C’era una volta il tellurico mercato piloti... Adesso al centro dell'attenzione mediatica sono nuove e ultracariche location per i GP
Le grandi cose, come sempre, capitano sottovoce, senza fare troppo rumore. Prendi la Formula Uno. Tutto quello che è successo e che non è successo quest’estate e non solo, testimonia e dimostra robine che prima non sarebbero mai avvenute. E che stanno lì ad annunciare e a sancire una nuova era, di fatto totalmente diversa da quella precedente. Questa. Sì, l’epoca novella in cui il mercato piloti, praticamente, non esiste più. Ovvero esiste ancora, ma ormai è una faccenduola da squadre di secondo piano, non dico da poracci, per carità, ma francamente da seconde scelte, ecco. Perché se sei un team vincente, una supercasa tipo Red Bull, Ferrari e Mercedes, i piloti mica li cerchi e cerchi di trattenerli, no, no, no, li blindi. Li imbulloni quasi for ever. Li metti sotto contratto e te li avviti al pavimento della sede della squadra, praticamente vita agonistica natural durante. I top team una volta se la tiravano e pungolavano i loro campioni trattenendoli fino a un certo punto e giocando sul rinnovo, tanto che perfino Ayrton Senna, anche se per motivi contingenti e del tutto particolari, s’era ritrovato ai tempi d’oro quasi in vertenza con Ron Dennis.
Adesso niente di tutto questo. Leclerc e Verstappen hanno contratti che manco Checco Zalone quando sogna il posto fisso. Lewis Hamilton, se non andasse per i quaranta, ne vorrebbe e otterrebbe facilmente uno infinito - e ne ha avuti -, anche per lui; e perfino Carlos Sainz, George Russell e “Checo” Perez, fatto salvo qualche colpo di scena a sorpresa, possono dormire sonni tranquilli. Detto questo, la restante parte di quello che una volta era un terreno d’intrighi clamorosi e di notizione tonitruanti, ormai è diventato ricettacolo di chiacchierette da bar o poco più. Che nascono non certo per sommovimenti tellurici della realtà, ma sol perché a un certo punto da qualche parte qualcuno si stufa. Per esempio, Vettel si stanca d’essere stanco di corse e si ritira. Allora Alonso, un po’ stufo della Alpine che sembra un pochino stracca di lui, parla con Stroll padre e va all’Aston Martin.
Intanto la McLaren non ne può più di Ricciardo, pagato con un pluriennale malaugurato come un futuro campione del mondo e in grado di rendere in proprorzione assai pochino, allora, stufa pur’essa, lo invita a smettere di guadagnare una mitragliata di milioni di dollari - dicasi due al mese più ferie, buoni mensa e tredicesima -, per limitarsi a guadagnare l’uscita. E così alla fine, sospeso tra Alpine che lo perde e McLaren che lo acquista, il neo-re dell’ex mercato piloti diventa l’australiano Oscar Piastri protetto dall’ex pilota della Red Bull Mark Webber. E mi sembra indicativo assai il fatto che il sovrano, il campioncino feticcio, il reuccio delle contrattazioni sia un 21enne che in vita sua, pur avendo vinto tutto ciò che di propedeutico esiste in monoposto, ancora non ha percorso neanche cento metri di Gran Premio.
Alla resa dei conti, quindi, è come accapigliarsi per un presunto attore da Oscar (ehm, aridaje) che deve vivere ancora il primo ciak della carriera mainstream. D’altra parte uno Schumi jr che sembrerebbe avvicinarsi all’Alpine ovvero un Giovinazzi che torna a parlare con la Haas non solo per spararsi qualche venerdì di Fp1 non è che facciano strappare i capelli, neh, pur suscitando, questo sì, qualche onesta e carina curiosità. Su, però il mercato piloti, quello vero, è finito da mo’.
Nei decenni scorsi Autosprint - e non solo Autosprint -, aveva costruito un po’ del suo fascino anche sulle anticipazioni, sui boatos, nelle clamorose bombe di mercato. Tipo Lauda che lascia la Ferrari, Andretti che quasi ci va, Villeneuve in rotta, Alboreto che riporta l’Italia in Rosso, Senna inseguito e mai preso, Prost giubilato in anticipo e così via... Ora non più. Il più bravo giornalista del paddock sarà quello che rivelerà, minimo tra quarantatré anni, l’entità del TFR di Leclerc, gli scatti pensionistici di Verstappen o la festa con cui una RSA delle Isole Vergini accoglierà Lewis Hamilton, subito dopo la sua ultima corsa per Toto Wolff. La verità? Adesso il mercato ad alto livello esiste ancora, ma riguarda altre entità, mica i piloti. Cioè quelle realtà che i soldi li spendono e li fanno guadagnare, ossia le Case e i circuiti. Fateci caso, ormai i padroni e i padrini del vapore parlano solo di nuove e tonitruanti, doillarose e sfavillanti location, posti in cui stampano banconote e fanno luccicare riserve auree come nel tinello di Re Mida, o superCostruttori, possibilmente tedeschi tipo Porsche e Audi per dare vita a una neo Formula Uno che a guardarla e a pensarla adesso sembra un superDTM a trazione semigermanica, con la Ferrari a prendere il posto dell’Alfa Romeo di Giorgetto Pianta dell’anno di grazia 1993. Boh, magari mi sbaglierò, ma la faccenda nuova mi sembra tanto questa. Sennò non mi spiego perché circuiti e nomi di sicura tradizione - vedi a turno la stessa Montecarlo, ovvero Spa oppure l’Andretti Motorsport -, siano trattati come se avessero tutto da dimostrare o, peggio, sentendosi di conseguenza né necessari né indispensabili, mentre ad altri soggetti vengono fatti ponti d’oro, accogliendoli con la banda che suona e i cappelli tirati per aria. Ce lo sapremo ridire più avanti, ma a me pare tanto che sia iniziata una rivoluzione felpata, quasi silenziosa, la quale nel giro di poco tempo sconvolgerà del tutto l’assetto strutturale e filosofico della F.1. In meglio o in peggio, staremo a vedere. Fatto sta che le notizie più clamorose e emozionanti della F.1 del futuro da un paio d’anni a questa parte non riguardano più gli uomini, ma le sedi delle nuove gare. E non vorrei tanto che la nuova Formula Uno passasse alla storia con gli stessi meriti e gli stessi trionfi di Elisabetta Canalis. Passata alla leggenda soprattutto grazie a un gran calendario.
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