Sainz sr, Hamilton, Alonso e non solo loro sono il simbolo della classe
Anziano è trendy. Maturo sposta. L’anticato torna di moda. Che bello. Qualche anno fa, nel 2018, il mondiale Wtcr conquistato da Gabriele Tarquini a 56 anni un bel segnale lo lanciò, e adesso, a ben guardare, tutte la main stories, ovvero gli argomenti forti e i filoni tosti del racing 2024, almeno per ora, di questo parlano. Mai come in questo momento si investe sui vecchi campioni.
Carlos Sainz ha da poco rivinto, per la quarta volta, la Dakar con l’Audi elettrificata assai, da stupendo over 60, in pratica gettando le basi per trovar posto nelle prossime edizioni. Sublimando a una fase diversa, nuova, nel nostro automobilismo racing. Che a livello mondiale sta quasi cercando di spiegarci qualcosa.
In F.1, per la prima volta nella sua storia recente, la Ferrari ha deciso di investire in modo torrenziale su un pilota, Lewis Hamilton, che quando andrà al suo servizio, a inizio 2025, avrà compiuto i quaranta. Scommettendo su di lui con un pluriennale. Ed è la prima volta che crede in un quarantenne dai tempi di Fangio, giacché l’ingaggio del 42enne Mario Andretti a fine 1982 per la Rossa fu più necessità impellente che non volontà pianificata.
E che dire di Fernando Alonso, classe 1981, che a quarantatré anni continua a crederci e che sogna di strappare il ritorno alla vittoria più sospirato - perché ultradecennale - e lungo come interludio in tutta la storia della F.1, sempre a patto che l’Aston Martin faccia il suo. Non finisce qui. Vogliamo dirne un’altra? Chi è, secondo voi, il pilota leader, il numero uno dell’endurance mondiale? Ciascuno avrà una risposta, questione di opinioni, per carità. Ma, dati e cronometri alla mano, farei il nome di Alessandro Pier Guidi, uno del dicembre 1983, quindi quarantunenne. Nei giorni scorsi parlavo con lui a Daytona, luogo della sua bellissima affermazione in classe Gtd Pro con la sbocciata Ferrari 296 GT3 di Risi Competizione, e l’argomento toccava il suo momento magico, nella scia del trionfo alla 24 Ore di Le Mans.
In sala stampa gli chiedo: ehi, ingegnere, com’è possibile che tu stia dando il meglio, cogliendo le vittorie più importanti, nei quaranta? Lui sorride e dice: "Guarda, sto vivendo un bellissimo presente, però io in carriera ho cominciato a vincere davvero quando finalmente ho avuto le occasioni giuste. Ho dovuto aspettare, prima. Non poco. E adesso, forte anche della mia maturità, mi godo il momento. Perché a me l’automobilismo ha anche insegnato ad attendere pazientemente le chance buone". Dando un occhio al mondiale rally, Sebastien Ogier, classe 1983 - anagraficamente a metà tra Alonso e Hamiltoin, per intenderci - non solo va ancora forte, secondo a Monte Carlo dietro a Thierry Neuville, neh, ma, paradossalmente, appare perfino meno saturo e stufo del pur sensazionale Kalle Rovanpera, bambino prodigio pluriridato in carica, che nella sua breve vita non ha fatto altro che piazzare traversi e ora, comprensibilmente, pensa anche pure ad altro.
Insomma, qui tra prove e indizi ne abbiamo abbastanza per arrivare alle conclusioni, sottolineando che le corse, finalmente, sono anche, globalmente e interdisciplinariamente, un paese per vecchi. Ma non solo pittorescamente intesi come arzilli strani che non si vogliono arrendere, nonnetti mezzi matti che ancora qualche sorpresetta longeva la piazzano, tipo ogni tanto una nostalgica bottarella di vita. No no, quello che intendo dire è ben diverso.
Esistono e spiccano sempre di più atleti perfetti, piloti completi agée che non solo non hanno niente da invidiare ai più giovani, ma che vanno tanto quanto loro, se non di più, vantano contratti non meno onorati e onerosi, si pongono degli obbiettivi altrettanto gloriosi e, rispetto alla linea verde dei nuovi campioni, sentono di non avere nulla da temere. Tutto ciò è meraviglioso per almeno due motivi.
Prima di tutto perché pone freno e per certi versi ridimensiona il fenomeno dei bambini-pilota. L’esagerazione del voler mettere in macchina - macchina in senso lato, perché si parla di kart -, a volte fin troppo presto dei baby che alla loro età scolare dovrebbero più indulgere sulla Pimpa e Spongebob, che non occuparsi di assetti, gomme morbide e telemetrie.
Perché va bene alzare l’asticella, ma è anche altrettanto sensato non esagerare tra frugoletti sensazionali e academy a go-go, per evitare - rischiando di creare alcuni spostati esitenzialmente spaesati - l’infantilizzazzione del motorsport, fenomeno che proprio non avrebbe niente a che vedere col baricentro filofosico del nostro mondo. Il quale, se ha un fascino in più rispetto alle altre discipline, è proprio quello di non presentare limiti di età decisivi ma solo elasticamente orientativi.
E poi c’è un altro aspetto stupendo, che qui e ora m’è dolce sottolineare. Il fiorire e il rifiorire di campionissimi maturi, mette e rimette umanisticamente l’Uomo al centro del tutto. Nell’era delle vetture sempre più mostri di intelligenza artificiale, nell’epoca in cui i bolidi non si rompono e il pilota conta sempre meno - in F.1 James Allison della Mercedes dice non più del 20% -, l’autorevole belvaggine del cardinal decano Carlos Sainz Senior, le classi sopraffine di Hammer e Matador, la tigna nobile di Pier Guidi, l’inscalfibile fulgore adamantino di Ogier, ricordano che l’unicità irriducibile e la ben conservata lucentezza del talento corroborato da motivazioni intatte, tanto, anzi, infinitamente possono. Grazie a loro, dunque, l’Uomo si rimette al centro dei nostro motoristico universo, con poetico furore neorinascimentale.
E, per un attimo, tutto torna in equilibrio. Perché di sera certi fiori profumano più intensamente, ridando un senso alle cose e rendendo nobile e grato il nostro indulgere su di loro.
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