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28 apr 2025 (Aggiornato il 29 apr 2025 alle 09:59)
Vado subito al punto. Trovo folle, paradossale, incredibile, fastidioso, insopportabile e inaccettabile che ormai l’85% delle volte in cui si parla di F.1, si tirano in ballo le gomme. Mescole, strategie, degrado, performance, sorpassi, Gran Premi vinti, persi, monoposto favolose e monoposto da buttare: tutto dipende dal comportamento con e delle gomme.
Una volta, mica un secolo fa, eh, ma nell’epoca vicina contigua e meno scema di questa, del più forte si diceva, semplicemente, che era il più veloce. Tutt’al più, il più intelligentemente rapido, in pista. Adesso no, scherzi?
Il più grande, con una breve ma micidiale perifrasi, è colui che sa meglio gestire le gomme.
E la monoposto più competitiva, la metal queen? È forse bolide meraviglioso, razzo imprendibile, coacervo di tecnologie misteriosamente o palesemente migliori di quelle delle concorrenti? Macché. Cala, Trinchetto: la vettura regina del mondiale è semplicemente quella che rispetta di più le gomme.
Difatti, fatti salvi i mondiali vinti dalla Mercedes, quando aveva un ibrido di cento cavalli più potente della concorrenza, nell’era moderna tutti i mondiali sono stati vinti dalle vetture di Adrian Newey, il quale, a parte il soffiaggio degli scarichi, non ha mai inventato niente in vita sua, neanche la macchina per fare i riccioli al burro, ma dell’ottimizzazione della macchina alle gomme è il re assoluto, l’invidiato tartufaro imbattibile.
E non è strano pensare che un alievo di Newey alla Red Bull dei tempi che furono, ossia Rob Marshall, è adesso il genio della lampada in casa McLaren, ovvero la monoposto che da due anni, risaputamente, non sciupa le gomme neanche con un fiore.
Morale della favola, da anni e anni le gomme non sono più un importante accessorio costruito in funzione della monoposto, ma capita esattamente il contrario: è la monoposto che deve essere pensata, costruita, gestita e settata per ottimizzare e “accendere” le gomme, sennò ciao. Pilota, macchina e team sarebbero (e molti sono) falliti per sempre.
In poche parole, nella cosmogonia della Formula Uno d’oggi la gomma è stata progressivamente messa al centro dell’universo.
Ciò è oltremodo beffardo, assurdo, destabilizzante e ingiusto, se si pensa che dal 2007 c’è un fornitore unico, prima Bridgestone e poi Pirelli, quindi in teoria questo dovrebbe depotenziare e non esaltare la funzione e la rilevanza oltre che l’incidenza degli pneumatici.
In fondo, se sono tutti uguali, non dovrebbero essere l’incognita ma il termine noto, nell’equazione della competitività.
Eh, no, manco per idea. Con le sei mescole complessive (più le due da bagnato, ma queste non spostano) e l’obbligo di montare due tipologie in gara, si crea una sciarada infinita e praticamente incomprensibile di tattiche e situazioni che di fatto rendono il Gran Premio non solo in gran parte illeggibile o quasi allo spettatore medio, ma anche il comportamento di macchine e piloti è del tutto dipendente dalla mescola impiegata.
E quando si parla di uomini e parlano gli uomini, costoro parleranno di gomme. Quando invece parlano i team principal, guardano il cielo, annusano l’aria, si leccano il pollice per sentire il vento e per dire: vista la temperatura, penso che sarà tizio o caio a far accendere le gomme meglio degli altri.
Se l’ingegnere dice la sua, dirà, a parte due cosine sul carico, che la sua monoposto lavora su una certa tale finestra di rendimento per la gomma e il gioco è tutto nell’allargare la finestra e sfruttarla.
Quanto al pilota, non parla più degli altri o di se stesso, ma solo di C1, C2, C3 o che, manco giocasse a battaglia navale.
Gomme, gomme, gomme. Non c’è alternativa. Non esiste altro. Ieri chiacchieravo con un bravissimo pilota, vincente e intelligente nel suo, il quale, sotto mio giuramento d’anonimato, mi diceva le seguenti e squassanti cose: «Sai qual è il vero problema? Un top driver, ormai, è sempre flangiato, mena con una mano legata dietro la schiena, perché se fa più di mezzo stint a tutta, si rovina la gara, mandando in pappa le gomme. La Formula Uno non è più lo sport in cui si tira di più ma quello nel quale si ricama con la mescola, andando meno piano possibile per non deteriorarla troppo, sennò poi c’è il cliff, la caduta di prestazioni, e devi fermarti per montare un treno nuovo».
I venti uomini più veloci del mondo e le dieci monoposto più stellari son tutti schiavi del caucciù, punto. Morti di pila (di gomme). Condannati a scervellarsi, per trovare l’equazione o l’algoritmo al fine di ottimizzare il degrado e vincere.
Ormai non si parla più di capacità pura, di prestazione assoluta, ma di gentilezza con la gomma.
Ma, dico, stiamo scherzando?
È questa la F.1 che vogliamo?
Non do mica colpa alla Pirelli, che fornisce i clienti secondo temi e richieste di chi conta e non me la prendo neanche con Liberty, che sostanzialmente ha ereditato questa situazione tale da iniziare a storcersi da quando era Bernie in plancia di comando, ma ormai la realtà è questa e sta sfuggendo di mano alla logica e ai più elementari requisiti dello Sport.
Fateci caso, studiatevi una telecronaca di Sky: non certo per colpa loro, i cronisti in un sistema come questo, l’85% del tempo parlano di gomme. Le battezzano una a una, poi ti dicono se è usata o nuova, se un set è stato risparmiato o no e così via, in una bigiolica biblica infinita.
Vorrei tanto si parlasse di uomini e, in subordine di macchine, ma di gomme mai.
Sogno una F.1 in cui la presenza di un monofornitore assicuri una e una sola mescola a gara, senza obbligo di fermata, con una gomma capace di iniziare e finire un Gp, rendendo in modo tendenzialmante costante e resistendo alle sollecitazioni indiavolate dei migliori driver.
Prendiamo tanto per il sedere la Formula E, ma queste cose gli elettrici le avevano capite da subito e campano assai meglio, almeno in questo, dei cugini turboibridi.
Insomma, basta con i superpoteri alle mescole, basta con la dittatura del caucciù e con la schiavitù di ingegneri e piloti. I copertoni tornino nell’anonimato, per far esprimere davvero i campioni del volante e i geni della progettazione, senza più lacci ipocriti o odiose catene.
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