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Alla vigilia di Ferragosto del 1988 il Drake se ne andava in punta di piedi, proprio nel periodo in cui tutti erano in vacanza e che per quello lui odiava di più. Trentasei anni dopo, il vuoto che ha lasciato è ancora incolmabile
12 ago 2024 (Aggiornato il 13 ago 2024 alle 11:15)
«Il giorno della scomparsa di mio padre ero sulle colline vicino a Maranello: telefonai per sapere delle sue condizioni, mi dissero che stava rapidamente peggiorando - spiegava Piero Ferrari -. Rientrai immediatamente a casa, ormai aveva perso conoscenza, il suo forte cuore continuava a combattere ma dopo poche ore tutto finì». Arresto cardiocircolatorio recita il certificato di morte. Poi si procede alla composizione della salma e alla vestizione. Viene scelto un elegante abito marrone scuro, confezionato dal sarto personale del commendatore. Nella tasca destra viene messa la foto della mamma Adalgisa, nella tasca sinistra il suo orologio da polso. Avviene tutto velocemente. Il Drake ha lasciato precise condizioni. Desidera che il funerale sia celebrato alla mattina presto, con solo alcuni amici e chiede che la stampa sia informata a cose avvenute. Il ragionier Carlo Benzi, l’uomo che ha in mano la contabilità del Cavallino, contatta le pompe funebri per celebrare le esequie alle 6.30 del 15 agosto.
Ma c’è un problema. Dall’ora della morte a quella del funerale non sono passate le 24 ore necessarie prima della sepoltura. Per rispettare le volontà del Grande Vecchio, il professor Carani, aggira il protocollo, chiama così il medico legale e dichiara che la morte è avvenuta alle 6.30 del 14 agosto. Il mattino seguente il funerale può essere celebrato secondo i desideri dell’ingegnere. La bara viene tumulata accanto al tanto amato Dino, dopo la benedizione impartita da padre Pier Paolo Veronesi, frate che svolge il proprio apostolato presso il cimitero di San Cataldo e che in passato, su richiesta dell’ingegnere, ha officiato la messa in ricordo del figlio. La notizia della sua morte viene resa nota solo il giorno seguente dopo le ore 8, quando ormai le esequie sono avvenute. Invitato a partecipare è solo un numero molto ristretto di persone, elencate personalmente da Ferrari su una lista scritta a mano. L’appunto lasciato sul comodino.
Il mondo seppe della sua scomparsa dopo Ferragosto, se ne andò in silenzio, senza clamori, senza farlo sapere a nessuno. Aveva previsto tutto, anche chi doveva partecipare al suo funerale. «Quel giorno eravamo presenti in pochi - raccontava Dino Tagliazucchi, autista del Drake dal 1969 al 1988 - Oltre a Piero e alla sua famiglia, il ragionier Benzi, il suo amministratore personale, Scaglietti, Gozzi, la guardia del corpo Valentini, i vecchi capomeccanici Bellentani e Borsari, l’ingegner Forghieri. Fu fatto in gran segreto con alcuni depistaggi: la sua volontà era quella di non voler confusione».
Un semplice comunicato a cose fatte, uno scarno annuncio, e quando si è scatenato il tourbillon era già tutto a posto. Come lui aveva voluto. La morte del Drake prese tutti in contropiede. «Forse fu anche un tiro giocato in extremis agli amici nemici giornalisti - ricordava Franco Gozzi, che di Ferrari fu per decenni il braccio destro e il braccio sinistro -. Lui sapeva che a Ferragosto nemmeno i cronisti lavoravano. Non voglio affermare che studiò la cosa a tavolino, però l’effetto fu quello. L’annuncio della morte piombò in redazioni deserte, il 16 agosto le edicole erano chiuse, almeno in Italia, e chi aveva preparato i necrologi dovette aspettare quarantotto ore per vederli pubblicati. Mica male come beffa, eh?».
Ferrari se ne andò accompagnato da pochi intimi, mentre l’Italia consumava il rito delle vacanze. Il Drake fino all’ultimo ha conservato la personalissima avversione per la giornata nella quale, metaforicamente, il Belpaese chiude per ferie. Il fondatore della Casa del Cavallino Rampante muore a 90 anni e 178 giorni e anche in previsione della morte non lascia nulla al caso.
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«Ferragosto è il giorno dell’anno che odio di più. Come mai? Semplice: persino io sono costretto a non andare in ufficio, il 15 agosto. Tanto, non ci troverei nessuno...». Una storiella che ripete spesso, un po’ per civetteria e un po’ perché ci tiene a segnalare una diversità esistenziale. «La fabbrica chiusa mi mette tristezza - confidava -. Del resto capisco che i miei collaboratori abbiano il diritto di staccare la spina, eppure io ricomincio a respirare solo quando i macchinari riprendono a funzionare!».
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