L'epica del Cavallino dimostra che certi en-plein hanno segnato veri momenti di svolta, quindi il doppio centro in Bahrein fa ben sperare, toccando ferro..
Ecumenicamente parlando, per gli italiani la festa in Bahrain è la prima bella notizia dell’anno. Pandemia, guerra, crisi energetica ed economica, inflazione, recessione, rischio di qualificazione della Nazionale ai prossimi mondiali di Calcio e chi più ne ha più ne metta: alla voce cose serie o peggio e persino nel novero di quelle più giocose, in modulazione Sport, mai ’na gioia a casa nostra, dopo le tante ma non troppe italiche e ludiche feste 2021.
E comunque, per provare a disimpegnarsi un attimo pensando solo ad essere felici, guardando di lato e badando ad altre cose, ormai bisogna essere Rossoneri o Rossoveri. Tifare il Milan di Ibra, la Ferrari di Leclerc e Sainz, o, nel più fortunato dei casi, entrambe le squadre contemporaneamente. Ma nel caso della Rossa, la faccenda è diversa, perché da festeggiare stavolta c’è addirittura una meravigliosa doppietta. E nella storia del Cavallino Rampante gli en-plein non sono mai arrivati per caso, assurgendo puntualmente a segnali dell’inizio di qualcosa di memorabile e forte. Un ciclo. Un’era. Ovvero l’apertura di una parentesi diversa e segnante. Perché vedete, in amore i romantici lo dicono con i fiori, mentre nelle corse i ferraristi le cose più belle le spiegano con le doppiette.
La primissima in assoluto nei giro iridato, nel 1951 a Monza, con Ascari davanti a Gonzalez, resta l’emblema della fine del dominio Alfa Romeo e l’atto notarile della nascita d’una superemazia differente, targata “Ciccio”, per due stagioni secche, il biennio 1952-1953, il primo periodo di una Rossa maranelliana al top in F.1.
Altre tre doppiette, nel 1956, in Belgio, Francia e Gran Bretagna, propiziano il mondiale alla modenese di Fangio pre-Maserati, mentre nel 1958 lo schiaffone di Collins e Hawthorn alla Vanwall nel Gp di casa in Gran Bretagna, si rivela a fine campionato a conti fatti determinante per l’iride del bravo Mike.
E che dire della quadripletta al Gp del Belgio 1961, uno degli esempli più fulgidi della superiorità by Sharknose, la Rossa piccola e imbattibile, che fa il pieno piazzando nell’ordine il futuro iridato Phil Hill, von trips, Ginther e Gendebien, con il Commendatore che al telefono si lascia dettare l’ordine d’arrivo continuando a chiedere dopo i primi tre il piazzamento della quarta Ferrari, a simbolizzare la sua cannibalica e inesauribile fame di vittorie.
No, non dovete prendere l’1-2 di Leclerc e Sainz in Bahrain 2022 come una semplice e fortunata scampagnata vincente, perché la storia aurea della Ferrari dimostra che di fortuna e scampagnate proprio non ce ne sono mai state. Anzi, c’è tutta una cabala, un’interpretazione laicamente e numerologicamente sacra e un’ermeneutica serissima dietro gli exploit della Casa di Maranello quando non si limita a vincere ma stravince.
Tanto che la parata trionfale di Scarfiotti e Parkes al Gp d’Italia nel 1966 è ricordata ancora oggi come l’ultima vittoria di un italiano in Ferrari in quel di Monza e i quattro centri di Ickx accoppiato a Regazzoni a inizio Anni ’70 sono le chiare e gloriose prove della consistenza del novello motore boxer del genio Mauro Forghieri.
E non dimentichiamo che la rinascita della Ferrari targata 1974 e Luca Cordero di Montezemolo prendono le mosse dal clamoroso en-plein di Niki Lauda e Clay Regazzoni al Gp di Spagna a Jarama, che apre ufficialmente quel ciclo indimenticabile, glorioso e tale da farci venire a tutti un bel nodo in gola, tie’. E poi ci sono pure le doppiette al tramonto, quelle nostalgiche che, al contrario, trasmettono la fine d’un incanto, come quella di Rega e Niki a Long Beach 1976, la quale vede l’ultima vittoria del ticinese in Rosso, in un anno di roghi, uragani e disillusioni amare allle pendici del Fujiama.
Però nel 1979 ci risiamo, perché la parabola bella della brutta ma vincente T4, la prima Ferrari wing-car, si apre con l’en plein di Villeneuve e Scheckter in Sudafrica, a Kyalami, miti che finiranno ad ordine inverso nella classifica del mondiale, consegnando l’ultimo iride piloti al Drake e a Forghieri.
Con un’altra doppietta da far venire da piangere, a Monza, quando Gilles è secondo sol perché il suo primo valore è l’amicizia e il rispetto di Jody. Nel 1982 a Imola ha luogo invece la più avvelenata, mortificante e in proporzione drammatica tra le parate vincenti, con Pironi che beffa lo stesso Gilles mostrando d’avere valori morali decisamente diversi da queli del canadese, che perirà furibondo e mai più sereno pochi giorni dopo a Zolder, praticamente quaranta anni fa.
Poi c’è il sogno dolce e malinconicamente naufragato di Alboreto nel 1985 che diviene sempre più tangente alla realtà soprattutto in Canada 1985, quando piazza l’1-2 con Johansson, ma ben presto tutto finirà nel fumo delle turbine Garrett, purtroppo preferite alle KKK.
La stessa recente morte e l’immortalità sportiva di Enzo Ferrari restano per sempre legate a un’altra doppietta Rossa, quella di Monza 1988 con Berger e Alboreto che fanno il miracolo, dopo il ritiro di Senna toccatosi col doppiando Schlesser, ed è di nuovo storia da piangerci su. Poi un altro sogno sfiorato con le vittorione assembleari di Prost e Mansell in Messico e Spagna 1990 e quindi si va direttamente all’inizio dell’era Schumi, che ne piazza tre con Irvine, anche se la più bella e resiliente è quella del Gp di Germania 1999 quando Michael è all’ospedale con una gamba rotta e il supplente Salo regala la gara a Eddie.
Stessa cosa accade poi in Malesia col rientrante e miracoloso Kaiser, anche se a Suzuka nel finalone tutto cambia e il mondiale lo vince Hakkinen, ma questa è un’altra storia.
La leggenda dice piuttosto che il ciclo più vincente della Rossa s’apre in Australia 2000 con Schumi al top e il neoacquisto Barrichello secondo, a incarnare il più bell’andazzo iridato vissuto dal Cavallino Rampante, imbattibile fino al 2004 compreso. E comunque pure i rari malumori di quel periodo sono fotografati da parate vincenti, in Austria e a Indy, sempre nel 2002, con Barrichello prima sacrificato e poi vincente quasi per sbaglio. E commuove ricordare che l’ultima doppietta del ciclo Schumi è in Germania 2006 con Massa secondo e che il 2007, l’ultimo anno iridato per un pilota Ferrari, è denso di bang-bang by Massa e Raikkonen, l’ultimo leggendario a Interlagos, con Kimi iridato e la McLaren scornata.
Da lì in poi passano quindici anni e di parate trionfali se ne vivono pochine, nove in tutto, tra Alonso-Massa, Vettel-Raikkonen o Seb con Leclerc (nella fin qui ultima vittoria Rossa a Singapore 2019), ma non son cose che cambiano davvero la vita a nessuno. Adesso, però è diverso, perché questa tignosa e sacrosanta duplice zampata sa tanto di graffio che rimarrà pure nella memoria emotiva dei ferraristi e di chi ama le corse tali da rappresentare una svolta. C’era una svolta, sì. Come nelle favole. Dopo due anni di penitenza, perché a Spa e Monza 2019 si è vinto col motore non esente da dubbi federali e allora per il biennio successivo tutte le power unit Ferrari hanno corso spompate.
Tanto che nel 2022, quando si è tornati finalmente full power, non solo la Ferrari ha fatto una doppietta desertica con la riuscitissima F1-75, ma s’è tolta gran soddisfazioni pure con i powertrain in salsa Haas e Sauber-Alfa Romeo-Ferrari, motorizzando all’improvviso ben tre delle prime quattro Case della classifica Costruttori nel mondiale appena iniziato. Vi sembra un caso? A me no. Per niente. Perché a volte a far sorridere sono anche certe ideali quasi-triplette. E tutti i cicli più belli nella gloriosa storia del Cavallino Rampante son sempre iniziati appunto con un inatteso, rivitalizzante e spiazzante festeggiamento collettivo. Toccando una montagna di ferro, a Binotto, sottoposti e collegati, l’auspicio affettuoso è quello di di toccare vette ben più auree e sfolgoranti. Intanto grazie, per un attimo, per averci fatto pensare non al prezzo della benzina ma al valore delle vostre - e col cuore, nostre - power unit.
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