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La Lec di Purley: una storia breve, ma intesa

Riviviamo i giorni della F1 autocostruita coraggiosamente dal pilota britannico, piccolo grade eroe dei GP, nel ’77 e dotata del nome della casa di frigoriferi paterna

La Lec di Purley: una storia breve, ma intesa

Mario DonniniMario Donnini

1 giu 2020 (Aggiornato il 2 dic 2021 alle 16:42)

Nessuno scorderà la maledetta domenica del Gp d’Olanda a Zandvoort, il 29 luglio 1973, quando Roger Williamson resta intrappolato nel rogo della sua March ribaltata e nessun commissario interviene e tantomeno i pi- loti si fermano a prestar soccorso.

Sì, la Domenica dei Vigliacchi, la chiamò qualcuno. Vigliacchi tutti meno David Purley, che lotta, si dispera, prova a rovesciare con le mani il relitto in fiamme e infine, impotente, piange in mondo-visione. E l’Autosprint del grande Marcello Sabbatini lo premia a fine stagione, come si conviene ai grandi, tra applausi scroscianti e ciglia umide.

Ma David non è solo questo. Già paracadutista, uomo d’arme, combattente nato, pilota di cuore allevatosi in F.3, F.2, F.5000 e autore di uno dei gesti più belli e commoventi nella storia dello sport, il britannico è anche qualcosa d’assai diverso e nondimeno umanamente parimenti prezioso. E proprio in questa veste sarà bene per una volta conoscerlo e riscoprirlo, tornando all’epoca in cui nella F.1 kit car dei motori Cosworth Dfv e dei cambi Hewland c’era ancora posto per gli ultimi, timidi e romantici piloti-costruttori.

 

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