Per favore, lavate la macchia del Fuji

Per favore, lavate la macchia del Fuji

Il tracciato alle pendici del vulcano sacro ai giapponesi resta sinonimo di bellissimi centri per le Ferrari in GT. Eppure viene ricordato come teatro della più grande delusione nella storia Rossa...

04.09.2023 11:10

Se guardiamo i fatti, altro che Gp d’Italia F.1. Il weekend più tosto, intenso e ansiogeno di questo fine stagione in casa Ferrari si vivrà al Fuji, con la gara del Wec che dirà tante cose sulla lotta per il titolo iridato in categoria Hypercar.

Classifiche incerte, BoP permettendo

Infatti dopo la 6 Ore di Monza la Rossa resta in piena corsa per il mondiale Costruttori e Piloti nei prossimi appuntamenti, sia in Giappone che Bahrain. In classifica Costruttori la Toyota comanda con 152 punti, seguita dalla stessa Ferrari a 126, quindi dalla Cadillac a 72, dalla Porsche a 66 e dalla Peugeot a 50. Quanto alla top five degli equipaggi, a far da battistrada c’è il Toyota #8 (Hartley/Hirakawa/Buemi) con 115 punti, seguito da quello della vettura gemella #7 (Lopez/Kobayashi/Conway) a 92, pari col primo sodalizio Rosso, la Ferrari #51 (Pier Guidi/Giovinazzi Calado) a 92 e il #50 (Fuoco/Molina/Nielsen) a 85, col Cadillac #2 (Lynn/Bamber/Westbrook) a 71 punti, a chiudere la top five. In poche parole, sarà lotta dura e incerta a tutti i livelli, sperando che la parola finale sul duello italo-giapponese in atto non sia dovuta alle alchimie - non sempre nobili - del famigerato BoP.

La storia del Fuji

Piuttosto, se anche il destino e la fortuna possono metterci le mani, be’, allora c’è da dire che la Ferrari stessa non può che sentirsi immensamente in debito col tracciato posto alle pendici di quello che viene da sempre considerato un luogo iconico e sacro, per i giapponesi. Non a caso la pista sorge alle pendici del vulcano più noto, fotografato e dipinto del Giappone, ovvero il leggendario Fujiama. Nato a metà degli Anni ’60 come interpretazione orientaleggiante degli speedway in salsa statunitense, grazie alla presenza in origine di ben due sopraelevate, il circuito viene convertito a pista stradale nel 1967 e nel lay-ot odierno, assai rivisto da quello che ospitò il debutto nipponico della F.1 iridata nel biennio 1976-1977, assomma 16 curve per un totale di 4,5 chilometri di lunghezza e una bella tradizione soprattutto legata alle gare internazionali endurance.

I successi della Ferrari

Sotto tale versante la Ferrari, dalla recente rifondazione del mondiale di durata avvenuta nel 2012, ha ottenuto sonanti centri di categoria, tra le Gran Turismo. Tanto che non possono non essere citati i successi nella classe maggiore delle GT nel 2014 e 2015 con la 458 Italia GTE al top con Toni Vilander e Gianmaria Bruni, ossia in LMGTE Pro. La 488 GTE di nuovo al top va nel 2017, con Pier Guidi e Calado in classe LMGTE Pro e a ciò va aggiunta la doppietta 2022 della 488 GTE del team AF Corse con Pier Guidi-Calado seguiti da Fuoco e Molina. Trionfo tale da lanciare il marchio nel finalone del Bahrain dal quale sarebbe uscito al top, sia tra i Costruttori che nella classifica Piloti, con Calado-Pier Guidi. Quindi Amato Ferrari e Antonello Coletta quando sentono nominare il Fuji vantano più bellissimi ricordi che altro. Il discorso, però, per dirla tutta, assume una va- lenza e un’importanza molto differenti nella storia Ferrari.

Quando Lauda...

Perché il Fuji resta a tutti gli effetti location e sinonimo della sconfitta più amara in tutta la storia del Cavallino Rampante. Ovvero l’esito dello shootout del mondiale 1976 datato 24 ottobre 1976 tra Niki Lauda con la Ferrari 312 T2, reduce dai traumi del rogo del Nurburgring datato 1° agosto di quell’anno, e il britannico James Hunt, al volante della McLaren M23. Il resto è noto e costituisce nell’era recente financo la trama del film “Rush” del regista Ron Howard, con Niki Lauda che si ferma e rinuncia a proseguire la gara, disorientato dall’uragano iniziale, mentre il biondo rivale britannico non vince la battaglia ma si aggiudica la guerra, ghermendo i pun- ti necessari per fare suo l’agognato titolo mondia- le per un’incollatura. Lasciando il Drake e l’Italisportiva tutta nello sgomento.

La corsa era partita alle cinque di mattina ora italiana, trasmessa dalla Rai in diretta, con Mario Poltronieri in veste di ineguagliato telecronista per classe, preparazione e misura. Con uno share del 100%, milioni di sportivi tricolori vissero la più cocente delle delusioni, con un rovescio foriero, da lì a poco, di infinite polemiche sulla legittimità del cosiddetto coraggio d’avere paura mostrato dallo stesso Lauda. Una storiaccia che, alimentata e dilatata, porterà come esito finale al divorzio ricco di polemiche e recriminazioni tra il Drake e l’austriaco, il quale, dopo aver rivinto il mondiale e saldato il conto, a fine 1977 saluterà la compagnia, sbattendo la porta. Con l’uscita di un instantbook ricco di avvelenate memorie, il terribile “Protokoll” che nelle sue pagine più sulfuree attaccherà, come mai nessuno aveva fatto in passato, Enzo Ferrari e Mauro Forghieri.

Di fatto segnando la fine dell’epoca felice della rinascita Rossa, inaugurata nel 1974, con l’arrivo del giovane Montezemolo artefice del rilancio e del lancio di Clay Regazzoni e dello stesso Lauda.

Il Fuji, insomma, per i vecchi delle corse, dal punto di vista dello shock culturale, più ancora che per i successi di Antonello Coletta e Amato Ferrari in GT, è simbolo di rovescio e di una dolorosissima ferita infetta in modulazione F.1, che sarebbe bene, finalmente, disinfettare, guarire e superare con una grande e ulteriore prova d’orgoglio delle 499P.

Magari tale da spostare l’inerzia del mondiale e dare una seconda spallata alla lotta iridata, dopo la leggendaria vittoria di Le Mans.

Cari ragazzi di Ferrari-Wec, pensateci bene, dunque. Per tanti di noi Fuji vuol dire soprattutto rimembranza di dolore e rabbia. Quindi, sappiatelo, prima laverete quest’offesa atavica e antica e meglio sarà, per la storia stessa e per il percorso emozionalmente psicanalistico dei più maturi tifo- si della Ferrari, compreso chi scrive.

Detto questo, giusto per dare un segnalino benaugurante, tra i prototipi - anche se senza validità iridata - la storia dice una cosa carina e felice, ossia che la Ferrari è imbattuta nella sua unica presenza, alla 200 Miglia del 1970, gara non valida per il mondiale ma a validità internazionale.

La 512 S della Scuderia Picchio Rosso, guidata pilota milanese Gianpiero Moretti in arte “Momo”, in gara insieme a Corrado Manfredini, si aggiudicò la corsa, do- minando sui locali. Della serie, alla voce prototipi destinati comunque a correre nell’epico mondiale Marche di quell’anno, il Cavallino al Fuji vanta ancora, seppur con la 512 schierata in forma privatissima, un ruolino glorioso e bello immacolato. L’augurio di tutto cuore è quello di riuscire a mantenerlo tale, rimandando al finalone del Bahrain la decisione del duplice duello iridato in atto tra la Rossa e la Toyota. Contribuendo a dare a questa annata un senso speciale, dopo l’indimenticabile acuto della Sarthe, che ha riscritto la storia delle corse, ridando gioia e voce squillante all’orgoglio ferrarista. Allora forza, ragazzi, cambiamo segno e sogno al Fuji, rendendolo la gioia nostra e la disfatta altrui


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