Se qualcosa sta consolidandosi in Hamilton è la propensione a riprendere le parti agonistiche e strategiche del suo gran maestro
Ladies & gentleman, ecco a voi Lewis Hamilton, il quarantenne meglio conservato nella storia dell’automobilismo moderno. Quello in possesso del contratto più ricco mai offerto a un campione dello sport passati gli anta - staremo a vedere che farà in futuro Cristiano Ronaldo -, e anche l’unico top driver ad arrivarci scapolo e senza figli. Cioè, del tutto a testa libera.
Anzi, se in F.1 si facesse una sfida scapoli-ammogliati, sarebbe lui il più grande di tutti i tempi, considerando che Fangio una compagna more uxorio l’ha sempre avuta, più un numero di baby a grandezza variabile, a seconda di quante storie mirabolanti ti vuole raccontare l’argentino di turno.
Ma la F.1 non è la partitella del bar e la cosa importante a colpire davvero è che il Lewis pronto a sposare solo la Ferrari è un Peter Pan senza pensieri e profondamente innamorato del suo ruolo, del mestiere, delle corse. Di sicuro il più integro, motivato e fresco tra tutti i quarantenni dell’epopea moderna, nei Gran Premi.
Vedi appunto Las Vegas. Parte alla grande in Fp1 e Fp2, cala in Fp3 e fa casino in qualifica, con un paio d’errori evitabili e importanti. Ma in gara risorge. Immenso. Devastante. Favorito da una Mercedes che vola come non mai, a clima freddo e pista liscia.
Da qui la domanda delle domande. Questa. Ma insomma, il #44 che arriva secondo in corsa dietro Russell e che viene da lui soverchiato in Q3, per caso è uno in declino, in calo e non più stratosferico come prima? Dai, parliamone.
Di solito l’incipiente e fisiologica perdita di prestazioni in Formula Uno ha due precisi indici termometrici. Primo, cominci ad andare meno forte in qualifica. Secondo, se prima volavi sul bagnato, è proprio da lì che inizi ad alzare il piede. Lewis è reduce da un bagnatissimo Gp del Brasile nel quale per una volta non è andato affatto bene e dalle qualifiche di Las Vegas che lo hanno visto deludere. Indizi che da soli non costruiscono nessuna cattedrale d’idee. Però in corsa, di fatto, ha ripreso Russell, arrivandogli a pochi secondi, dopo una gara monumentale (di entrambi).
In sintesi, è presumibile e sensato pensare a un Lewis non più supersignore della pole e non necessariamente a vita persa negli uragani, ma in gara è lì. Come una murena.
Se è avvicinabile a un campionissimo, in un momento particolare della sua carriera, bene, LH sembra tanto il Niki Lauda di inizio 1984 in McLaren, pronto ad avere pazienza in qualifica col compagno Alain Prost, ma ben deciso a sfruttare la testa in gara e nell’arco del campionato.
Non è un caso che il più grande maestro psicologico di Lewis sia stato proprio il Niki dell’era Mercedes turboibrida, con questa riga che viene scritta a dieci anni e un giorno dal primo mondiale vinto dal britannico al volante della Stella d’Argento.
In poche parole, nessuna paura per il presente e per l’avvenire prossimo. Se ha per le mani una macchina competitiva, Hammer è ancora vincente. Anzi, vincentissimo. Quest’anno l’unico problema è stato quello di correre da separato in casa nell’ambiente meno facile per farlo. Al punto che in team radio, nel giro di rallentamento del dopo bandiera a scacchi di Las Vegas, Lewis stesso dice chiaro: «È stato un anno lungo lungo e quando è così i risultati non arrivano facili». A buon indenditor ciò basta.
Di più. Andiamo alla radice. Hamilton, malgrado il quarto titolo consecutivo di Max, resta la vera stella della F.1. Colui che piace di più e anche il più intelligente e signorile, oltre a essere ovviamente il più maturo, anche perché Alonso saggissimo non lo sarà mai, neanche a ottant’anni (è il suo bello).
L’Hammer di Las Vegas resta il più signore di tutti. Appena arriva alle interviste pre-podio, la prima cosa che fa è complimentarsi con Verstappen, sorridendo.
Fa finta? È un po’ falso? Sì e no. Magari sì, perché pensare che il poker iridato di Max lo renda irrefrenabilmente gioioso, è follia pura. Però è sincero nel mostrarsi sportivo e sereno nel complimentarsi, perché Lewis è il pilota che più di tutti in carriera sfoggia “grace under pressure”, grazia sotto pressione. Se si è complimentato a Abu Dhabi 2021, figuriamoci adesso. È la sua forza, quella di sorridere e non perdere le staffe quando per qualcun altro il mondo crollerebbe. È la sua più devastante tra le umane virtù quella d’essere impermeabile alle pressioni, non subendole e facendole rimbalzare addosso a chi ha davanti.
E fa specie ed è quasi buffo rilevare che il campione più imperturbabile e innervosente e il pilota più ipersensibile e irritabile di tutti, vale a dire Charles Leclerc, il prossimo anno correranno insieme in Ferrari, costituendo la coppia più nucleare e tellurica mai vista all’opera alla corte di Maranello. E, se ci siamo goduti questa Las Vegas, pensiamo al 2025, quando in casa Ferrari una Las Vegas psico-agonistica potrebbe avvenire e deflagrare a ogni weekend di gara.
Cioè, si è mediaticamente incazzato di più Leclerc con Sainz per quel sorpassino da niente a due passi dalla Strip, che non Hammer per l’ingiustizia epocale subita davanti al mondo intero a fine 2021. Pensa te.
E vorrei chiudere con altri due pensa te. Pensa te che spaventosa capacità di controllo emotivo ha Lewis e pensa te quando farà caldo, in Ferrari, a partire dal giorno più freddo prossimo inverno, tra quel Leclerc e questo Hamilton.
Verstappen: Grazie Zak... Di', vincevo solo grazie alla macchina?
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