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Alla vigilia di Ferragosto del 1988 il Drake se ne andava in punta di piedi, proprio nel periodo in cui tutti erano in vacanza e che per quello lui odiava di più. Trentasei anni dopo, il vuoto che ha lasciato è ancora incolmabile
Andrea Cordovani
12 ago 2024 (Aggiornato il 13 ago 2024 alle 11:15)
«Ferrari odiava le ferie, ad agosto mi teneva in ufficio, non sopportava che la gente andasse in vacanza - ricordava Luca Cordero di Montezemolo-. A me fece capire che la Ferrari è un sentimento, è un valore umano e sociale sul suo territorio, è un simbolo della ricerca e della innovazione». L’azienda era il suo luogo di villeggiatura al di là della statale dell’Abetone. Da una parte Maranello e la fabbrica, dall’altra Fiorano con la pista, il reparto corse. Era qui che, spesso, torturava i piloti costringendoli a provare a metà agosto, con la scusa che poi a settembre c’era Monza e non si poteva fare brutta figura. Negli anni Settanta, la crisi d’astinenza fu talmente forte che organizzò un test per la F.1 in pista a Fiorano, era Ferragosto. Rammentava il meccanico Pietro Corradini, rievocando i tempi andati: «D’estate con Ferrari ancora in vita si lavorava anche a Ferragosto. È toccato anche me. Ricordo un test a Fiorano, proprio il 15 agosto. Guai se in quei giorni avevi la sventura di diventare indispensabile e mancavi la presenza perché eri in vacanza. Diceva: “Se ad agosto sono a lavoro io...”».
Del Novecento il Commendatore era stato interprete e testimone, sempre coltivando l’illusione di poter contribuire allo sviluppo della sua terra tramite lo strumento della passione, la passione che in lui si traduceva nell’impulso a creare motori, costruire automobili, vincere corse. Aveva scelto i contadini della provincia modenese come prototipi del meccanico ideale e dell’ingegnere perfetto. Sembrava una follia, era una visione profetica. «Solo chi ha conosciuto la fatica feroce dei campi - ebbe a raccontare - è in realtà in grado di comprendere il valore salvifico della meccanica. L’agricoltore povero ha sempre sognato il motore, il trattore...». Enzo Ferrari si trasformò in mito vivente per questa straordinaria intuizione, premessa dei gioielli che avrebbe fabbricato in officina nonostante lo stop di Ferragosto. Dentro e dietro la leggenda ci stava la persona in carne e ossa, sangue e nervi. Con i suoi pregi, tanti. E con i suoi difetti, non pochi pure quelli.
Gli hanno affibbiato tanti soprannomi come “il grande vecchio” o “lo Stradivari delle quattro ruote” coniato dal maestro Gianni Brera. C’è anche chi lo chiama “il Drake”, come il famoso pirata inglese. O “Penna Bianca” come sussurrano i suoi meccanici, senza che lui li senta. Lui ama autodefinirsi un “agitatore di uomini”, un motivatore capace di creare una leggenda. Un personaggio unico della storia d’Italia capace di guardare al futuro come nessun altro. Nella sua lungimiranza di imprenditore è contenuta la forza della creatività: le macchine, per Ferrari, sono e devono essere un mix di potenza e di stile, una combinazione tra velocità ed eleganza.
Enzo Ferrari non ha mai voluto far sistema: il sistema è lui. E nonostante non si sia mai mosso da Maranello, è stato il mondo ad affrontare l’esame davanti alla sua scrivania. Politici, attori, artisti, cantanti, scrittori. Per ultimo Papa Giovanni Paolo II, due mesi prima della scomparsa. Quest’uomo dalla voce ferma, dai capelli bianchi fin dalla mezz’età e dagli occhiali perennemente scuri dominava il mondo senza muoversi dai suoi luoghi del cuore. Dove anche re, capi di stato e attori facevamo anticamera per incontrarlo.
C’era una volta Ferrari. E ora rimane una gigantesca assenza.
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