Con De Agostini se n'è andato il migliore

Con De Agostini se n'è andato il migliore

Il nostro Mario Donnini ricorda il grande Cesare dedicandogli una puntata di Sterzi a parte

24.01.2022 11:32

Cesare De Agostini se n’è andato. Evento inatteso e triste quanto terribilimente impoverente, per noi tutti. Alfa e Omega, 4 agosto 1941-20 gennaio 2022. Lui, che con una punta di civetteria nell’ambito di Autosprint amava essere ricordato come il collaboratore di più antica militanza, misconosceva il vero punto della questione, cioè questo: era, è e sarà per sempre il più bravo. A prescindere. Di più. Cesare De Agostini è uno dei più valenti scrittori della letteratura italiana contemporanea e - sia chiaro -, non solo di Motorsport. Una quarantina di libri all’attivo, preferibilmente biografici, a valorizzare miti quali Nuvolari, Villeneuve, Regazzoni, la Cisitalia, l’Auto Union e Ferrari il Sceriffo, fino ad arrivare a Maria Teresa de Filippis e Don Ruspa -, perché invecchiando sapeva sempre più innamorarsi anche di piccole-grandi storie -, più quasi altrettanti anni di servizio come giornalista della Gazzetta di Mantova.

Quindi la verve e la preparazione del vaticanista che raccontava fede, santi e conclavi in articoli e libri rendendoli emozionanti come Mille Miglia. E nel frattempo, appunto, sei decadi di collaborazione con noi. Un oceano d’inchiostro, di storie, di rapporti, d’emozioni e di carta a contenere ogni possibile bersaglio della sua passione, del suo spirito d’osservazione che sapeva essere tela, pennello, colori, ma anche scala valoriale, promessa di gioia per il lettore e anche impegno forte e rigoroso di scrupolo cronachistico e blindata onestà fatta inchiostro. Poi però c’era e sempre ci sarà la forma. Il suo Stile. Di vita e linguaggio. Quel saper mettere il discorso su piste carezzevoli e strane, che mentre leggi ti fanno ringraziare il dio della scrittura, anche perché Cesare, il Cesare Augusto dei Raccontacampioni, sapeva essere suo profeta, in ogni riga.

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Il metodo De Agostini

Affondare nella sua prosa è come mettere i piedi su una neve che scricchiolando ha il suono del cristallo in briciole preziose, mentre l’aria d’una soleggiata giornata sottozero ti riempe i polmoni e gli occhi godono d’un cielo cobalto. L’uso delle interpunzioni come schegge balenanti, brandendo, lieve, metafore e metonimie, il periodare sapiente e calmo tenendo a bada il talento che non ha bisogno di lanci lunghi ma si basta di gioco corto e carezzevole, come il Brasile di Pelé, Didì e Vavà. A preparare il gol bailado. Il suo. L’arrivare semiologicamente a segno esprimendo un concetto e finendo di raccontare una storia, mentre tu lo leggi e ti stai divertendo. Come quando baci una di cui sei perdutamente innamorato e questa, a prescindere, bacia talmente bene di suo che ti farebbe stare da re anche se di lei non te ne fregasse niente. Ecco, questo è il che di seduttivo che mantengono le righe di Cesare e, pro quota, ciascun libro, ogni articolo e perfino tutte le frasi che ha detto. Già.

Ad alcuni per fare un complimento a volte si dice che scrivono con la naturalezza con cui parlano: be’, lui no, tutto il contrario. Cesare aveva una prosa sciolta nella metrica ma con la stessa suggestione della poesia e s’esprimeva a parole misurate, scolpite, drammaticamente meditate e prescelte tra le milionate di termini in tasca, perché niente nella sua vita è stato casuale, purchessia, spesso o buttato là. La forma era una cosa seria, terribilmente seria, per lui. E doveva andare d’accordo con la sostanza. Poi l’essudato finale doveva dire, raccontare sincero, svelare e svelarsi, mettendo a nudo narrato ma anche narratore e allo stesso tempo piacere al lettore senza compiacerlo. Farlo riflettere evitando di sfibrarlo, annoiarlo o indignarlo. Stimolandolo a pensare e basta, però con in bocca cioccolata&menta.

Uomo bello quanto scrittore bravo

Proprio non so se Cesare De Agostini sia mai stato un bell’uomo, ma di certo sempre lo terrò in me come un Uomo Bello assai. Ricco di sentimenti, sotto il pelo dell’acqua tempestosamente passionale, capace di amicizie che godeva e pativa quasi fossero amori, trasformandole alla bisogna e a tratti in ire forti, ovvero incline a coltivate affinità e parallelamente a incompatibilità dichiarate e non mutuabili. Di Cuore e di Carattere. Ma di fondo un meraviglioso Galantuomo. Persona ricca di principi, imbevuti d’etica. Sapeva stare sul palcoscenico alla grande, oratore insigne, colto e aulico ma anche, paradossalmente, schivo, pudìco, dotato del senso della misura e dell’umiltà rara dei geni che se ne stanno buoni perché serenamente consapevoli d’avere tanto da dire e dare, ma proprio nulla da dimostrare. Non era uno facile, ma dava umanamente assuefazione, tanto che, una volta che t’aveva aperto il cuore, diventava impossibile farne a meno.

Volete la verità? Nel giro di chi scrive libri, mai chiedere a un autore il contatto del suo editore. Di regola è geloso, punto; ecco, magari gli sa meglio se trascorri un weekend con la moglie - dello scrittore, non dell’editore, eh - perché spesso ha paura che gli rubi uno spazio, un libro da fare o chissaché. Cesare no. Cesare, pensate, era il contrario algebrico. Era capace di chiamare e dire: "Ehi, mi ha cercato un editore per scrivere un libro, ma non ho tempo: ti va di farlo? Dai". E questo è successo minimo tre volte, a me, ma l’avrà fatto mille con altri, perché era così. Non ha mai chiesto niente a nessuno, aiutando tanti. E allora GRAZIE, per tutto.

E si sveglino, i dormienti

Parlare di Cesare è anche fare a pugni con un’ingiustizia di fondo. Perché resta scrittore quasi sconosciuto alla critica togata e ufficiale, ai salotti e salottini che ha sempre rifuggito e alle aree politiche che ha puntualmente schivato. Certe volte in Tv, anche nei cosiddetti programmi colti, odo lodi a mezze figure dotate di talentini e talentucci che a Cesare non avrebbero potuto neanche lavare la biancheria, ma il mondo va così. Eppoi ci sta anche che se uno scrive e piazza gran belle storie di calcio, o che so, d’atletica, di boxe, di rugby o di ciclismo, è percepito - anche giustamente - come artista rivelato, ma se uno fa lo stesso affondando le mani nel Motorsport viene considerato alla stregua di un autoriparatore che firma una bolla di consegna. E questo, sia chiaro, non è un problema di Cesare, ma di chi Cesare e il Motorsport non li ha mai capiti, assaporati e valutati, facendo danno solo a se stesso e a chi doveva esserne informato.

Il suo libro più bello?

Boh, secondo me non esiste un suo miglior libro, perché son tutti belli. Comunque il mio preferito resta “È questione di cuore” - Bancarella Sport 1983 -, scritto da lui facendo aprire Clay Regazzoni, perché riesce a parlare del dramma della paraplegia dopo il crash di Long Beach, con dolcezza e poesia irripetibili. E, anche per Autosprint, “Tazio Vivo”, “Gilles Vivo” e “Ferrari, il Sceriffo” piuttosto che “La Ferrari in tuta”, con Giulio Borsari, oltre a “La coda del Drago”, su e con Sandro Munari, restano pietre miliari, con lui impressionista puro che con tre pennellate ti regala una poesia, un poema e una civiltà, a tratti restituendo una tragedia di cronaca trasformandola in letteratura epica.

Gli Amici, quelli veri

Cesare, dicevo, ha coltivato e tesaurizzato l’Amicizia come il suo più bel giardino. Gianni Cancellieri, co-autore di mille libri fatti insieme e anche il primo a incaricarlo di scrivere un pezzo su As, nel lontano 1963, resta tra i suoi interfaccia più cari, così come il compianto editore Giorgio Nada e Stefano Chiminelli, che presto darà alle stampe l’opera postuma “Nuvolari in sella”, sulla storia di Tazio centauro. Proprio Stefano ama dire: "Se volete conoscere l’anima di Cesare, potete farlo anche ora: basta aprire un suo libro". Per questo le figlie Elly, Inge e Lara, che abbracciamo idealmente, piangendolo possono comunque trovare un raggio di luce e conforto.

I bei cocci di una carriera immaginaria

Allora, tutti insieme: il più bravo di tutti? Cesare De Agostini. E un po’ mi dispiace per gli altri. Uno che per più di mezzo secolo, con la scusa di scrivere di corse, ha fatto letteratura alta. E pure a turno, bionda e mora ma sempre formosa il giusto. E, oh, yes, di gran classe. Mbe’, già che c’era, finalmente, verso la fine della pista, il Più Grande ha perfino raccontato la sua carriera mancata di potenziale asso del volante con un incredibile libro su se stesso pilota mai nato, by Giorgio Nada Editore.

Sì, mi sono letto pure il suo automobilistico, autoironico, autobiografico e autosfottente “Se questo è correre” in una notte e l’ho trovato delizioso, mentre pagina dopo pagina raccoglie i cocci di una vita immaginaria - per dirla alla Massimo Ranieri -. In un abitacolo quasi solo agognato, ma con lo stile sognante di sempre. Un consiglio? Per una volta sottraete qualche ora a internet e leggetelo, dicendogli arrivederci. Perché in pratica lui lì ci dice ciao raccontando il pilota che non è mai stato così come adesso ci sta salutando all’interno di una scomparsa che, vedrete, non sarà per niente tale. Semplicemente perché tutto ciò per cui e di cui Cesare De Agostini ha scritto e vissuto, non è per niente adatto a morire.


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