Granpremietto? Ma per carità!

Granpremietto? Ma per carità!

L’idea della sprint race non serve a niente e non aumenta lo show. Al contrario, è solo un male, perché rende anacronistico il concetto di pole e destabilizza il valore puro della vittoria

15.02.2021 11:58

Voglio essere molto chiaro sul concetto di garetta sprint da disputarsi il sabato: secondo me può diventare la più grande, marchiana e inutile cavolata pensabile per ridare mordente alla F.1. Perché se di circuiti davvero interessanti ce ne sono rimasti pochi e di occasioni di sorpasso ancora meno, non è certo raddoppiando le gare e clonando altrettante garette che si risolve il problema.

Anzi. E poi bisogna vedere. C’è da ragionare. Se per garetta aggiuntiva di qualificazione s’intende fare come nella Can-Am dei primi anni ’70, è un conto, sennò parliamo di un’altra cosa ancor peggiore.

Gara sprint, ma con quali regole?

Ma andiamo con ordine. Nella serie canadese americana per biposto corsa a regole (quasi) libere, il giorno prima della gara propriamente detta assegnante punti e premi, si disputava tra gli iscritti una piccola sprint race di qualificazione giusto per stabilire lo schieramento di partenza. E fin qui tutto okay, magari prendendo a prestito questo sistema per stabilire la griglia al posto della lotta per i due tagli in Q3 e Q2 lo spettacolo aumenta o magari no, ma di certo si va ad a uccidere o in ogni caso si ridimensiona assai il concetto, l’importanza e il rilievo della pole position, una delle istituzioni più belle, affascinanti, estreme e caratterizzanti dell’epoca moderna, con l’apice da Senna in poi, passando per Schumi e approdare a Hamilton.

In fondo quello che è in vigore oggi è un sistema molto semplice e piano: qualifiche e gara, punto. Chi emerge nelle prime è il pole sitter o poleman che dir si voglia, chi vince la corsa si aggiudica un Gp.

È ricorrendo a questo semplice sistema che si possono raffrontare specialisti delle partenze al palo e race winner d’ogni epoca, pur con gli opportuni distinguo del gioco, ovvio. Invece no.

Sistema stravolto

Cambiando tutto, ci ritroviamo la comparsa di nuove, disomogeneee disorientanti categorie di pensiero a confondere per sempre storia, cultura e layout della F.1. Il poleman diventa forse quello che ha il miglior tempo nella sessioncina che stabilisce la prima griglia? O no? Boh. Ma poi andiamo nella seconda possibilità, la più probabile, presumibile e candidata all’adozione, ovvero quella della sprint race a punteggio minore, che può andare ad aggiungersi al Gran Premio vero e proprio della domenica. Insomma, un Granpremietto in più. Tipo Formula 2. Sai che gioia.

Con la differenza che nella formula cadetta avere due gare a weekend serve a concentrare il campionato in pochi appuntamenti calmierando, ovvero dimezzando, i costi di trasferta, mentre in F.1 si finisce col gonfiare a trippa d’elefante il campionato a - boh, col Covid-19 si fa fatica a fare i conti -, diciamo una cinquantina di gare in condizioni normali.

Ma che roba è? Che senso ha? Forse mai qualcuno in tutta la storia dell’umanità ha mai detto che in Gp2 o in F.2 le show è aumentato e spacca grazie al layout feature race più l’altra? Mai sentito, nella mia vita. Di converso, l’effetto collaterale negativo che si va a creare e a pagare adottando questo schema è sicuro, plurimo e terrificante, perché, si inflaziona il concetto di Gp, privandolo dell’aura di unicità e del valore di esclusività nel weekend, introducendo e sommando il Granpremietto che vanta il duplice demerito di valere poco e meno - non solo aritmeticamente - e di depotenziare il pathos del Granpremione, appunto pre-sgonfiandolo. E in più, e siamo a tre, c’è un altro aspetto di carattere statitisico-culturale.

Granpremietto senza senso

Quanto vale in termini di gloria una vittoria in un Granpremietto rispetto a una in un Granpremione? Che senso ha, alla fine, andare a raffrontare, ricordare e catalogare piloti che hanno vinto una garetta di cento chilometri? Allora, e parlo sempre da appassionato di storia delle corse, tanto vale con un provvedimento retroattivo sanare e rendere valide per il mondiale a punteggio zero tutte le gare non iridate disputate dal 1950 al 1983, perché corse mediamente su tracciati molto più probanti di questi attuali e con distanze equivalenti se non maggiori e con un livello di rischio e di sfida senz’altro quadruplo: perché, che so, Jim Clark protagonista alla Solitude mi vale diecimila volte di più di un ipotetico Bottas che fa lo show per tre quarti d’ora sul maxikartodromo di Spielberg.

Infine, vorrei aggiungere un concetto piuttosto fondante e che è quello mirabilmente codificato da Johan Huizinga nel suo celeberrimo “Homo ludens”: il gioco è cerchio magico, sospensione della realtà e del tempo, per entrare in una dimensione particolare e rituale in cui valgono regole diverse da quelle della nostra vita reale. Da questo punto di vista, una partita di briscola al bar, la finale dei mondiali di calcio o un tradizionale weekend di Gran Premio rispondono allo stesso concetto: sono giochi e hanno regole e liturgia. Ma per essere creduti, amati, praticati e credibili hanno bisogno anzitutto di una robusta dose di immutabilità, di continuità e di prerservazione della loro identità stabile. Se io cambio le regole della briscola e dico che di assi ne introduco otto, così ci sono più punti e più suspance, l’unico effetto che ottengo è che alla briscola nuova non crede più nessuno e vale di meno pure la vecchia, perché ferita e delegittimata, oltre che implacabilmente e inesorabilmente rimpianta.

Di contro, stessa cosa per la partita di pallone: guardate quanto sono conservatori, talebani e custodi della fede quelli del calcio. Provate ad andargli a dire di disputare una partitella di mezz’ora la mattina della partitona per aumentare l’appeal dell’evento e vi vengono dietro con un bastone, altroché. La sporca verità?

Perché cambiare?

Uno dei pochi, rari e tosti valori che ancora fanno parte della F.1 riguarda proprio il layout del weekend, ossia, la configurazione del fine settimana. Il sabato ci si gioca la pole, la domenica si corre, punto. Da sempre. Il resto son balle. Se si vuole aumentare lo spettacolo, si deve agire sulle macchine e sulle piste, non sulle configurazioni più antiche, pacificamente accettate e apprezzate in tutta la storia della Formula Uno. La Formula Uno stessa ha anzitutto di bisogno di rispetto della sua tradizione e di preservazione della sua identità. Magari si chiama Uno anche perché si disputa una corsa per volta, mica una, due o tre, a nastro. L’introduzione della doppia corsa, anche se a punteggio differenziato, ovvero utile solo per far la griglia o per quello che pare a lorsignori, distrugge ciò che di più intimo originale e accettato ancora esiste nelle gare iridate del mondiale. Quindi, dipendesse da me, direi no, grazie.

Post scriptum

Questo articolo è stato scritto usando un solo congiuntivo e condizionale nell’ultima riga sopra, provando a cambiare le regole della grammatica e utilizzando solo l’indicativo, a scopo di rappresaglia dimostrativa, per farvi dire, una volta di più, che si stava meglio quando si stava peggio.


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