Spazio a chi si è distinto di più, non solo per quanto riguarda i risultati in pista: ecco una carrellata di chi ha fatto comunque parlare di sé in questa lunga stagione

F1 2021: le 10 personalità dell'anno

Toglietevi dalla testa le classifiche di merito. Questa non è una graduatoria di chi ha fatto di più e meglio, ma solo un elenco di chi ha saputo mettersi in mostra, a modo suo. Non c'è distinzione di categoria, come vedete. E' una sorta di menzione d'onore per chi in questa Formula 1 è stato protagonista, direttamente od indirettamente. Volti noti ed altri meno, per completare il quadro di un Circus che non sempre riconosce a tutti i propri meriti. In rigoroso ordine alfabetico.

Scorri tra le schede


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<h2>Jost Capito</h2>


C'è chi del caso non si fida, ma certe cose fanno riflettere. Nell'anno della scomparsa di Frank Williams, la sua amatissima scuderia torna a vedere la luce dopo anni di oblio, riprendendo a respirare dopo una lunga apnea. L'orlo del fallimento adesso è un po' più lontano grazie ai fondi di Dorilton Capital, e le cose in pista vanno un po' meglio grazie a Jost Capito: uno con la sua esperienza a Grove è come un messia che torna non solo per la salvezza ma soprattutto per la ripartenza. Capito ha lavorato sulle basi di Simon Roberts, team principal ad interim nella seconda parte del 2020: con qualche risorsa in più a Grove hanno dimostrato che qualche qualità in fabbrica c'è ed i risultati si sono visti; 23 punti dopo averne raccolti appena 8 nelle tre annate precedenti e ritorno sul podio anche se a Spa, di fatto, non si è corso. Dopo la sfilza di trofei con Volkswagen nel WRC e la parentesi lampo con la McLaren, una nuova, grande sfida per Jost Capito.

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<h2>Luca De Meo</h2>


Milanese, 54 anni, uno dei primi a laurearsi alla Bocconi con una tesi sul tema dell'etica negli affari. E' l'uomo che avanza in casa Renault, di cui è stato designato presidente e amministratore delegato. La sua nomina aveva significato un rafforzamento dell'impegno nelle corse, perché De Meo crede all'attività sportiva come veicolo verso un futuro migliore per il Gruppo. Eleganza, impegno ed audacia furono i termini scelti nel comunicato ufficiale in cui si presentava il passaggio di denominazione da Renault ad Alpine in F1, e l'aver buttato nella mischia il logo Alpine è risultata una mossa astuta, promuovendo in un colpo solo due marchi: Renault per i motori, Alpine per il telaio. Così, a Budapest hanno vinto Alpine e Renault insieme. Il miglior modo per presentarsi al mondo: con un Alonso affamatissimo ed un Ocon notevolmente maturato, sognare nel 2022 non è proibito.

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<h2>Stefano Domenicali</h2>


Quando fu nominato a capo della F1, si era giustamente parlato di meritocrazia al comando. Del resto, ha qualità umane e professionali da fare invidia: ha avuto il fegato a suo tempo di farsi da parte alla Ferrari, prendendosi anche colpe non sue, per poi costruirsi una carriera lontano dal Circus e rientrandovi dalla porta principale, con numeri da capogiro tra Audi e Lamborghini. Gli unici a restare delusi, e non sono pochi, sono quelli che con lui si aspettavano una visione più “europea” della F1: invece ha sposato in pieno il progetto americano, premendo forte l'acceleratore su gare sprint, in aumento nel 2022, e calendario sempre più fitto di appuntamenti. Intanto, la F1 2021 ha fissato il tanto sospirato record di stagione più lunga di sempre con 22 GP, primato che Liberty Media ha voluto a tutti i costi: si andrà oltre negli anni a venire, ma riuscirci in un anno ancora segnato dalla pandemia ha fatto salire le quotazioni della società. Per cui, in questo senso, Stefano Domenicali ha fatto un capolavoro, rimpiazzando in fretta le tante gare saltate anche in questa stagione: i nostalgici, invece, meglio si mettano il cuore in pace.

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<h2>Adrian Newey</h2>


Quella sgambata estiva in bicicletta in Croazia ha rischiato di costargli molto molto cara: ne è uscito malconcio ma per fortuna senza danni tali da impedirgli di accompagnare la squadra nella fase di fuoco del campionato. La sua mano mancina si è vista, eccome: nell'inverno ha adocchiato le zone deboli della RB16 ed anche se la nuova macchina è stata denominata come semplice versione “B”, in realtà il cambio di passo è stato notevole. Dopo i tanti malumori con i francesi della Renault, deve un brindisi ai giapponesi della Honda: merito anche loro se ha artigliato, udite udite, il decimo titolo Piloti di una carriera straordinaria. Stava perdendo la voglia nei primi anni dell'era ibrida, poi ci ha ripensato: e ora chissà che non sia pronto a tirare fuori un altro capolavoro con le nuove regole 2022. Perché gira e rigira, lui è sempre una garanzia: ci sarà un motivo se qualche connazionale della F1 lo indica come la miglior mente di tutta la Gran Bretagna.

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<h2>John Owen</h2>


Facile raccontare l'epopea Mercedes e parlare sempre di Lewis Hamilton, di Toto Wolff, di James Allison, di Aldo Costa o di Andy Cowell, il papà dei motori defilatosi nel 2020. C'è però un signore, un certo John Owen, che meriterebbe ben più le cronache della ribalta. Lui è il “chief designer”, ovvero il capo progettista, delle Mercedes pigliatutto di questi anni, e pazienza se per la prima volta è sfuggito un titolo. Classe 1973, nato a Cambridge, appartiene a quella categoria che gli inglese chiamano “unsung heroes”, ovvero quella degli eroi non celebrati. Owen, dopo un passato alla Sauber, è a Brackley da quando ancora c'era scritto Honda sull'insegna ed ha scalato le posizioni fino a diventare appunto progettista nel 2010. Sorprendentemente, dice che la sua macchina preferita è la W04, quella del 2013: una vettura che non vinse il mondiale ma che, parole sue, permise di far arrivare la Mercedes al vertice. Rafforzato adeguatamente il team, Owen si è messo a firmare monoposto eccezionali potendo contare su un gruppo di lavoro di prim'ordine, coordinato da Costa prima e da Allison poi, con la certezza di avere la potenza necessaria grazie ai motori nati inizialmente dalla mente di Cowell. In un ingranaggio che sembra perfetto, Owen ricopre quel ruolo ambito, delicato e mai troppo sottolineato di chi mette mano ben più di altri alla progettazione della monoposto. Tra Piloti e Costruttori siamo già a 15 titoli vinti, più i 2 con la Brawn GP in veste di aerodinamico: ben pochi ingegneri hanno vinto quanto lui.

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<h2>Kimi Raikkonen</h2>


Su Instagram si è affrettato a scrivere “ritirato” in descrizione, quasi come se non vedesse l'ora. Per quanto giunta molto in là nella stagione, la scelta di dire basta era matura da tempo: ad averlo punzecchiato forse l'idea di sperimentare le nuove vetture del prossimo anno, ma la tentazione non è stata tanto forte da impedirgli di preferire la famiglia. Probabilmente sparirà per un po': nell'immediatezza si è fatto un Natale al mare, poi sarà tempo di scomparire tra le montagne svizzere con moglie e figli, a divertirsi con loro. A 42 anni non c'è spazio per i ripensamenti, correrà in altre categorie solo se ne avrà voglia: altrimenti, troverà sicuramente qualcosa di interessante da fare. Se ne è andato in silenzio, a modo suo. Sarà più grande il vuoto che lascerà lui in F1 piuttosto che il contrario.

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<h2>Andreas Seidl</h2>


Poco propenso a fare proclami, molto pratico nel lavoro. Con il piglio tipico di un tedesco nato al confine orientale con l'Austria. I risultati si vedono, se è vero che con lui la McLaren ha fatto una crescita notevole, mettendosi definitivamente alle spalle le tribolate prime stagioni dell'era ibrida, segno che forse non era solo colpa della Honda se Alonso perdeva spesso la pazienza. Insieme a Zak Brown, ha operato con un occhio ai conti, a metà tra l'esigenza di sviluppare la macchina 2021 e quella di preparare al meglio il 2022: come team principal ha sempre sostenuto di dare priorità al nuovo progetto, dichiarazioni che hanno trovato riscontro in una realtà che ha visto la McLaren perdere prestazione nella seconda metà dell'anno. Il 3° posto nel Costruttori contava, ma conta di più la nuova macchina, a maggior ragione dopo la straordinaria doppietta di Monza: aver riportato Woking al successo dopo quasi 9 anni ha il sapore del trionfo.

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<h2>Toyoharu Tanabe</h2>


La Honda degli ultimi anni è stata un mostro a tre teste: Masashi Yamamoto come amministratore delegato del progetto, Yasuaki Asaki come responsabile dello sviluppo a Sakura e poi lui, Toyoharu Tanabe, direttore tecnico Honda in F1. Ovvero l'uomo sotto la cui direzione è nato il RA621H, il motore che ha spinto Verstappen ad un titolo Piloti che rappresenta il miglior addio possibile per i nipponici. Pure vincere il Costruttori sarebbe stato una figata, ma va bene anche così: Honda voleva lasciare il segno e ci è riuscita. Lui ha fatto un capolavoro: tante soluzioni della Pu 2021 prima della pandemia erano state posticipate al 2022, ma l'addio anticipato al Circus ha portato Tanabe a decidere di riprogrammare per il 2021 quelle soluzioni che altrimenti sarebbero rimaste nei cassetti, e questo ha voluto dire tantissimo per il campionato della Red Bull. Nonostante l'addio imminente, niente è stato lasciato al caso: nell'inverno si è intervenuti in tutte le aree concesse dal regolamento, soprattutto termico ed ERS, con nuove batterie a partire da Spa. “Abbiamo deciso di utilizzare tutto il nostro know-how tecnico prima di lasciare questo sport”, aveva fatto sapere Tanabe ad inizio anno, che da ingegnere avrebbe raccolto volentieri anche le prossime sfide, convinto ci siano ancora altre cose da apprendere con la F1. Ma ormai i vertici hanno deciso: sono cambiati gli obiettivi. A Sakura si porteranno a casa molte conoscenze: non tanto a livello di hardware, impossibile da replicare sulle auto stradali, quanto piuttosto a livello di software e gestione dell'energia.

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<h2>Jean Todt</h2>


Dodici anni di presidenza in Federazione contraddistinti dalla decisione, forse troppo precoce, di far sbarcare l'ibrido in F1 insieme a quella, fortemente voluta, di intervenire pesantemente sulla sicurezza stradale, con numeri che lo premiano. Presidente uscente insomma, ma non senza richieste: agli sgoccioli del 2021 è rimbalzata la notizia di un possibile ritorno a Maranello, in ruoli diversi da quelli precedenti. Se sarà vero o no, lo scopriremo solo vivendo: intanto con lui si chiude un'epoca che ha lasciato qualche polemica sospesa dal punto di vista politico e sportivo, ma a cui lui non ha mai dato peso.

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<h2>Sebastian Vettel</h2>


Diciamoci la verità, in pista la stagione è stata quella che è stata. E ad uno come lui non può interessare il contentino del maggior numero di sorpassi. Spera di trovare un'Aston Martin decisamente migliore, pena il doversi guardare ancora di più allo specchio: che sia pieno di dubbi è lecito pensarlo, anche perché a più riprese ha dichiarato che correre così non lo diverte più di tanto. Dilemmi esistenziali di una persona che ha dimostrato di più fuori dalle piste: ha preso a cuore tante iniziative, dall'ambiente ai diritti civili; ha sfidato governi avversi con magliette che non sono passate inosservate, sta portando avanti dei progetti per la tutela ambientale, dopo una giornata nera a Silverstone lo hanno visto a raccogliere l'immondizia, una roba che non si era mai vista in F1. Tanto di cappello.

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Super festa per super Max, che vince il suo primo titolo in carriera. Una festa incontenibile sia sul podio e sia in pista, dove l'olandese, il primo del suo paese a esser iridato, si è sciolto nell'abbraccio col padre Jos e ha poi abbracciato anche Hamilton. Ecco le immagini più belle da Yas Marina

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