sapeva se avremmo potuto uscir di casa il giorno dopo. Tanto - pensavano e pensavamo tutti - il vero cambiamento, dopo un settennato di monopolio Mercedes, avverrà dal 2022 in poi. Pure John Elkann, a inizio 2020, aveva detto che ormai i veri piani di riscossa per la Ferrari partivano da quella data. Da due anni dopo. Al grido sanculotto di ora basta. Dalla strepitosa seconda generazione turboibrida. Da quando la F.1 avrebbe scritto in bella copia, abbandonando per sempre la brutta. Altri, financo più ottimisti e in piena estasi agonistica da riforma, avevano azzardato a immaginare perfino l’imminente e inevitabile abolizione del DRS, perché, con le monoposto in grado di stare in scia l’una all’altra senza più soverchie turbolenze, superare sarebbe diventato facile come dare un bacio a una zia. E perfino i preti avrebbero potuto sposarsi, ma soltanto a una certa età. Così facendo si è andati a cambiare, stravolgere e abbandonare una formula tecnico-regolamentare che, dopo otto campionati monocratici e penitenziali, finalmente aveva proposto una sfida elettrizzante, indecifrabile, tiratissima e memorabile, all’ultimo tuffo tra Hamilton su Mercedes e Verstappen su Red Bull, mal finita ad Abu Dhabi 2021. Bene.
Da lì in poi, quindi, ci si sono messi lorsignori, con i maestrini del promoter a spiegare per filo e per segno, anche coi disegnini a prova d’imbecille, come e perché ci si stava muovendo ad ampie falcate verso un’epoca meravigliosa di cambiamento, forti degli errori e delle esperienze del passato. Tutti, Federazione, team, giudici arbitri, piloti e custodi dei circuiti e perfino quelli che per entrare scavalcano i muri, erano plebiscitariamente concordi che il peggio era alle spalle mentre il meglio doveva ancora arrivare. Un anno e mezzo dopo vi propongo non opinioni ma dati, giacché i fatti sono argomenti testardi e belli duri da smentire.
Nelle 27 gare disputate con le monoposto a effetto suolo, 22 sono state vinte dalla Red Bull, solo 4 dalla Ferrari e una dalla Mercedes. Un solo uomo al comando: Max Verstappen che tutti sanno già, con nove mesi d’anticipo, essere pure l’iridato 2023 ereditando la corona da se stesso, peraltro virtualmente mondiale già dopo Imola 2022. Su 81 posti disponibili a podio, solo 5 sono stati ottenuti non da top team. Ovvero 4 dall’Aston Martin e tutti nel 2023 e uno, una tantum, dalla McLaren.
Vado oltre. Su 27 qualificazioni solo in due weekend la Pole Position è stata assegnata a un team che non fosse Red Bull e Ferrari. E questo è accaduto a Russell (Mercedes) in Ungheria 2022 e a Magnussen (Haas) solo causa pioggia sopravvenuta, in Brasile (ancora nel 2022). Quest’anno la Red Bull ha vinto cinque gare su cinque e in quattro ha fatto doppietta: en-plein che potrebbe ripetere sempre, anche cento volte se si corresse cento volte, ossia in tutti i casi in cui una RB19 non si romperà. Non basta mica. Alla auspicabile abolizione del DRS e della perdita della sua importanza non pensa più nessuno. I sorpassi in staccata quasi non esistono più. Peggio: del DRS come arma letale la Red Bull ha fatto, al contrario, uno dei fondamenti della sua schiacciante e ammorbante supremazia. Faccio di più, dilago facile: il budget cap è stato puntualmente violato dalla Casa dominante la quale - non importa l’entità della violazione ma il principio -, l’anno dopo, malgrado irregolarità e sanzione comminata, vanta una superiorità ancor più marcata e quasi caricaturale sulle altre competitor. E, badate bene, se tutto l’universo mondo della F.1 era chiassosamente e gioiosamente concorde a sostenere la Rivoluzione salva Gran Premi, adesso ce ne fosse uno a dire una cosa semplice e onesta: abbiamo fallito. Non avevamo capito niente.
Siam lì a fare i pitocchi risparmiando un motore e un cambietto per fingerci ecosostenibili e poi buttiamo via milioni di fantastiliardi rivoltando la F.1 come un calzino solo per peggiorare le cose e renderle più inique. Insomma, questi, dal primo all’ultimo, vincenti o perdenti, dovrebbero solo dire due robe. 1) Abbiamo sbagliato. 2) Scusate tanto. Invece? Lorsignori tutti a fare i fenomeni più di prima. Ad abbracciare sceicchi e rapper in starting grid e a sculare in pit-lane tirandosela come frecce e partorendo format, regoline cretine e direttive bolse ogni tre per due. Invece? Lorsignori si vantano che ai Gran Premi va gente. Tanta gente. Quindi hanno fatto tutto bene. Perché se i conti tornano, dai, chissenefrega. Ah, sì?
Cerchiamo di capire e facciamo un esempio bello chiaro, cambiando scenario. È come se un governo promette la riforma agraria per abolire il latifondo e ridistribuire le terre, la fa, ma non ci riesce, ottiene l’effetto contrario, addirittura peggiorando la situazione, e poi prova a cavarsela dicendo: be’ va be’, però la produzione dei carciofi è in aumento, il grano tracima, mai viste così tante cipolle e mai come ora la ricchezza spopola. Che cosa c’entra? Chi vinceva vince di più e i perdenti stanno peggio. La riforma è politicamente e perequitativamente fallita e i riformisti andrebbero riformati. Chi di loro in particolare? Niente di personale. Tutti. Perché tutti sono colpevoli. Dai team, che hanno accettato il breviario senza porre obiezioni, loro che in casa hanno centinaia di ingegneri ciascuno per capire prima di chiunque l’errore, alla FIA che ha vidimato e bollato sta colossale pagliacciata, alle sempre più inutili F.1 Commission, fino a Liberty Tedia, che ne prendesse una che è una.
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