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Difendo Leclerc

Tutti i grandi campioni hanno un errore inaccettabile con cui convivere. L'importante è quello che succede dopo e come la caduta viene digerita e metabolizzata

Mario DonniniMario Donnini

25 lug 2022 (Aggiornato alle 14:39)

Lo step che manca a Leclerc

Al monegasco sembra quasi mancare la saggezza del ciclista esperto, di colui il quale nelle salite peggiori va al suo passo e non si preoccupa troppo di quello degli avversari, tanto certe volte provare a resistere non serve a niente. Basta mettersi in coda al rivale portarsi a casa il premio di consolazione, poi i conti nelle corse a tappe si fanno alla fine. Ecco, questa visione opportunistica, ragioneristica e passivamente strategica a oggi è ignota, se non in fase conscia, all’inconscio di Leclerc il quale, se vulnerabile, a volte reagisce mostrando una lieve tendenza all’autolesionismo agonistico, pur essendo e restando un grande, stupendo e amabile campione. In altre parole, se quando si fonde una power unit bisogna lavorare su essa per migliorarla, smontandola, analizzandola, modificandola e rendendola più affidabile, adesso è tempo che lui lavori profondamente su se stesso.

L'errore più grande da cancellare e precedenti illustri

Perché quello che ha compiuto al Ricard è l’errore più grande e grave della sua carriera in F.1 ma è anche vero che tutti i grandi e dico tutti, prima o poi, hanno fatto lo svarione sesquipedale che per sempre gli resta accanto, assieme ai più ambiti trofei. Juan-Manuel Fangio, al Gp dell’Autodromo di Monza 1952, neanche valido per il mondiale, finì in coma a causa di un’uscita di strada della sua Brm, perché a sua detta "Ero stanco, visto che per arrivare in Italia avevo fatto una gran trasferta non dormendo la notte e guidando io".

Peggio ancora Jackie Stewart, che si gioca il mondiale 1968 perché salta due Gp a seguito di uno scemissimo infortunio a una mano, rimediato nel Gp di Spagna di F.2. Vado oltre: che ne dite di roba ultramadornale da battistrada neanche minacciati, tipo il classico Senna out al Portier 1988, di Hakkinen fuori a Monza 1999, quando poi entrambi vincono il titolo a Suzuka a undici anni di distanza l’uno dall’altro, ovvero Mansell fuori a Montecarlo 1984 sotto la pioggia, Damon Hill che fa casino per quasi tutta la stagione 1995, Prost a Imola 1991 a prati bagnati nel giro di ricognizione, facendo ululare e imprecare mezza italia, Jack Brabham che esce a fine Montecarlo 1970 al Gasometro regalando la corsa a Rindt, mentre, quanto al già citato Vettel, non c’è che l’imbarazzo della scelta, specie in modulazione 2018-2019. Senza trascurare Hamilton che si gioca un titolo parcheggiando in Cina 2007 e Alonso che fa lo stesso, nell’identico anno, disfacendo la sua McLaren a Suzuka, tanto per dirne altre due, trasasciandonme tanti altri. E dando giusto (de)merito anche al divino Schumi che butta via tutto a Monaco 1996 nella curva facile facile del Portier, addirittura al 1° giro, in una corsa che, col senno di poi, avrebbe potuto vincere anche in retromarcia e con un prosciutto nell’abitacolo della Ferrari F310.

Dirò di più. Nella sua carriera ineguagliabile di più grande calciatore del mondo, molti dicono di sempre, insieme a Pelé, Diego Armando Maradona sbagliò da professionista, quattordici rigori, di cui uno ai mondiali, quattro in serie A, sei nel campionato argentino, due in coppa Uefa e uno in un’amichevole della nazionale argentina.

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