        Dopo 7 anni di attivit&agrave; in FOM, da direttore tecnico, per Pat Symonds si prospetta un altro impegno. Torner&agrave; a lavorare per un team, posto che questo team riceva il via libera dalla Formula 1 per essere in griglia di partenza. Andretti Global ha annunciato l'ingaggio del tecnico inglese, 70 anni e una carriera dai trascorsi importanti: Toleman, Benetton, Renault, ma anche Williams, tra i ruoli ricoperti in pi&ugrave; di 40 anni spesi in Formula 1. "Non potremmo essere pi&ugrave; entusiasti di dare il benvenuto a Pat nella famiglia Andretti", ha dichiarato Michael Andretti.  Symonds e i regolamenti "La profonda conoscenza di Pat dell'aerodinamica, della dinamica dei veicoli e delle power unit di Formula 1 sar&agrave; fondamentale per continuare a costruire una squadra competitiva". Ma con quale ruolo approder&agrave; Symonds in Andretti, una volta esaurito il periodo di gardening? Formalmente sar&agrave; consulente esecutivo all'ingegneria. Vale sottolineare il ruolo avuto all'interno del gruppo tecnico di lavoro congiunto F1-FIA sia nella definizione dei regolamenti 2022, delle monoposto a effetto suolo, che verso il prossimo passaggio del 2026. Proprio quello a cui guarda, nella migliore delle ipotesi, Andretti per un debutto subordinato al ripensamento di Liberty Media. Avanti tutta come se ci fosse il via libera "Credo che la sua esperienza sia stata determinante nel plasmare la storia della Formula 1 e il suo voto di fiducia nell'unirsi al nostro impegno la dice lunga. Sono davvero felice di questo passo, perch&eacute; il nostro lavoro continua a ritmo serrato", ancora Michael Andretti. L'annuncio dell'arrivo di Symonds &egrave; un altro tassello del percorso di potenziamento della struttura di Silverstone, sulla quale Andretti ha aperto la ricerca di personale per 60 profili tecnici.&nbsp; Resta da sciogliere il nodo pi&ugrave; importante tra tutti, ovvero, la barriera posta dalla F1 all'ingresso di Andretti nel 2026 e la possibilit&agrave; che FOM operi una retromarcia       

Il tecnico sar&agrave; operativo una volta concluso il periodo di gardening dal suo ruolo presso la F1. Un ingaggio prestigioso per il progetto Andretti, che somma credenziali da opporre al no della FOM

Andretti Cadillac mette a segno il colpo Symonds

        Il 1&deg; maggio 1994, all'Autodromo di Imola, si consum&ograve; una delle tragedie che pi&ugrave; hanno segnato la storia del motorsport e della Formula 1 in particolare. Pochi minuti dopo la partenza del gran premio, alle 14:17, Ayrton Senna esce di pista alla curva del Tamburello e impatta violentemente contro le barriere con la sua Williams. Per lui, nonostante i disperati tentativi di prestargli soccorso, non ci sar&agrave; niente da fare. In quel 1&deg; maggio di trent'anni fa, il Corriere dello Sport usc&igrave; con un'edizione straordinaria con un titolo che all&rsquo;epoca fece scalpore: &ldquo;Hanno ucciso Senna&rdquo;. Abbiamo chiesto a Italo Cucci, storico Direttore di Autosprint negli anni '80 e nel &lsquo;94 alla guida del Corriere dello Sport, di raccontarci la storia di quell'edizione straordinaria e il &ldquo;suo&rdquo; Senna. Ayrton, un ragazzo semplice&nbsp; Ho fatto uscire un'edizione straordinaria del Corriere dello Sport il 1&deg; maggio, dedicata proprio ad Ayrton, con un titolo che ha fatto vendere centinaia di migliaia di copie ma ha anche fatto molto rumore: &ldquo;Hanno ucciso Senna&rdquo;. Non si fa un'edizione straordinaria per annunciare la morte di qualcuno, ma quando sulla morte di qualcuno c'&egrave; bisogno di dire qualcosa. Eravamo arrivati a un punto tragico della F1, e poi c'entrava anche il mio rapporto personale con Ayrton, che era cominciato da quando, ragazzo della Toleman, era venuto insieme al collega Ficarelli a visitarci ad Autosprint nel periodo in cui ero direttore, nell'84.  Com&rsquo;era Ayrton dal punto di vista umano? Io ho avuto due incontri stupendi, nello stesso periodo, con Maradona e con Ayrton. Erano due ragazzi spaesati: Maradona si mangiava le unghie ed era quasi terrorizzato dal doversi sottoporre alla prima intervista italiana, Senna era un ragazzo semplice, timido e con un'aria dolce. Ma lui non &egrave; stato divo mai, anche quando l'ingegner Ferrari diceva &ldquo;devo fare qualcosa per poterlo incontrare&rdquo;, e si dovette arrendere perch&eacute; allora la Marlboro non gli concesse di portare Senna nella Scuderia del Cavallino.  Parl&ograve; mai a Enzo Ferrari di Ayrton?&nbsp; Io ho dovuto scrivere un libro per spiegare il mio rapporto con Ferrari, che era fuori da ogni situazione professionale. Una volta mi disse: &ldquo;se viene a trovarmi domenica c'&egrave; una corsa bellissima al Nurburgring&rdquo;. Io dissi: &ldquo;non mi risulta&rdquo;. Ferrari ribatt&egrave;: &ldquo;No, lei pensa sempre alla F1. C'&egrave; la presentazione di una Mercedes e la prova Senna, la voglio vedere perch&eacute; voglio capire anche l&igrave; che manico &egrave;&rdquo;. Il Vecchio lo ammirava. Quella gara del Nurburgring la vinse proprio Senna con la Mercedes.  Sono passati trent&rsquo;anni dalla scomparsa di Senna, questo vuol dire che molti degli appassionati di F1 attuali non hanno mai avuto la possibilit&agrave; di vederlo correre. Come racconterebbe Ayrton ai giovani? Io mi sento un privilegiato, ho 85 anni e ho una raccolta di fatti, personaggi e storie bellissime che ho direttamente vissuto. Mi piace raccontarle ai lettori, agli ascoltatori e ai telespettatori pi&ugrave; giovani proprio per come le ho vissute. Non dimenticher&ograve; mai una cosa successa in occasione di una delle feste che si organizzavano alla vigilia del GP di Imola a San Lazzaro di Savena, l&agrave; dove era la sede di Autosprint. In una di quelle feste riuscii a portare Ayrton. Lo andai a prendere alla macchina e lo portai dentro, e quando arrivammo all'ingresso della villa mi prese la mano e si fece accompagnare come un ragazzino, perch&eacute; era spaventato dall'idea della gente che lo aspettava. Fu accolto con un applauso che lo intimid&igrave; ancora di pi&ugrave;. Non lo port&ograve; mai dimenticare.  Quindi Ayrton era davvero un ragazzo semplice...  Venendo dal calcio, in Formula 1 di divismo ne ho trovato poco, anche tra personaggi di rilevanza straordinaria, come Ascari, Villoresi, Prost. La semplicit&agrave; di Senna era straordinaria perch&eacute; era meno divo di tutti quanti. Un ragazzo tranquillo, con una vena di tristezza che ho sempre sottolineato quando scrivevo di lui. Come se gli mancasse qualcosa, non so che cosa.  Secondo lei Senna, con la sua carriera e poi con la sua tragica scomparsa, ha contribuito a cambiare la Formula 1? La sua scomparsa ebbe un peso importantissimo. Io non ho usato parole vaghe, io ho detto &ldquo;lo hanno ucciso&rdquo;. L&igrave; ci fu anche una risposta scandalizzata, le reazioni furono anche seccate e dopo iniziarono i processi e le sentenze, e si cap&igrave; che era stata violata la sicurezza dell'uomo. E quindi &egrave; servito. Ma &egrave; servito secondo me anche nella parte propositiva e romantica, nel fare vedere che la Formula 1 era approcciabile in maniera pi&ugrave; semplice, senza bisogno di ergersi a Superman. Quel primo maggio dentro la redazione di Autosprint&nbsp; Ratzenberger? Non l'ho mai dimenticato In questo cambiamento ha avuto un ruolo anche Roland Ratzenberger? Nel mio editoriale dell&rsquo;epoca c&rsquo;era un preciso riferimento a Ratzenberger. All&rsquo;epoca erano tanti quelli che accusavano &ldquo;si parla solo di Senna &ldquo;. Ma io non l&rsquo;ho dimenticato, e l&rsquo;ho reso anche importante ai fini della totale mancanza di sicurezza che si era prodotta nonostante il giorno prima di fosse consumata una tragedia. Ratzenberger non aveva insegnato niente. Quest&rsquo;anno oltre ai 30 anni dalla scomparsa di Senna e Ratzenberger ricorrono anche i 10 anni dall&rsquo;incidente altrettanto tragico di Jules Bianchi. Secondo lei, oggi, sono stati fatti abbastanza passi in avanti dal punto di vista della sicurezza? Io ho esordito in Formula 1 litigando totalmente con Enzo Ferrari, per un loro pilota che era scomparso a Buenos Aires, Giunti. Poi col tempo, conoscendo prima il Vecchio e poi la F1, mi sono reso conto che era un mondo il cui approccio era molto delicato e difficile. Ma dei passi in avanti sono stati fatti eccome Tornando a quel titolo di quell&rsquo;edizione straordinaria, &ldquo;Hanno ucciso Senna&rdquo;, lei pensa che sia stata fatta abbastanza luce su quella tragedia? Un&rsquo;edizione straordinaria richiede un momento di riflessione rapida, ma anche di sensazione. Il sabato ci aveva gi&agrave; preparati, pensavamo &ldquo;cos&rsquo;altro potr&agrave; capitare?&rdquo;. E io ero anche ben disposto verso Imola, perch&eacute; quell&rsquo;autodromo l&rsquo;ho visto nascere. La decisione &egrave; stata quindi presa lucidamente, e nessuno ce l&rsquo;ha mai potuta smentire.       

Direttore di Autosprint e di Corriere dello Sport, Italo Cucci dedic&ograve; ad Ayrton un'edizione straordinaria intitolata "Hanno ucciso Senna"

Italo Cucci racconta Senna 30 anni dopo: "Non è stato divo mai"

        Norman Edward &ldquo;Ted&rdquo; Toleman se n&rsquo;&egrave; andato il 10 aprile scorso, a 86 anni. Da mesi era in cure palliative nelle Filippine e la sua scomparsa era nell&rsquo;aria, anche se muove il cuore che sia avvenuta a pochi giorni dal 30esimo anniversario della fine di Ayrton, al quale aveva dato per primo l&rsquo;opportunit&agrave; di correre in F.1. Senna e Toleman. Nomi che tornano vicini nella cronaca e sempre resteranno nell&rsquo;immaginario emozionale, in eterna meraviglia per l&rsquo;epifania stordente di Monaco 1984, nell&rsquo;uragano. Quando &ldquo;Beco&rdquo; con la Tg 184 dotata del midesto motore turbo Hart impartisce to everybody - fatto salvo Bellof su Tyrrell -, una clamorosa lezione di giuda - Prost compreso -, giungendo secondi e rivelandosi al mondo. Ted Toleman crede da subito in Ayrton, facendogli firmare un contrattone pure esagerato per un semplice rookie. D&rsquo;altronde, quanto a intraprendenza, non aveva mai avuto remore. Per noi delle corse quella di Ted &egrave; l&rsquo;incredibile storia della Toleman. Controcorrente, piccola, folle e aggressiva Casa costruttrice di Witney. Senna e gli altri: dalla Toleman ai Titoli Mondiali Anche se i giorni del marchio in F.1 terminano a fine 1985, presto i giocatori della nidiata mostreranno il loro valore. Il nucleo di Byrne e Symonds, griffato Benetton, da fine 1989 corroborato da Briatore e dal 1991 dall&rsquo;astro nascente Schumi, vincer&agrave; due mondiali piloti e uno Costruttori nel biennio &rsquo;94-&rsquo;95, fino a trasformarsi in Renault nel 2002, per un nuovo ciclo vincente, stavolta con Alonso. In fondo nel 1980, alla presentazione Toleman F.1, il Circus s&rsquo;era stupito leggendo uno striscione dietro la scrivania dei boss che recitava cos&igrave;: &laquo;Toleman campione del mondo di F.1 198...&raquo;. Era vero. Cos&igrave; come era vero, e lo sar&agrave; per sempre, che Ted Toleman resta un sognatore. Perfino malgrado le sciagure di famiglia, col figlio Gary ucciso nel 2003 in Sudafrica a sangue freddo, da una gang di quattro uomini, in circistanze mai del tutto chiarite. Uno capace di correre in barca, a Le Mans e alla Dakar con una Metro 6R4 da 270 cavalli, a sfidare le Peugeot Gruppo B passati i cinquant&rsquo;anni, salvo sfidare l&rsquo;Atlantico con Richard Branson boss Virgin. Col solito talento visionario che gli aveva fatto dar efiducia a personaggi tipo Ayrton Senna, Derek Warwick, Bruno Giacomelli e Teo Fabi, cos&igrave; come a Rory Byrne, Pat Symonds and Ann Bradshaw. Ha detto bene Stefano Domenicali, ricordandolo: le corse devono molto, a Ted Toleman. Nel prossimo numero di Autosprint, dedicheremo al patron scomparso un lungo ricordo.       

Il patron dell'omonima Casa di F.1 nel 1984 aveva fatto debuttare nei Gp Ayrton Senna

La scomparsa di Ted Toleman

        Quando si present&ograve; ai cancelli di Maranello, nel febbraio del 1997, qualcuno temeva che si potesse presentare con una camicia variopinta ed un costume da bagno, data la sua passione per la Thailandia. Invece Rory Byrne si present&ograve; in giacca e cravatta, anche se abbronzatissimo: segno che la sua amata Thailandia aveva fatto in tempo a godersela per qualche settimana dopo l'addio alla Benetton. Pensava di passare l&agrave; il resto della sua vita, Rory: e invece, pi&ugrave; di un quarto di secolo dopo, il suo nome ogni tanto rispunta nelle chiacchiere attorno a Maranello. Ancora oggi che di anni ne ha 80 e che di pensione, a quanto pare, non vuole sentir parlare. Sterzi a parte: Rory Byrne, l'arma segreta della Rossa  Dagli aeromodelli alle sfide con Newey Anche questo, forse, &egrave; un tratto distintivo di un tipo geniale nel lavoro e bizzarro nella vita. Leggenda o verit&agrave;, si dice che quando operava a tempo pieno in Ferrari non si faceva problemi: se era stanco, chiudeva le persiane e si concedeva un pisolino pomeridiano direttamente sulla poltrona in ufficio. Se &egrave; vero che con lui sono arrivati mondiali a raffica, immaginate perch&eacute; glielo lasciassero fare.&nbsp;Quando il talento in sede di progettazione eccedeva&nbsp;in inventiva, ci pensava Ross Brawn, suo direttore tecnico in Benetton e poi in Ferrari: Ross dava contorni pratici alle fantasie, talvolta bislacche, di Rory. E' stato ed &egrave; un genio dell'aerodinamica, Byrne, anche se per estrazione &egrave; un chimico: la passione per l'aerodinamica deve essergli venuta da ragazzino con gli aeromodelli senza motore, categoria in cui divenne campione del mondo. Sudafricano per nascita e irlandese di origini, in pochi seppero coniugare le varie sfaccettature della F1 come lui: fu un passo avanti nell'area dei materiali (gli fu anche conferita una laurea honoris causa dall'universit&agrave; di Trento), ottimizzati per scopi aerodinamici, e seppe avere una visione completa come pochi altri su tutte le aree di una vettura di F1, anche se poi la sua originalit&agrave; consisteva nel porre le gomme quale primo elemento per la prestazione in ordine di importanza. Del resto, come amano dire certi suoi colleghi, "le gomme sono l'unica parte della vettura che tocca l'asfalto". Sar&agrave; per questo o forse no che Rory Byrne &egrave; stata l'unica, vera nemesi di Adrian Newey nella lunghissima carriera del tecnico di Stratford-upon-Avon, oggi ancora felicemente in sella alla Red Bull. Toleman, Benetton, Ferrari: 14 titoli Di questi 80 anni, Byrne ne ha spesi pi&ugrave; della met&agrave; vicino alle corse. Cominci&ograve; a farsi conoscere alla Toleman, dove progett&ograve; la TG280, dominante nel campionato di Formula 2 1980 e ancora oggi annoverata dal diretto interessato tra i suoi progetti pi&ugrave; riusciti. Con la Toleman arriv&ograve; anche la F1: di lui si ricordano la TG184, famosa perch&eacute; fu la vettura con cui Ayrton Senna debutt&ograve; in F1 (e che fu nobilitata dal paulista nel nubifragio&nbsp;di Monaco, dove giunse 2&deg;, pi&ugrave; altri due podi), e la TG185, che con Teo Fabi si prese il lusso di partire in pole al Nurburgring nel 1985. La vera svolta per Rory per&ograve; fu rimanere dov'era nel passaggio tra Toleman e Benetton, o meglio ritornarnarci dopo la fulminea esperienza alla Reynard (fu licenziato ma poi richiamato). Perch&eacute; fu l&igrave;, alla Benetton, che le traiettorie del suo destino si incrociarono con quelle di Ross Brawn e Michael Schumacher, la triade delle meraviglie per un decennio. Vinsero alla Benetton (due titoli Piloti nel 1994 e 1995, titolo Costruttori nel 1995) e poi vinsero anche alla Ferrari, aprendo un ciclo destinato alla leggenda: a Maranello arriv&ograve; prima Schumi alla fine del '95, seguito l'anno dopo da Brawn e l'anno dopo ancora da Byrne, contattato quando ormai lui, a 53 anni e tre titoli in bacheca, pensava fosse giunto il tempo di godersi una anticipata ma meritata pensione. E invece no. La telefonata lo raggiunse il Thailandia e lui di no non seppe dirlo. Allettato certamente da un'offerta irrinunciabile in termini economici, ma pure dalla prospettiva di ricreare, a Maranello, quello che lui, Ross e Michael (che appresero la notizia del suo arrivo durante un test all'Estoril dopo aver fatto molto per averlo) erano stati capaci di fare alla Benetton. Insieme a loro ci sarebbero stati Luca Cordero di Montezemolo come presidente e Jean Todt come capo squadra: se quella Ferrari seppe prima ricostruirsi e poi dominare, &egrave; perch&eacute; ebbe eccellenze al posto giusto e nel momento giusto, ovvero tutte insieme. E poi, per Byrne c'era la sfida del tutto personale di provare laddove aveva fallito John Barnard, il "Mago", che pur nella sua riconosciuta autorit&agrave; non seppe riportare a Maranello il titolo. Barnard lasci&ograve; in eredit&agrave; la F310B, la vettura del 1997, con la quale Byrne lavor&ograve; poco: l'obiettivo fu subito quello di sviluppare una macchina competitiva per il 1998, quella che vide la luce con il nome di F300: considerando che Byrne lascer&agrave; l'incarico di progettista capo alla fine del 2004, la F300 sar&agrave; l'unica vettura interamente concepita da lui a Maranello a non fregiarsi di alcun titolo. Perch&eacute; la storia sarebbe stata benevola nei confronti di Rory Byrne, che chiss&agrave; quante volta ha benedetto la scelta di resistere alla tentazione di una seconda vita in Thailandia, poi semplicemente posticipata di circa un decennio. Senza di lui, c'&egrave; da scommetterci, la storia sarebbe stata diversa, soprattutto per Maranello: perch&eacute; il nome di Byrne a volte viene messo in secondo piano quando si parla dell'epoca d'oro del Cavallino Rampante, eppure fu lui a firmare&nbsp;tutti i progetti pi&ugrave; vincenti di quell'epoca. Non a caso, agli ultimi Caschi d'Oro, nel corso dell'elenco di tutti i professionisti di livello assoluto avuti da Montezemolo sotto la sua presidenza e poi autorevoli anche altrove, &egrave; stato proprio Luca Cordero a puntualizzare a chi vi scrive "Rory Byrne", anche se Rory, dopo l'uscita da un incarico a tutto tondo con la Ferrari, non ha pi&ugrave; voluto saperne di legarsi a qualche altro nome, restando a Maranello come consulente. A proposito di ci&ograve;: ancora oggi, di tanto in tanto, il nome di Rory Byrne salta fuori. Ricopre un ruolo di consulente esterno, e per quanto il suo sia un nome di primo piano &egrave; difficile captare i meriti di una consulenza i cui contorni restano sfumati, e soprattutto capire cosa significhi oggi, per Rory, dare il suo apporto per un centinaio di giorni l'anno al Cavallino. Il suo nome &egrave; spuntato fuori ai tempi della F14-T, ai tempi della SF70H e pure nel recente passato, quando si elencavano i meriti della F1-75, con la sua brevissima ed illusoria cavalcata iniziale. Insomma, Byrne c'&egrave;, anche se &egrave; difficile coglierne pienamente la mano. Quel siluro di Briatore Di sicuro, oggi Rory Byrne ha pi&ugrave; tempo per godersi Phuket, la moglie, i figli e tutte le sue passioni. Lui che ha saputo ritagliarsi una vita da pellicola anche se non avesse fatto l'ingegnere di successo, pur se quello di progettare macchine vincenti &egrave; sempre stato il suo sogno. Quella vita, insomma, che avrebbe potuto avere pi&ugrave; di un quarto di secolo fa, quando non mancarono le perplessit&agrave; sul fatto che fosse lui o meno l'uomo giusto per Maranello. Ha senso, dicevano gli scettici, puntare forte su un uomo che gi&agrave; pensa di starsene in bermuda e ciabatte a 53 anni? La storia ha detto che s&igrave;, oltre che ad avere senso &egrave; stata pure una delle scelte migliori in tutta la storia della Ferrari. Con buona pace dei bruciori di stomaco di Flavio Briatore, suo capo alla Benetton, che all'alba nel 1997 si lasciava andare con il suo solito mordente: "Byrne e' un bravo tecnico, ma a quanto mi risulta era gia' sotto le palme della Thailandia. Se la Ferrari lo ha convinto a rinviare la lunga vacanza &egrave; perch&eacute; deve averlo pagato bene. Come persona e' difficile ed &egrave; anche molto 'politico'. Ormai &egrave; una moda per la Ferrari prendere i nostri ex, stanno rifondando la squadra con i pensionati della Benetton. Noi, invece, ci prendiamo il rischio di affrontare il futuro con uno staff tutto giovane. Vedremo alla fine chi avr&agrave; avuto ragione". Dichiarazioni invecchiate male. Rory, oggi Dicevamo della sua vita lontana dalle piste. Quasi 30 anni in Sudafrica (ed a sentirlo parlare, sembra che quell'accento sudafricano non voglia saperne di sparire del tutto), pi&ugrave; di 20 in Inghilterra, poi lo sbarco a Maranello, per sette anni vissuti appieno. Poi, a fine 2004, un passo indietro: due stagioni da consulente, per lasciare completamente il testimone al suo delfino designato, Aldo Costa, e quindi una vita quasi sempre a met&agrave; tra l'Italia e la Thailandia, anche se con predominanza di quest'ultima. Se laggi&ugrave; pu&ograve; godersi le sue amate immersioni (stava per aprire una scuola, nel 1997, prima della chiamata di Maranello), da noi pu&ograve; divertirsi con le sue Ferrari: due 360 Modena come regalo del presidente Montezemolo (che mantenne la promessa: tu fammi una macchina in grado di vincere un mondiale e io ti regalo una Ferrari), ed una F430 ad arricchire un garage che dalle parti di Phuket resta molto pi&ugrave; umile. Con le vetture stradali Byrne ha un rapporto tutto suo: lavora con il suo paese natale, il Sudafrica, con un progetto che si chiama "Discovery Insane", nato per sensibilizzare le persone sul tema della sicurezza stradale. In pratica, &egrave; un progetto che premia chi si tiene lontano dagli incidenti stradali, premiando i meritevoli con uno sconto sulla benzina: in pratica c&rsquo;&egrave; una scatola nera installata nell&rsquo;auto che monitora le abitudini del guidatore, ed il compito di Byrne &egrave; proprio quello di sviluppare il pi&ugrave; possibile questo algoritmo. Tra le sue altre passioni ci sono il cricket, l'abitudine del t&egrave; delle cinque, il golf: tutta roba che ora lo aiuta a godersi la vita dopo i ritmi frenetici dell'impegno in F1. Ma siccome &egrave; un uomo che non si &egrave; fatto mancare nulla, Rory &egrave; anche uno dei fortunati che pu&ograve; raccontare di aver superato un cancro alla prostata. Di quella battaglia, fortunatamente vinta, ha fatto tesoro: nell'approfondire il male tra terapie tradizionali e alternative, ha scoperto i benefici di una dieta salutare a base per il 50% di frutta e verdura cruda, trovando giovamento anche nel quotidiano. Questo nuovo stile di vita lo ha aiutato contro il cancro ("il mio corpo si &egrave; come disintossicato", ha raccontato una volta) e gli ha fatto superare i cronici acciacchi di tutti i giorni, nel suo caso a ginocchio e gomito: ecco perch&eacute;, dopo oltre venti anni, ha potuto giocare di nuovo al suo amato cricket, dedicarsi al surf e non sentire pi&ugrave; alcun dolore nelle passeggiate in spiaggia. A tutto ci&ograve;, Rory &egrave; giunto con tante ricerche una volta scoperta la malattia: ed insieme alla moglie, queste conoscenze le ha fatto confluire verso un centro di ringiovanimento per aiutare anche le altre persone. A proposito della moglie, Pornthip, pensate a come l'ha conosciuta: nel '96, quando ormai aveva preso corpo l'idea di andare a vivere in Thailandia una volta chiusa l'esperienza con la Benetton, si rec&ograve; ad Oxford per trovare un insegnante di lingua madre thailandese che gli desse delle lezioni per affrontare quella che, era convinto, sarebbe stata la sua nuova vita. Fin&igrave; in un ristorante thailandese e qua incontr&ograve; lei, studentessa che faceva la cameriera per garantirsi gli studi: oggi, a quasi trent'anni da allora e dopo un matrimonio e due figli, operano nel settore immobiliare, si godono la vita laggi&ugrave; in Thailandia e ripensano felicemente a quello che la vita ha loro riservato, e magari a quello che ancora riserver&agrave;, nonostante gli anni siano ormai 80 ed il suo thailandese, incredibilmente, sia peggiore di allora.&nbsp;  "Evoluzione, non rivoluzione", era il suo mantra sul tavolo da disegno in Ferrari. Ecco: dopo 80 candeline, Rory non ha bisogno di rivoluzioni. Gli basta continuare a vivere cos&igrave; per sentirsi, probabilmente, molto felice. E' uno che il successo lo valuta in questo modo, in base al raggiungimento o meno degli obiettivi personali che uno si &egrave; posto: "Io volevo progettare una F1 che vincesse il titolo e ci sono riuscito. Dopo l'incredibile avventura alla Ferrari, sentivo di aver raggiunto i miei sogni e da allora i miei obiettivi sono cambiati. Ora punto a trascorrere&nbsp;molto pi&ugrave; di tempo con amici e familiari e ad avere uno stile di vita sano. Quando gioco a golf, ad esempio, non mi interessa pi&ugrave; vincere, si tratta di godersi la partita". Ad 80 anni, pu&ograve; dire di aver capito tutto dalla vita.       

Il 10 gennaio 1944 nasceva a Pretoria Rory Byrne, progettista di successo e firma delle Ferrari F1 dell'epoca d'oro di Schumacher: riviviamolo in questo ritratto tra curiosit&agrave;, aneddoti e vita privata

Tanti auguri Rory Byrne: gli 80 anni di un genio

Scopriamo l&rsquo;ultimo superstite dell&rsquo;era Schumi a Maranello &nbsp;

Byrne, l&rsquo;arma segreta della Rossa compie 80 anni

        Se ne &egrave; andato Gianfranco Palazzoli. Ex pilota, asso del tennis tavolo e collaboratore Rai per i Gran Premi, il lombardo &egrave; scomparso nella mattinata del 12 aprile all'ospedale San Carlo di Milano. Pilota di 2 e 4 ruote, poi la F1 Classe 1934, Palazzoli aveva cominciato la sua carriera di pilota con le due ruote con marchi come Iso, Rumi e Alemacchi, prendendo parte ad alcune famose tappe dell'epoca come la Milano-Taranto o il Giro d'Italia Motociclistico. Negli anni '60 era per&ograve; passato alle auto, gareggiando anche con Gran Turismo e Sport Prototipi, arrivando a partecipare pure ad appuntamenti storici come la 1000 Km di Monza. Pi&ugrave; avanti ha vissuto la F1 in ogni sua sfaccettatura: dopo la collaborazione con la Abarth ha lavorato con Osella, Merzario, Tyrrell, William e Toleman, cui ha fatto seguito una parentesi all'Alfa Romeo per le corse turismo prima di ripresentarsi in F1 con la Fondmental F1. Tennis tavolo e tv Chiusa la parentesi con le corse all'alba degli anni '80, Palazzoli ha collezionato titoli italiani nel tennis tavolo, altra sua grande passione, fino ad arrivare alla convocazione con la Nazionale di tale disciplina per le competizioni mondiali. Negli anni '90 ha infine collaborato con la Rai, facendosi apprezzare come esperto di regolamenti e lavorando al fianco di Mario Poltronieri ed Ezio Zermiani. Gianfranco Palazzoli, dopo una vita nelle corse, si &egrave; spento al San Carlo di Milano poco prima di compiere 90 anni: fatali le complicazioni dopo un doppio intervento al femore. La redazione di Autosprint porge le condoglianze alla famiglia.       

Ex pilota, campione di tennis tavolo, collaboratore con svariate scuderie di F1 e voce e volto della Rai negli anni '90: ad 89 anni di et&agrave; si &egrave; spento Gianfranco Palazzoli

Lutto: si è spento Gianfranco Palazzoli

Trovo sempre pi&ugrave; spiacevole sentire o leggere a proposito di F.1 il termine di bibitari spregiativamente e sferzantemente utilizzato per etichettare gli uomini forti del team Red Bull. Bibitari &rsquo;sto cavolo, perch&eacute; bisognerebbe piantarsela di cercare di ridicolizzare, minimizzare o ridimensionare un fenomeno di rilevanza commerciale e sportiva planetaria.  Red Bull, un po&#39; di storia  Per riconoscere che Red Bull &egrave; la pi&ugrave; grande, abbacinante e sconvolgente sorpresa, sia nel mercato turbocapitalista globale che nel mondo delle corse turboidride e non, da mezzo secolo a questa parte. La Red Bull &egrave; una bevanda energetica nata nel 1987. Tempo dieci anni di rodaggio e nelle rispettive discipline d&rsquo;appartenenza in tempi diversi si &egrave; messa a creare guai, grossissimi guai, problemi grandi come montagne, ai pi&ugrave; noti, riconoscibili e tesaurizzati marchi nella storia dell&rsquo;umanit&agrave; imprenditoriale, tipo Coca-Cola, Mercedes e Ferrari. Se negli Anni &rsquo;90 un qualsiasi Nostradamus da strapazzo avesse previsto che la F.1 sarebbe stata sconvolta, mutata e influenzata come non mai da una squadra nata dal nulla, priva di qualsiasi precedente motoristico e composta al vertice da un pilota deluso dalla F.3000, da un pensionato e da un tecnico altrove considerato geniale ma quasi ingestibile perch&eacute; strano, estremo e bizzoso, sarebbe stato preso per matto e incamiciato.  E invece no. Eccola qui, la Red Bull di F.1. Struttura originalissima, mai vista prima, del tutto inimitabile, ipermoderna, monocratica, superverticistica ma anche dal variegato e stratificato impegno, tale da segnare passi avanti strutturali fondamentali nel modo di gestire e creare una realt&agrave; da corsa, cogliendo traguardi importanti e anche edificando nuovi forme d&rsquo;intendere il mondo racing.  Non paragonatela alla Benetton  Qualcuno storcer&agrave; il naso e dir&agrave; che anche la Benetton, in tempo recente, &egrave; stata un ottimo e precedente esempio di gestione di sponsor che sa diventare Costruttore, ma non &egrave; affatto vero che il ciclo del marchio trevigiano in salsa racing abbia qualcosa di paragonabile o omogeneo all&rsquo;epopea Red Bull. Perch&eacute; l&rsquo;energy drink team nasce da zero, dalle ceneri della fallimentare Jaguar F.1, di fatto azzerando qualsiasi asset precedente per ripartire da zero e non come la Benetton che sfruttava le immense potenzialit&agrave; di una piccola ma meravigliosa squadra preesistente, ovvero la Toleman, alla quale mancavano solo capitali e certezze di programma per affermarsi e deflagrare nel mondo delle corse. Red Bull no.  Operazione vincente  Quando subentra a ci&ograve; che resta della Jaguar sembra tanto d&rsquo;assistere a una di quelle operazioni di breve e malinconica durata, con un po&rsquo; di cinema al paddock e niente pi&ugrave;. Anche perch&eacute; nelle corse il marchio aveva iniziato in F.3000 con Enzo Coloni portando qualche soldo vero ma anche il pesante fardello dell&rsquo;inquietante Markus Friesacher, uno dei piloti pi&ugrave; lenti mai visti su una macchina da corsa.  La triade  E invece l&rsquo;operazione di Costruttore F.1 non solo regge ma divampa, mutando per sempre approccio e dettami gestionali, con la creazione di una struttura importante ma agile, solidissima e maneggevole, dotata di un centro di comando semplice, chiaro e sintetizzabile in tre figure: Helmut Marko, collante e terminale del gran patron Dietrich Mateschitz, Christian Horner, responsabile sul piano gestionale, e Adrian Newey, patron indiscusso e indiscutibile sul piano tecnico. In altre parole, un plenipotenziario, un team principal e un genio, punto. Una triade immutabile nei decenni, caso unico in F.1 Tutto il resto sta sotto, ubbidisce e tace. Ragazze e ragazzi mediamente freschi e motivati come non mai, dal muretto delle precise strategie alla pit-lane.  La rivoluzione nella selezione dei piloti  E quanto ai piloti la filosofia &egrave; anche in questo campo innovativa, rivoluzionaria e duttile, flessibile, adattabile a ogni esigenza. Red Bull, tanto per cominciare, &egrave; la prima realt&agrave; di F.1 che crea una vera e propria universit&agrave; del campione. Non un ateneo finto per spulciare soldi ai figli dei ricchi ma un Erasmus del motore che alleva baby dal kart in poi, plasmando generazioni di eletti investendo su di essi allo scopo di portarli al successo. Ma occhio, perch&eacute; se c&rsquo;&egrave; bisogno i giovani si acquistano direttamente ai supermercati altrui, come nel caso di Vettel strappato alla Bmw F.1 e condotto a segnare un vero e proprio ciclo di trionfi iridati, nella prima fase matura del team, dal 2010 al 2013.  Oppure i piloti si acquistano gi&agrave; bell&rsquo;e maturi all&rsquo;hard discount, alla voce potenziali ma ingiusti disoccupati, tipo Sergio Perez. Il tutto per&ograve;, tornando a ragionare di giovani, con uno stile inconfondibile: Red Bull ti prende, ti protegge, ti fa crescere e saltare di categoria progredendo, a patto che tu vinca, senn&ograve; fuori dalle scatole.  Gestione spietata  Non si comporta, ad esempio, come Toyota e Renault dei bei tempi andati, che se ti prendono a benvolere poi diventano delle zie sempre presenti, proprio no. Da un momento all&rsquo;altro un Red Bull boy pu&ograve; ritrovarsi dalle stelle alle stalle e non sempre con spiegazioni cogenti o motivazioni stringenti. Se vuoi stare sicuro, devi trionfare spesso, vincere gare e titoli, senn&ograve; vattene a lavorare, riga. Quelli che contano in Red Bull sono tre, due dei quali Horner e Marko, molto duri e cattivi, all&rsquo;occorrenza.  La libert&agrave;  Horner &egrave; un leader che tiene basso profilo, ma se s&rsquo;incazza &egrave; una biscia velenosa e quanto a politica sportiva e regolamenti non teme lezioni da nessuno. Marko &egrave; un comunicatore costante, tosto, furbissimo e ruvido, capace di mettere i rivali costantemente sotto pressione dalla mattina alla sera, tutti i giorni, con dichiarazioni puntuali, fastidiose e ficcanti. Newey per parte sua nella Red Bull ha finalmente trovato, al contrario delle parentesi precedenti alla Williams e alla McLaren, un datore di lavoro che gli lascia carta bianca, non lo controlla poliziescamente, gli si affida completamente senza coartare nessuna delle tante sue geniali e non irreggimentabili inclinazioni. Vuoi progettare pure barche? Okay. Supercar? Perch&eacute; no. Desideri correre a Le Mans da pilota? Ma s&igrave;, dai. Hai in mente di realizzare F.1 estreme e sperimentare idee che altri non hanno anche quando non ce ne sarebbe bisogno? Fai come vuoi, ci fidiamo di te. Ed &egrave; cos&igrave; che Newey, il Leonardo da Vinci della F.1 posteroica della sintonia fine, trova in Red Bull l&rsquo;unico paradiso a lungo sostenibile, all&rsquo;interno della sua gloriosa e variegata carriera. E quanto alla gestione del punto debole strutturale dell&rsquo;impresa, ossia, a differenza di Mercedes e Ferrari, la fornitura della power unit, la Red Bull non fa altro che muoversi alla grande. Creando prima un cliclo vincente con la Renault e poi edificandone un altro con la Honda, reduce dalla catastrofe con la sinergia McLaren. Due cicli.  Cicli vincenti  Unico team a riuscirci dal 2000 in poi, perch&eacute; il titolo di Kimi fa parte ancora dell&rsquo;era Schumi, avendone tutti gli uomini. In altre parole, tornando a parlare di motori, anche adesso che la Honda stessa almeno formalmente ha fatto un passo indietro, Red Bull ha trovato le alchimie giuste per andare avanti alla grande. E cos&igrave; facendo RB sta anche realizzando uno dei sogni di Enzo Ferrari, ossia vincere mondiali a mitraglia con piloti che non avevano ghermito prima titoli correndo per la concorrenza, visto che lo stesso Max Verstappen &egrave; a tutti gli effetti una creatura di Marko, che ha investito e creduto su di lui, facendolo diventare il primo e unico minorenne della F.1 da qui all&rsquo;eternit&agrave;, visto che ormai i teenager sotto i diciotto anni sono stati vietati per sempre.  Bibitari? Basta!  Insomma, basta, finiamocela di svilire, rimpicciolire e sminuire l&rsquo;immagine, il senso e la visione di Red Bull nel mondo delle corse perch&eacute;, al contrario, il Toro Rosso &egrave; simbolo di lungimiranza, innovazione, cambiamento e successo. Creando anche, in quel di Faenza, una seconda squadra satellite capace di vincere a pi&ugrave; riprese in entrambe le sue incarnazioni di marchio, a chiudere il cerchio. Per questo, comunque vada, rispetto per Red Bull. E basta chiamarli bibitari, perch&eacute; rappresentano in F.1 esattamente il contrario. Visto che sono quelli che da anni si stanno bevendo tutti. 

Merita pi&ugrave; rispetto: da tre lustri &egrave; la squadra pi&ugrave; stabile, monocratica e immutabile nel mondiale di F.1 con una visione che sta cambiando la storia delle corse

Macch&eacute; bibitari, la Red Bull si beve tutti

Quella per le figurine &egrave; una passione che non ha et&agrave;, e che coinvolge tanto i pi&ugrave; piccoli quanto gli adulti. E, a volte, diventa una questione dal peso economico rilevante. &Egrave; il caso dell&#39;asta organizzata da Bolaffi, in cui sono state messe in vendita centinaia di figurine, alcune delle quali rarissime. Tra queste, la &ldquo;rookie&rdquo; del 198 4raffigurante Ayrton Senna, che &egrave; stata venduta alla cifra record di 2.400 euro.  Quotazione super per la figurina di Senna  Calciatori e non solo. Aste Bolaffi, nell&#39;evento del 12 maggio, ha messo in vendita centinaia di figurine, pi&ugrave; o meno rare, dedicate ad alcuni tra i pi&ugrave; apprezzati giocatori di sempre: da Baggio a Zoff, passando per Maradona, Totti e Del Piero. Senza escludere i campioni di altri sport, come appunto l&#39;automobilismo. Ed &egrave; stata proprio la figurina dedicata a un pilota di Formula 1 ad aggiudicarsi il primato di lotto pi&ugrave; costoso di questa asta. La &ldquo;rookie&rdquo; di Ayrton Senna, datata 1984, &egrave; stata infatti venduta per una cifra pari a ben 2.400 euro, superando la figurina Baggio-Monelli nella rarissima versione non tagliata e la &ldquo;Yellow Nameplate&rdquo; di Eusebio al Benfica del 1963/64. Entrambe, sono state aggiudicate a 1.875 euro ciascuna. La figurina di Senna ritrae il pilota con la tuta della Toleman, scuderia per la quale il brasiliano correva all&#39;epoca, e faceva parte del set di carte da gioco Scratch n&#39; Play della Panini. Stampata su plastica trasparente, costituisce una vera rarit&agrave;.  &quot;&Egrave; stata una prima esperienza molto positiva per Aste Bolaffi &ndash; ha spiegato Filippo Bolaffi, amministratore delegato della casa d&#39;aste in cui &egrave; stata venduta la figurina di Senna - ha confermato che le figurine pi&ugrave; ambite sono quelle relative a icone dello sport nei momenti pi&ugrave; significativi delle rispettive carriere. Per esempio sono state vendute a realizzi significativi tutte le figurine dell&#39;anno di esordio (Rookie year) di Dino Zoff, Paolo Rossi, Roberto Baggio, Francesco Totti e Alessandro Del Piero. Siamo stati sorpresi dalla competizione per alcuni lotti apparentemente molto di nicchia (come le edizioni Carlo Vidali), protagonisti di sfide accese tra i collezionisti; alcuni hanno triplicato il prezzo di partenza, a dimostrazione dell&#39;attento interesse suscitato dall&#39;asta&rdquo;. All&#39;evento appena concluso ne seguir&agrave; un altro, analogo, tra sei mesi, in cui verranno proposte ancora numerose figurine rare e introvabili.  Formula 1, il calendario della stagione 2022 

La figurina che ritrae il pilota brasiliano con la divisa Toleman, datata 1984, &egrave; stata venduta per una cifra elevatissima

Asta da record per la figurina di Ayrton Senna

        Tornare a parlare di Ayrton Senna, come se fosse qui. Come se non se ne fosse mai andato, rapito dalla sorte. Eppure il vero destino di Beco &egrave; quello di restare sospeso in un eterno limbo emozionale, oscillante tra immagini che vanno dalla giovinezza agonistica alla maturit&agrave;, senza mai passare oltre. Quasi a incarnare un pilota che poteva sembrare vulnerabile e allo stesso tempo la leggenda di un campione col passare degli anni sempre pi&ugrave; immortale. Perch&eacute; l&rsquo;Ayrton Senna di adesso non &egrave; pi&ugrave; quello del 1991, fresco del terzo mondiale vinto, o quello struggente che si calava nell&rsquo;abitacolo della sua Williams, nel primo pomeriggio del giorno 1 maggio 1994.  Ayrton Senna, il profeta L&rsquo;Ayrton di oggi &egrave; un modello, un formidabile traino motivazionale, un simbolo forte di classe, resilienza, riscatto, determinazione e poesia. Meno pilota, forse, e molto pi&ugrave; uomo, personaggio e inno. Inno a solidariet&agrave;, dedizione, empatia, determinazione e capacit&agrave; di comunicazione. Anche in questo sta la sua modernit&agrave;, la sua veicolabilit&agrave;, il suo mantenersi perfettamente spendibile in un mondo che nel frattempo &egrave; molto cambiato dal giorno delle sue ultime vittorie in pista. Ma poco importa, perch&eacute; Beco resta non solo un campione, ma profeta dello Sport. Uno che fa e dice cose che restano. Un Uomo che affronta tutto e tutti senza essere mai banale o insincero, dicendo sempre ci&ograve; che pensa e pensando puntualmente e attentamente prima di dire o manifestare il suo pensiero. Forma di rispetto Per questo per noi tornare a parlare di lui non &egrave; un omaggio alla storia della F.1, ma semplicemente il giusto rispetto dovuto a un presente indeclinabile in modo diverso, proprio perch&eacute; Ayrton Senna sa restare a dispetto dei decenni sempre attuale e in grado di fornire spaccati inediti e inconsueti della sua storia stratificata, complessa e ricca di anse e momenti ancora in ombra. Per questo, riandare a lui e con lui, qui ed ora, &egrave; anche l&rsquo;occasione per tornare ad approfondire momenti fin qui svelati ma non abbastanza assaporati, riguardanti soprattutto l&rsquo;alba della sua vicenda di campione del Motorsport. Pensiamo agli inizi a livello internazionale in kart, in Italia, certo, ma anche al momento del salto di qualit&agrave; in Formula 3, in quella intensissima stagione 1983 in Gran Bretagna, nella quale il brasiliano duella piuttosto selvaggiamente con Martin Brundle, prima di imporre la sua legge, oltre a scrivere il suo nome anche sull&rsquo;albo d&rsquo;oro di una gara classica come il Gp di Macao. Sempre in quell&rsquo;anno, talmente magico e fervido da raccogliere le esperienze di un&rsquo;esistenza intera, Ayrton entra nel radar addirittura di quattro team di Formula Uno, che complessivamente gli fanno svolgere addirittura quattro provini consecutivi. Un campione infinito Un viatico assolutamente inconsueto, unico e improbabilissimo per un giovane pilota privo d&rsquo;esperienza iridata, eppure realissimo solo per un campione mai visto e diverso dagli altri quale il 23enne Ayrton Senna Da Silva &egrave; e, in fondo, rester&agrave; per sempre. Nonfinisce qui, perch&eacute; l&rsquo;anno dopo succede un&rsquo;altra di quelle cose a oggi tenuta quasi in ombra, in secondo piano e piuttosto lontano da un racconto vero,vivo e degno della massima attenzione. Nella primavera del 1984, infatti, prima ancora che l&rsquo;astro di Senna brilli per la prima volta in F.1 in occasione del Gp di Monaco, il brasiliano prende parte a una gara celebrativa monomarca che riunisce tutti i pi&ugrave; grandi piloti del Circus iridato passato e presente, a bordo di vetture Mercede 190E, quale inaugurazione ufficiale del nuovo e modernissimo (e pure sciapo) circuito del Nurburgring, sorto accanto alla terribile Nordschleife. Ebbene, in una corsa che assomma col senno e col Senna di poi, ben undici campioni del mondo di F.1, Ayrton d&agrave; un&rsquo;immensa lezione a tutti, dominando la gara su asfalto umido, ovvero nella sua condizione atmosferica ideale, come da l&igrave; a pochi giorni riveler&agrave; nel bagnato Gp di Monaco, dove sar&agrave; secondo al volante della pur non irresistibile Toleman. Sempre con noi Ecco, tutto ci&ograve;, unito a un bel pezzo che vede protagonista pap&agrave; Milton, viene unito e amalgamato a un corpo- so fotocolor riguardante tutte e 41 le sue vittorie iridate nel mondiale di F.1, da Portogallo 1985 sino ad Australia 1993. Tutto all&rsquo;insegna dell&rsquo;Alfa e dell&rsquo;omega, dall&rsquo;inizio alla fine. Cercando di rivivere, approfondire e centellinare aspetti fin qui ancora non dovutamente analizzati nel dettaglio all&rsquo;interno della vita e della carriera di un campione la cui ricchezza di esperienze umane e sportive restano a tutt&rsquo;oggi un giacimento immenso e tutto da valorizzare, con curiosit&agrave; e vorace interesse. Per questo, un campionissimo come Ayrton &egrave; una presenza sempre pi&ugrave; gradita, struggente e importante. Capace di ricordare in lui uno dei simboli della nostra giovi nezza grazie alla sua, che perpetuandosi nel ricordo ci offre ricordi, ma anche ideali dei quali ci inorgogliamod&rsquo;essere partecipi sempre e per sempre.       

Primo maggio 1994 - primo maggio 2021. Ayrton Senna &egrave; e rester&agrave; per sempre con noi

Dolce rivivere Senna

        Il Senna-Mito &egrave; una figura che si compone per tasselli. Montecarlo &lsquo;84 sulla Toleman, certo. Le varie Suzuka in tre anni epici tra &lsquo;88 e &lsquo;90, pure. La Interlagos &lsquo;91, ovviamente. La Donington &lsquo;93, per forza. E l&rsquo;Estoril del 1985, 21 aprile come oggi. Sterzi a parte: Stirling Moss, non ti dimenticheremo Una pista bagnata che si trasforma in un deviazione del Tago, tanta &egrave; l&rsquo;acqua che nell&rsquo;arco dei 67 giri cade sul circuito portoghese. La prima vittoria di Ayrton Senna fa il paio con la prima pole position e, guarda il caso, gli scenari sono quelli che diverranno simbolici nella carriera di Magic: il giro di qualifica al sabato e l&rsquo;inarrivabile superiorit&agrave; sul bagnato. A rivedere le immagini dell&rsquo;epoca si scopre una Formula 1 clamorosamente diversa, monoposto in grado di gareggiare perch&eacute; ancora &ldquo;automobili&rdquo;, dove i progetti degli anni Duemila semplicemente si sarebbero parcheggiati al box, bandiera rossa e tanti saluti. Distacchi abissali Se Montecarlo 1984, il secondo posto dietro Prost, pu&ograve; ritenersi una &ldquo;vittoria simbolica&rdquo;, il Gran Premio del Portogallo dell&rsquo;85 diventa la prima tacca di 41 trionfi. Oltre 1 minuto di vantaggio su Michele Alboreto, poi Patrick Tambay doppiato a 1 giro: 9 piloti appena all&rsquo;arrivo su 26 partenti. Partenza su pista umida con gomme slick, "nulla" rispetto all'evoluzione di quel GP. Dopo 10 giri, 13 secondi di vantaggio su Elio De Angelis, stessa Lotus, Prost a 13&rdquo;, Lauda a 30&rdquo; quinto, Warwick sesto gi&agrave; doppiato&hellip;  La cavalcata &egrave; leggendaria, per portata ricalca la Donington del 1993. Diverse per contesto, premesse e rappresentazione. Dalla pole al traguardo nel 1985 annichilendo gli avversari a distanza, dove l&rsquo;annichilimento del&rsquo;93 arrivo in un giro entrato nella storia, al quale fecero da contorno gli altri 75. Storia della prima vittoria in Formula 1 scritta 35 anni fa, una storia lunga 10 anni da rivivere, alla quale Autosprint dedica la prossima uscita di Gold Collection. Autosprint Edizione Digitale: 90 giorni a 5,99       

Il GP del Portogallo del 1985 ha tutti gli ingredienti della narrazione epica, dalle condizioni meteo estreme alla cavalcata trionfante verso la prima vittoria in carriera di Senna

Senna, 35 anni fa la prima perla all'Estoril

        Un F1 Fan Festival speciale, quello in programma nella settimana che preceder&agrave; il Gran Premio del Brasile. Appuntamento dedicato alla Leggenda, nella sua San Paolo, dove il 9 novembre andr&agrave; in scena il tributo ad Ayrton Senna, nei 25 anni dalla scomparsa. Ai quattro gran premi ancora in programma, la Formula 1 ha sommato due Festival dedicati ai tifosi, con l&rsquo;uscita in programma il prossimo 30 ottobre a Hollywood, dove Mercedes, Renault e Red Bull andranno in strada e proveranno a catalizzare l&rsquo;attenzione dei tifosi, a Los Angeles. Leggi anche: F1 2020, i team si oppogono alla gara di qualifica In Brasile, alle attivit&agrave; di contorno &ndash; simulatori eSports, prove di pit-stop, intrattenimento &ndash; subentreranno i run dimostrativi di Mercedes - Esteban Gutierrez girer&agrave; con una W08 &ndash; e Renault. Il ricordo di Magic sar&agrave; nella passerella di Felipe Massa ed Emerson Fittipaldi, al volante della Toleman TB84 dell&rsquo;esordio in F1 di Senna e della successiva Lotus 97T del 1985, che port&ograve; alla prima vittoria, all&rsquo;Estoril. F1 E ISTITUTO SENNA INSIEME &ldquo;Sono certa sar&agrave; una giornata indimenticabile per i tifosi di Ayrton. L&rsquo;opportunit&agrave; di vedere, cos&igrave; da vicino, macchine storiche che hanno fatto parte di alcuni dei suoi migliori momenti in Formula 1, sar&agrave; incredibile. Poter assistere a un evento con cos&igrave; tante attrazioni, nel cuore di San Paolo, a Ibirapuera, sar&agrave; ancor pi&ugrave; straordinario, coronando un 2019 pieno di splenditi tributi per celebrare la sua memoria dopo 25 anni&rdquo;, ha commentato Bianca Senna, nipote di Ayrton (sorella di Bruno e figlia di Viviane) direttrice dell&rsquo;Instituto Ayrton Senna, che opera nel sociale, a supporto dei giovani offrendo opportunit&agrave; di studio e miglioramento delle proprie condizioni di vita.  Sull&rsquo;iniziativa, Sean Bratches ha aggiunto: &ldquo;Ayrton Senna &egrave; una vera leggenda del nostro sport e la sua eredit&agrave; &egrave; immensa, nonch&eacute; d&rsquo;ispirazione. Celebreremo la sua vita offrendo ai tifosi l&rsquo;opportunit&agrave; di avvicinare monoposto moderne e storiche, che regaleranno un&rsquo;esperienza unica, della velocit&agrave;, del sound e dell&rsquo;emozione che la F1 ha da offrire. Leggi anche: GP di Miami, accordo F1-Hard Rock Stadium&nbsp; Il Brasile ha un posto speciale nella famiglia ella Formula 1 e siamo emozionati di portare questo evento a San Paolo, una settimana prima del GP a Interlagos&rdquo;       

L'evento corona le iniziative prodotte dall'Instituto Ayrton Senna, nei 25 anni dalla scomparsa di Ayrton. Massa e Fittipaldi guideranno le storiche Toleman e Lotus, in azione anche Mercedes e Renault

F1 Fan Festival celebra Senna a San Paolo

Venticinque anni da quel giorno e esattamente altrettanti dal momento in cui &ldquo;Beco&rdquo; andandosene &egrave; restato in noi. Se uno &egrave; grande davvero - nella tua vita o in quella di tutti -, te ne accorgi, perch&eacute; pi&ugrave; passa il tempo, pi&ugrave; sembra essere scomparso da poco. E per Ayrton il giorno del destino, 1 maggio 1994, resta galleggiante in un&rsquo;atmosfera sospesa che sa a suo modo d&rsquo;eterno presente. Solo a ripensarlo aggrappati alla ringhiera di qualsiasi anniversario. Ma ce dell&rsquo;altro. Ben altro, da aggiungere.  Il pi&ugrave; amato  Ho una mia teoria sul perch&eacute; Ayrton Senna sia il campione pi&ugrave; amato della Formula Uno moderna. C&rsquo;&egrave; qualcosa d&rsquo;infinito e struggente che lega gli appassionati al suo nome, un che di chimico e emotivo, pungente e allo stesso tempo caldo e irrisolto.  Perch&eacute; Ayrton, solo a pensarlo, &egrave; l&rsquo;unico che da subito fa venire un nodo in gola.  A un quarto di secolo dalla scomparsa, per chi l&rsquo;ha tifato in diretta, resta il simbolo bello e nostalgico d&rsquo;una giovent&ugrave; volata via, sua e anche nostra, d&rsquo;accordo, ma soprattutto sembra la parabola inquieta d&rsquo;una vita stupenda dalle ali spezzate, vincente e offesa, esaltante e sfortunata, quantificabile e calcolabile in partita doppia tra debiti in- giusti, immensi contratti col destino e risarcimenti entusiasmanti e indimenticabili.  Per il suo talento infinito, tante, troppe furono le sconfitte. E quasi tutte perfide.  Dotato di un DNA speciale, da pilota superiore, non riusc&igrave; mai a diventare Campione del mondo in kart. Ogni pilota ha il suo cruccio, il trofeo femmina sfuggito, il traguardo mancato. Per Ayrton, cos&igrave; come, guarda caso, per Michael Schumacher, fu il primo. L&rsquo;iride per ragazzi. Graffio doloroso, per lui, vulnus delicatissimo, suppurato in un periodo nero nel quale decise, per la prima e unica volta nella sua vita, di smetterla con le corse, salvo poi tornare e smettere di smettere.  Per sempre.  Montecarlo, 1984: cambia la storia  Passato alle auto, le cose cambiarono. Senna vinceva sempre e comunque, ovunque e in qualsiasi categoria promozionale. Fino all&rsquo;approdo in F.1. L&igrave; sarebbe stata dura. Perch&eacute; era ancora giovane e inesperto, velocissimo ma tenero e con una macchina, la Toleman-Hart, strana, capricciosa e dal motore friabile, all&rsquo;interno di una squadra figlia d&rsquo;un Dio minore.  Poi venne quel pomeriggio di pioggia a Montecarlo e la storia della F.1 cambi&ograve;. Sotto un autentico diluvio, il ragazzo brasiliano stava scrivendo una pagina mai letta di leggenda, rimontando furiosamente su Alain Prost al volante della McLaren-Tag-Porsche, &ldquo;nostro signore&rdquo; della F.1 incistato nella regina madre.  Attenzione, dietro la leggenda la realt&agrave; dice che in quel momento il pi&ugrave; veloce in pista fosse Stefan Bellof con una Tyrrell pi&ugrave; sottopeso di Kate Moss strafatta, per&ograve; il dato sensibile e percepito dal mondo fu quello di una svolta nella storia delle corse: l&rsquo;eroe nuovo era Ayrton Senna.  Gli ultimi convulsi giri, quella bandiera improvvida da parte del direttore di gara Jacky Ickx, il furbo salvataggio del fragile leader ormai kappa&ograve; in piedi a danno del rimontante freshman, lasci&ograve; a tutti un grido strozzato in gola di gioia rappresa. Semplicemente, stava andando in scena una delle pi&ugrave; grosse ingiustizie del mondo della F.1, voluta o meno. In quel momento, in centinaia di migliaia, forse a milioni, capimmo che Ayrton Senna era in debito col destino e anche noi tutti gli dovevamo qualcosa.  La prima vittoria  Il conto fu pagato un anno pi&ugrave; tardi, col brasiliano in fuga al volante di una Lotus nero e oro tra le colonne d&rsquo;acqua nebulizzate dell&rsquo;uragano di Estoril, al Gp del Portogallo, la sua prima vittoria in F.1.  Con la Casa inglese, nell&rsquo;era del dopo Chapman targata Ducarouge, Ayrton accese ben presto un altro mutuo con la sorte. Velocissimo, quasi imbattibile sul giro secco e senza alcuna possibilit&agrave; di vincere il Mondiale, perch&eacute; il team e la monoposto potevano vivere momenti speciali, ma mai la consistenza pervicace e costante capace d&rsquo;assicurargli la gioia del titolo.  Approdo a Woking  Fu col passaggio alla McLaren, al fianco dell&rsquo;uomo della sorte, il suo doppio motivante, il doppelganger galvanizzante Alain Prost che nel 1988 il brasiliano si bagn&ograve; a Suzuka, dopo una rimonta da antologia su pista insidiosamente umida, con lo champagne del primo titolo mondiale.  Non era finita, perch&eacute; una nuova e pi&ugrave; crudele ingiustizia lo stava attendendo al varco, l&rsquo;anno dopo, con la toccatina venefica, sempre a Suzuka, ad opera dello stesso Prost col quale era ormai guerra aperta e totale.  La ripartenza, il taglio di percorso, la squalifica successiva e la perdita del titolo. Quindi le polemiche con Balestre, Presidente della Federa- zione Internazionale e amicone di Prost, lo spettro della sospensione disciplinare della licenza durato per mesi, una nuova unghiata nelle sue carni e quindi il ritorno alla carriera, alle corse e alla vita con una liberatoria vendetta con la quale a fine 1990 Ayrton, il risorto, fa strame, alla prima curva della solita Suzuka, del solito Prost, ormai transfuga in Ferrari.  La vittoria in Brasile  Il 1991 sembra l&rsquo;anno dell&rsquo;ennesimo patimento, stravolta tutto brasileiro. Perch&eacute; Senna di pena ne coltiva un&rsquo;altra. Ha vinto dappertutto meno che in Brasile, cos&igrave;, negli ultimi giri del Gp di casa, l&rsquo;ennesima, nuova e pi&ugrave; pervicace maledizione l&rsquo;affligge e mentre sembra riuscire a sfatarla, la sua McLaren accusa guai gravi al cambio, con la muta degli inseguitori che si fa pi&ugrave; vicina, pronta a sbranarlo.  Poi l&rsquo;urlo. Il ruggito di gioia disperata che da quel pomeriggio infuocato lacerer&agrave; per sempre l&rsquo;aria di chi avr&agrave; la poesia di risognarlo. Ayrton Senna vince il Gran Premio del Brasile 1991, in condizioni quasi impossibili. L&rsquo;operazione non poteva riuscire, ma il paziente vive. E dopo mo- menti cos&igrave;, comunque vada, in noi vivr&agrave; per sempre.  Quindi il terzo Mondiale vinto, sempre nel 1991, perch&eacute; la rivale Williams-Renault di Mansell non &egrave; ancora affidabile, ma nel 1992 arriva la sconfitta, perch&eacute; la &ldquo;Red Five&rdquo; del Leone stavolta non si rompe pi&ugrave;. Non c&rsquo;&egrave; tempo per pensarci. Nuovi schiaffi terribili attendono Ayrton Senna.  Lotta per un sedile  Nel 1993 &egrave; in lotta col mondo e si ritrova perfino la guerra civile in casa. Abile come il cardinale Richelieu, Alain Prost gli ha soffiato il posto nella miglior squadra che sfodera la vettura pi&ugrave; competitiva, ancora la Williams, dotata del francesissimo e politicamente demoprostiano motore Renault.  Ayrton ha fatto di tutto per non restare fregato, offrendosi perfino gratis a patron Frank, ma le ragioni dei poteri forti e i motivi d&rsquo;opportunit&agrave; politica prevalgono sulla meritocrazia: quella macchina imbattibile andr&agrave; al 38enne prepensionando francese, mentre Mister Magic &egrave; in lotta al calor bianco col suo capo Ron Dennis. Tra i due l&rsquo;accordo &egrave; talmente instabile da venir rinnovato gara per gara, a cachet, un milione di dollari al colpo.  A Donington, sempre sul bagnato, con una partenza e un primo giro ispirati dal demone delle corse, Ayrton infligge a Prost un&rsquo;umiliazione pi&ugrave; grande del Mondiale vinto implacabilmente dal francese a fine stagione.  La fine di tutto  Poi la doppia notizia. Per il 1994 Alain smette e finalmente Senna ottiene la sospirata Williams-Renault. Per anni il Mondiale parrebbe prenotato dal tonitruante nuovo binomio.  Il pomeriggio del 1&deg; maggio 1994 cambia tutto, per sempre. Ayrton perde la vita nello schianto terrificante della curva del Tamburello. Il prezzo definitivo. Non sono previste rivincite.  L&rsquo;ingiustizia suprema &egrave; accaduta. Punto. &Egrave; la fine.  E invece no. Mentre la comunit&agrave; delle corse, il Brasile e, diciamolo, il mondo intero, piangono il campione pi&ugrave; amato, a San Lazzaro di Savena, provincia di Bologna, nella redazione di Autosprint, accade qualcosa di straordinario e segreto, che fino ad oggi pochi conoscono e un ristrettissimo numero di iniziati vive in diretta.  Una storia da scrivere  Per uno strano gioco del fato, quel pomeriggio, tra i primi a precipitarsi nel luogo dell&rsquo;incidente, in motorino, c&rsquo;&egrave; uno dei pi&ugrave; grandi amici di &ldquo;Magic&rdquo;, il fotografo di As Angelo Orsi, il quale d&rsquo;istinto, scatta a mitraglia una serie innumerevole di foto del Campione ferito a morte. In redazione &egrave; vietato parlarne, il tutto &egrave; segretato, eppure dai movimenti strani dei capi, dai sussurri e dalle riunioni riservatissime qual- cosa trapela. Autosprint ha le immagini agghiaccianti che il mondo sta cercando. Quelle del pi&ugrave; Grande della F.1 moderna colpito alla testa da un pezzo di sospensione che s&rsquo;&egrave; comportato come una fiocina sparata da un immaginario sub assassino, condannandolo.  Roba da passare alla storia, da diventar ricchi solo cavalcando il sensazionalismo, l&rsquo;onda emotiva del momento, la retorica del dolore spettacolarizzato e fine a se stesso. Invece no. Quelle immagini che il mondo, anzi, la parte peggiore del mondo, bramerebbe, vengono occultate, nascoste, proibite per sempre perch&eacute; l&rsquo;orrore nulla aggiunge alla verit&agrave;, direbbe saggio Indro Montanelli. In poche ore il direttore Carlo Cavicchi prende alcune decisioni che lo rendono, da gran giornalista, un timoniere straordinariamente immenso. Il suo settimanale eviter&agrave; di speculare nella spettacolarizzazione della morte in diretta, uscir&agrave; semplicemente con copertina nera e s&rsquo;impegner&agrave; a cercare e dimostrare, giorno per giorno, durante mesi di ficcante giornalismo d&rsquo;inchiesta, che Ayrton non ha sbagliato, &egrave; morto senza commettere errori e che a cedere &egrave; stato il piantone dello sterzo della sua Williams, della quale &egrave; divenuto all&rsquo;improvviso innocente passeggero. Una lezione profonda e coraggiosa, una ricerca della verit&agrave; che gli anni valorizzeranno, coronandola d&rsquo;un successo comunque amaro ma che ora &egrave; giusto riconoscere.  Niente e nessuno, neppure le risultanze processuali, riusciranno poi a essere pi&ugrave; precise e puntali, del rigore professionale, delle capacit&agrave; e del rigore deontologico dimostrato da Cavicchi e Orsi per primi, coloro che avevano in mano lo scoop della vita e che preferirono segretarlo in cassaforte sino alla fine dei secoli, perch&eacute; Ayrton Senna era un uomo, un campione, un amico, che in quel momento meritava qualcosa d&rsquo;altro e di pi&ugrave;. Un supplemento di moralit&agrave; e affetto, un risarcimento esistenziale definitivo alla ricerca dell&rsquo;ultima verit&agrave;, dell&rsquo;ultimo disperato tentativo di difesa della sua memoria, che nei decenni sarebbe comunque stupendamente riuscito.  Cosa resta  E adesso,venticinque anni dopo, qualcosa di poetico e irrosolto galleggia ancora nell&rsquo;aria, tra noi tutti e Ayrton. Come in una storia d&rsquo;amore immensa bruscamente interrotta ma mai finita davvero, nella quale ciascuno sentiva di volere e potere dare di pi&ugrave;, se solo ce ne fosse stato il tempo. Per motivi semi-psicanalitici, sembra quasi che tutti pro- vino, che tutti noi proviamo ancora, un senso di debito con Ayrton Senna.  Per le emozioni, l&rsquo;esaltazione, i momenti in cui ci ha fatto dire, come il Faust di Goethe, &ldquo;Fermati, attimo, sei bello&rdquo;, per quella stima infinita che non abbia- mo neanche avuto le occasioni giuste per dimostrargli. Per quei suoi occhi che ancora oggi, dalle immagini, divorano chi li guarda, regalando un senso di serena enigmaticit&agrave;, dell&rsquo;incompiutezza di una celeste corrispondenza che sentiamo insopprimibilmente di voler colmare e onorare. &Egrave; stato il campione pi&ugrave; mediatico, poliglotta, financo sgradevolmente sincero e puntualmente vero delle corse vissute dal Villaggio Globale dei media.  Era bello, buono non a tutti i costi, caldo, mistico, vulnerabile, vendicativo e corazzato, velocissimo, quasi imbattibile e voglio- so di dare un senso alla vita pensando che fosse un dono troppo grande da gustare nella sola, banale e distratta inconsapevolezza dell&rsquo;uomo di successo qualsiasi. A venticinque anni dalla scomparsa, questo non &egrave; un semplice viaggio di retrospettiva, riscoperta o conoscenza retroattiva di un mito. No, in verit&agrave; vuol essere molto pi&ugrave; o molto meno, ma qualcosa di diverso assai. Sono schegge balenanti di una vita, colpi di specchio preziosi e forniti da chi Ayrton l&rsquo;ha conosciuto bene.  Semplici nuovi contatti con &ldquo;Beco&rdquo;, per riprovare la sensazione unica d&rsquo;avere un debito emotivo ed esistenziale con lui, in grado di suscitare di nuovo, come allora, un magnetismo che ci attira al suo vissuto. Invitandoci a dedicargli ancora tempo, in un reincontrarsi amico, che non finir&agrave; mai. 

Ayrton ha una storia che continua a parlare, malgrado tutto. Nelle emozioni di chi l&#39;ha vissuto davvero

Ayrton Senna, cose ancora non lette

La trasformazione della Sauber in Alfa Romeo pu&ograve; essere presa in mille modi, ma in questo momento va inquadrata tenendo la mente vigile e il cuore aperto. Perch&eacute; la cosa in s&eacute; vuol dire tantissimo o niente, a seconda di come la guardi. E soprattutto della direzione che prender&agrave;.  Dal punto di vista degli equilibri proprietari, formalmente non cambia nulla. I padroni di ieri restano i padroni di oggi, alias Longbow Finance SA, ossia, diciamo cos&igrave;, gli amici carissimi del giubilato Marcus Ericsson, emigrato in IndyCar.&nbsp;  Sul piano della sponsorizzazione, quindi dell&rsquo;immagine, dell&rsquo;esborso economico e della confluenza di know-how, tecnologie, dati e materiali, nonch&eacute; power unit belle cattive, si registrano invece significativi incrementi da Maranello in direzione Hinwil fermoposta Resta/Furbatto, appiccicati alle decal Alfa Romeo.  E allora questa lettura diamogliela pure, ma facciamola pirandelliana, cos&igrave; &egrave; se vi pare, cangiante, pluriprospettica, caleidoscopica e in divenire, tale e quale alla realt&agrave; di cui questa notizia &egrave; oggetto.  Di fatto in soldoni la presenza Alfa Romeo in Sauber e quindi in F.1 s&rsquo;allarga con un esborso dilatato, pare, a venti milioni di euro, che di questi tempi non rappresentano poco-poco ma neanche follie, visto che con altrettanto s&rsquo;acquista un Alfone 8C degli Anni &rsquo;30 a un&rsquo;asta tosta.  La faccenda paradossalmente ricorda al momento il rapporto tra l&rsquo;azienda di modellini, slot car e piste elettriche Politoys - in seguito divenuta Polistil - che nel suo periodo pi&ugrave; d&rsquo;oro diventa - per tanto meno, visti i tempi e la F.1 che era -, lo sponsor pi&ugrave; importante del giovane Frank Williams, tanto da dare il nome alla Fx3 nella stagione 1972, con la societ&agrave; lombarda, che in quell&rsquo;anno partecipa al Gp di Gran Bretagna) schierando la pomposamente ribattezzata Politoys FX3. E l&igrave; la cosa finisce. Un po&rsquo; quasi come la Texaco F.2 che d&agrave; il nome alle Lotus schierate nell&rsquo;europeo di quegli anni, ecco.  Per&ograve;, occhio, perch&eacute; l&rsquo;appetito vien sponsorizzando, se &egrave; vero che la Tyrrell e l&rsquo;Alfa Romeo nel 1983 e nel biennio 1984-1985 portano all&rsquo;arrivo della Benetton che proprio nell&rsquo;85 acquista la Toleman e dall&rsquo;anno dopo gli d&agrave; il nome e diventa costruttore vero e proprio - financo destinato a iridarsi - cos&igrave; come Fondmetal fa con Osella, a fine Anni &rsquo;80 e cos&igrave; via, gli esempi potrebbero esser pi&ugrave; di mille, compresa la Ats con la ex Penske o la Spyker con la ex Midlan o la Marussia con la fu Virgin..  Per ora a Hinwil lo sponsor d&agrave; il nome alla squadra, un po&rsquo; come accade da una vita nel basket. Punto. Poi si vedr&agrave;.  Curiosamente Alfa Romeo Racing fa rima con l&rsquo;ultima presenza del marchio nelle corse, perch&eacute; nel 1984-1985 la dizione ufficiale era Alfa Romeo EuroRacing, in ossequio all&rsquo;operazione che aveva visto la Casa cedere i materiali al team di Pavanello per una gestione decentrata e, di fatto, privatizzata.  Poi c&rsquo;&egrave; un aspetto politico innegabile. Ferrari, ossia FCA, ottiene sempre pi&ugrave; il controllo di uno junior team, anche se non ancora ai livelli della Red Bull con Toro Rosso. Di certo la direttrice futura potrebbe essere proprio quella, magari con le tre squadre top che gestiscono convenientemente ciascuno uno junior college al quale danno motori e in cui lasciano militare, a turno, certi loro piloti di riferimento. Com&rsquo;era Force India lo scorso anno per la Mercedes, tanto per intenderci.  Per&ograve; questo non &egrave; l&rsquo;unico modo di vedere le cose. Perch&eacute; poi c&rsquo;&egrave; il cuore. L&rsquo;allure del marchio, i ricordi evocati dal solo flatus vocis, dal mero fluire fonetico del vocabolo Alfa Romeo. E allora la faccenda, ormonizzandosi, endorfinizzandosi, adrenalinizzandosi ecco che arrapa, avvince, attizza pi&ugrave; i vecchi dei giovani, tanto, tantissimo i maturi ma un pochino anche gli implumi, visto che nelle corse Alfa Romeo vuol dire un sacco di cose, d&rsquo;epoche, d&rsquo;eroi, situazioni, Quadrifogli, complicazioni affettive e nodi da sciogliere e mai sciolti davvero.  Oh certamente, una monoposto Alfa Romeo motorizzata Ferrari &egrave; coerente alla storia quanto - con rispetto parlando - un angioletto che in una mano tiene l&rsquo;arpa e nell&rsquo;altra il forcone, sfoggiando la coda biforcuta.&nbsp;  Tuttavia questa nuova fase, con una FCA globalizzata e su scenari turboibridocapitalisti, se non altro, si pone come formula nuova, liquida e quasi volatile del marchio Alfa Romeo, che diventa semplicemente nome, adesivo rosso avvolgente, ma anche catalizzante ectoplasma che, se evocato, pu&ograve; sempre scatenare magie indicibili frutto d&rsquo;una memoria infinita e imbevuta d&rsquo;eventi corsaioli indimenticabili. Varzegganti e Nuvolareggianti nonch&eacute; al gusto di Campari.  Voglio dire che in F.1 come nella storia capitano cose che restano nell&rsquo;aria, in sospeso come domande e poi, un bel giorno, la vita risponde. &Egrave; un concetto by Baricco ma in fondo lo facciamo nostro senza problemi, perch&eacute; &egrave; proprio cos&igrave;.&nbsp;  E allora, dai, diciamocelo: son decenni che antiche imprese aspettano un degno completamento. Che l&rsquo;epica cavalcata di Bruno Giacomelli a Watkins Glen 1980 nel Gp Usa East attende d&rsquo;essere vittoriosamente completata senza che un guasto eletrico ammultolisca tutto a una manciata di giri dalla fine, quando ormai tutti e lui per primo pregustavano il trionfo.  E un&rsquo;altra fuga che stringe il cuore, stesso continente, due anni dopo, ancora aspetta l&rsquo;urlo finale. Stavolta &egrave; il compianto Andrea De Cesaris, meraviglioso poleman, a menare le danze a Long Beach 1982, sotto gli occhi, anzi, gli obl&ograve;, della Queen Mary, fino a che, complice il doppiaggio della March di Raul Boesel, il ritornante Niki Lauda sulla McLaren Mp4/1 lo va a infilare tarpandogli le ali, appena prima che si rompa ogni cosa. Quello stesso De Cesaris al comando con l&rsquo;Alfone anche nelle prime fasi di Spa 1983, il giorno in cui la F.1 torn&ograve; sul suo tracciato pi&ugrave; bello e strappacuore.  Ecco, questa storia di una, anzi due monoposto che nel mondiale di F.1 2019 tornano a chiamarsi Alfa Romeo abbiamo abbastanza buon senso da leggerla in maniera asettica e disincantata ma anche cuore a sufficienza per provare un tuffo al petto, un nodo in gola e commuoverci. Per dire che sar&agrave; bellissimo tifare Giovinazzi e Raikkonen con gioia speciale, tornando a dire in F.1, dopo decenni: forza Mamma Alfa, fagli vedere chi sei.  La verit&agrave; ha il colore degli occhi di chi la guarda e gli appassionati pi&ugrave; grandi e cresciuti sono abbastanza romantici da aver capito tanto senza per questo inibire l&rsquo;innamoramento antico. S&igrave; alla fantasia, alla poesia e alla sospensione dell&rsquo;incredulit&agrave;, dunque, pensando che quel Biscione sulla ex Sauber &egrave; simbologicamente e mitologicamente assimilabile alla bestia potente alla quale dettero da mangiare Nivola, Nanni Galli, Spartaco Dini, l&rsquo;ingegner Chiti e Vittorio Brambilla.&nbsp;  Oh Cavallino, Cavallino storno, ci riporti l&rsquo;Alfa che ritorna.  Per una volta si vadano a nascondere le ragioni bottega. Se la F.1 &egrave; pronta a raccontare l&rsquo;ennesima verit&agrave; fallace, stavolta, se non altro, la mezza bugia profuma meravigliosamente di poesia. 

Come prendere il ritorno del Biscione in F.1? Sia con realismo che con poesia

Analisi di un cuore Alfista

Toleman TG184, parentesi aperta. McLaren MP4/8A, parentesi chiusa. In mezzo, nove edizioni del Gran Premio di Monaco, sei passate alla storia con la firma di Ayrton Senna sul gradino pi&ugrave; alto. Quella storia ripercorsa nel numero speciale, in edicola con Autosprint, che &egrave; Effetto Montecarlo. La McLaren battuta all&#39;asta da Bonhams, venerd&igrave; scorso, portava con s&eacute; il peso dell&#39;essere l&#39;ultima con la quale Magic vinse nel Principato, giardino di casa del brasiliano. Le offerte e i rilanci si sono fermati una volta toccata quota 4 milioni 197 mila 500 euro, ai quali sommare il premio d&#39;asta. Ad aggiudicarsi la MP4/8A, Bernie Ecclestone.  Decisamente staccata, in termini di valore raggiunto, la Toleman-Hart del 1984, monoposto con la quale Senna si present&ograve; a Montecarlo chiudendo al secondo posto, alle spalle di Alain Prost nella corsa interrotta da Jacky Ickx per le condizioni meteo proibitive, con tutto il corollario di polemiche che seguirono alla scelta del pilota belga.  Sterzi a parte: Tutti pazzi per la F1 vintage a Montecarlo  La TG184 ha toccato un valore d&#39;asta ben al di sopra alle stime della vigilia, tra i 750 mila euro e il milione. A Les Grandes Marques &agrave; Monaco &egrave; stata battuta per 1 milione e 610 mila euro. 

L&#39;asta organizzata da Bonhams ha visto la McLaren MP4/8A affiancata dalla Toleman-Hart TG184, l&#39;ultima e la prima monoposto del campione brasiliano a Monaco. Nel 1993 vinse e scavalc&ograve; il primato di 5 vittorie di Graham Hill

Ecclestone si regala l&#39;ultima McLaren di Senna a Monaco

Madonna che silenzio che c&rsquo;&egrave; stato, in questo inizio 2017 della F.1.&nbsp;  C&rsquo;era una volta il mondiale d&rsquo;inverno. La lunga interstagione nella quale per decenni tra test e interviste si svolgevano fanta Gran Premi virtuali con classifiche mirabolanti e fantasmagorici proclami.  &Egrave; cos&igrave; che squadre pirandellianamente in cerca d&rsquo;autore, financo boys tipo Toleman e Arrows, facevano temponi che neanche l&rsquo;astronave Apollo 12, chiss&agrave;, magari girando un po&rsquo; sottopeso e con una bicchierata di benzina a bordo, giusto per guadagnarsi l&rsquo;articoletto in pagina, un contrattino con la polleria osvaldo e due adesivini sulle fiancate.&nbsp;  Intanto la Ferrari degli anni bui premontezemoliani arava Fiorano annunciando record meravigliosi, imminenti sfracelli agonistici e capovolgimenti di fronte improbabili perfino nella pi&ugrave; sgangherata telenovela.  Gli anni passarono, la Rossa torn&ograve; sacra e grande e vennero loro, i cristiani dal proclama facile.&nbsp;  Dai, due su tutti. Rubens Barrichello e David Coulthard.&nbsp;  Cavolo, con le interviste invernali a Barrichello e Coulthard per quasi un quinquennio, via, dal 2000 in poi, tante testate sono andate aventi felici e molti giornalisti hanno pagato rate del mutuo, perch&eacute; eran tempi in cui internet non mordeva ancora e il cartaceo si vendeva benone, a prescindere da quel che raccontava.  &Egrave; cos&igrave; che il ferrarista Rubens, a ogni far di tempaccio in Europa, lanciava alto il suo ululato spettacolare: &ldquo;Vedrete, quest&rsquo;anno ho le carte in regola per battere il mio compagno di squadra Schumacher&rdquo;. Il quale, dai suoi meritati ozii alpestri o antipodali, manco rispondeva. Della serie, sfogati adesso che ciao, mi ti fumo domani.  Coulthard gi&agrave; da tempo era il Barrichello degli anglosassoni.&nbsp;  A un certo punto dell&rsquo;inverno, il settimanale Autosport lanciava alla grande la faccenda, sparandolo in copertina bello patinato, sguardo fisso e mascella volitiva, didascalizzato da un titolo a busso che manco su Batman: &ldquo;Can this man win next F.1 championship?&rdquo;.&nbsp;Ah&ograve;, pu&ograve; mister DC bastonare tutti?  Sauber C36. tante novit&agrave; per i 25 anni  E poi, tempo una settimana, David cantava. Si faceva intervistare, s&igrave;. Fluviale, ciarliero come una volpe che sta facendo la visita guidata in un pollaio, spiegando le novantasette buone ragioni per cui avrebbe surclassato Mika Hakkinen, suo compagno di squadra alla McLaren, e uno a uno i centododici motivi per cui la Ferrari di Schumi era ormai pronta a segnare il passo. Del minaccioso, anch&rsquo;egli preiridato e nucleare Barrichello, neanche la minima menzione.  Insomma, eran inverni cos&igrave;.  I primi Gp puntuali facevano giustizia d&rsquo;ogni bancarella della fiera delle vanit&agrave;, ma comunque era stato bello sognare.  Poi, pian piano, sempre meno strilli, fino a un anno fa, quando Marchionne sembrava suonar la carica alla Ferrari incitandola al trionfo. Ma, visto com&rsquo;&egrave; andata, pi&ugrave; niente.  E in cotal 2017, fino a questa settimana caldissima per le varie presentazioni in corso, in pratica tutti zitti.&nbsp;  La Mercedes per lo pi&ugrave; ha taciuto, perch&eacute; se si dice ultracerta di poter riammazzare il mondiale, cava la voglia a tutti di seguirlo, visto che risulta credibile assai.  Hamilton a differenza di suo padre non ha quasi parlato, in quanto se annuncia di poter far strame di Bottas, toglie fin dall&rsquo;inizio uno dei pochi motivi d&rsquo;interesse certi.  Bottas sta bello schiscio, perch&eacute; meglio di cos&igrave; non gli poteva andare, quindi pedalare.  La Ferrari ha scelto la strategia del silenzio, in quanto &egrave; l&rsquo;evoluzione estrema del &ldquo;testa bassa e lavorare&rdquo; frutto dell&rsquo;Arrivabene philosophy.&nbsp;  Vettel se parla rischia di dire cose per il suo futuro che &egrave; meglio anche no, mentre Raikkonen, silenziosamente rantolante da decenni, non fa altro che confermare simpaticamente se stesso, attendendo muto gli eventi.  Quanto alla Red Bull, meglio star di basso profilo perch&eacute; molto dipende dall&rsquo;evoluzione delle power unit Renault, Renault che non si sbilancia in quanto le sue future belle figure sono legate a cosa combiner&agrave; il team di Enstone, col nuovo telaio.  Force India ha un proprietario del quale il paese di provenienza non disdegnerebbe l&rsquo;arresto, quindi pi&ugrave; tace e meglio &egrave;, alla Williams l&rsquo;ex pensionato Massa e il deb Stroll attendono la prova della pista per vedere a quanto servono rispettivamente vecchiaia e giovinezza, mentre alla McLaren c&rsquo;&egrave; ben poco da dire, perch&eacute; se la Honda non si sveglia son cavoli ancora pi&ugrave; amari.&nbsp;  Alla Haas parlerebbero anche, ma in pratica non c&rsquo;&egrave; la fila per chiedergli come la pensano e cos&igrave;, fino a oggi, in questo che sembra un immenso torneo di tressette, proverbialmente il gioco degli zitti, l&rsquo;unico che di fatto ha preso la parola per benino, Carlito Sainz, la settimana scorsa ha confidato che un Gran Premio con Toro Rosso quest&rsquo;anno lo vincerebbe volentieri. Viva la sincerit&agrave;.  In poche parole, quest&rsquo;inverno si &egrave; discusso e sognato soprattutto di e su Antonio Giovinazzi, toh, il solo che era certo di non salire da subito su una F.1 e che invece, a forza di parlarne e complici i problemi dello sfortunato Wehrlein, sulla altrimenti non filata Sauber ci salir&agrave; eccome.  Cos&igrave; questa sembra diventata la F.1 di Gigi Marzullo, dove ormai tutti fanno le cose come piace a loro: sottovoce, mentre la notte sta finendo e un giorno si prepara a nascere.&nbsp;  E consola pensare che dalla prossime ore finalmente tutti saranno costretti a dire la loro.  Come nel Cinema, quando dal muto si pass&ograve; all&rsquo;avvento del sonoro.  Preparatevi, dunque.  La vera notizia &egrave; che la F.1 2017 - come Greta Garbo nel 1930 -, finalmente, parla.  Formula 1 2017, finalmente si alzano i veli  AUTOSPRINT N.8 IN EDICOLA, EDIZIONE DIGITALE 

Benvenuti nel mondiale 2017 che a parole, anzi, dai silenzi, nessuno sembra voler vincere. Sono ben lontani i tempi dei proclami fantasy di Coulthard e Barrichello

La Formula 1 dei muti sembra un tressette

        Si conclude la parentesi Williams per Pat Symonds. Contratto in scadenza al 31 dicembre, un triennale che lo vide rientrare nel 2014 in Formula 1 con pieni poteri, dopo la vicenda crash-gate Renault che si port&ograve; dietro una sospensione iniziale di 5 anni, poi ridotta in un accordo con la FIA. Dalla consulenza al team Virgin tra il 2009 e 2013, alla direzione tecnica di una Williams che, nel 2012, era tornata al successo, con Maldonado in Spagna, ma aveva trascorso un difficile 2013. Tra il 2014 e il 2016, 14 podi in totale per il team, che adesso &egrave; pronto a una nuova fase, con l'arrivo di Paddy Lowe dalla Mercedes. &laquo;Pat ha rappresentato un patrimonio incredibile per il team negli ultimi 3 anni. Il suo ingaggio ha rappresentato l'inizio di una pi&ugrave; ampia ristrutturazione ed &egrave; stato centrale nel modellare la Williams in quella che &egrave; una squadra molto pi&ugrave; forte oggi&raquo;, ha commentato Claire Williams. &laquo;Vorrei ringraziarlo per tutto il duro lavoro e impegno profuso in questo periodo, adesso ci proiettiamo verso il futuro e annunceremo a tempo debito i dettagli relativi alla guida tecnica della squadra&raquo;. Prima di approdare in Williams, una lunga carriera iniziata in Toleman, dove approd&ograve; nei primi anni Ottanta, seguendone la transizione prima verso Benetton e poi verso Renault.       

Il contratto del direttore tecnico scadr&agrave; il 31 dicembre prossimo, si attende adesso l'annuncio dell'ingaggio di Paddy Lowe

Williams, è ufficiale l'addio di Pat Symonds

Si chiama Festival of Speed e si tiene a inizio estate a Goodwood, in Inghilterra, nella stessa localit&agrave; dove sorgeva un vecchio e leggendario autodromo (quello in cui perse la vita in un incidente Bruce McLaren, fondatore della omonima squadra). &Egrave; la miglior interpretazione della passione degli inglesi per il motorsport: il Festival of Speed &egrave; una sorta di raduno-esibizione di tutti i mezzi da corsa degli ultimi cinquanta/sessant&rsquo;anni, dalle F1 ai Prototipi, alle auto da rally, comprese concept car, auto da collezione e cos&igrave; via.  Il Festival of Speed &egrave; nato per iniziativa di un appassionato nobile inglese, Lord March, che nella sua tenuta appunto a Goodwood radunava amici, collezionisti di auto e pilioti. Col tempo l&rsquo;evento &egrave; esploso ed &egrave; diventato il raduno pi&ugrave; importante del mondo e le marche automobilistiche - ma anche gli sponsor pi&ugrave; noti - partecipano in grande stile portando le proprie auto da corsa ed i propri personaggi pi&ugrave; famosi. Pensate che quest&rsquo;anno la Shell ha fatto esibire, per festeggiare i cinquant&rsquo;anni della partnership con la Ferrari, il campione del mondo 1964 John Surtees e la sua Ferrari 158 F1 assieme a Kimi Raikkonen con la Ferrari F2007 con cui vinse il titolo appunto nel 2007.    Il Festival of Speed &egrave; una specie di grosso happening dove avviene di tutto, basta che sia in chiave mororistica. E gli oltre centomila spettatori hanno di che lustrarsi gli occhi. Quest&rsquo;anno c&rsquo;erano Lewis Hamilton che si divertiva a fare i tondi con la Mercedes F1, Buemi che si esibiva con la Toyota Ts040 di Le Mans, Loeb che guidava la Peugeot Pike Peak, Jackie Stewart al volante della Tyrrell F1 con cui vinse il mondiale 1973, la Maserati con tutte le proprie auto stradali e da corsa, per festeggiare i 100 anni del marchio. E centinaia di altre auto e moto da corsa, prima fra tutti la MV Agusta con Giacomo Agostini in sella.  Nella tenuta del proprietario c&rsquo;&egrave; anche una stradina di 2 km che scala la collina e porta alla villa del padrone di casa. Durante il Festival of Speed quella strada diventa il nastro d&rsquo;asfalto di una gara in salita con regolare cronometraggio. Balle di paglia ai lati come ai vecchi tempi, pubblico a incitare i campioni e godersi il rombo dei motori, e la sfida &egrave; lanciata. Con ogni tipo di veicolo da corsa.  La corsa di quest&rsquo;anno l&rsquo;ha vinta Sebastien Loeb, con la Peugeot 208 Pikes Peak in 44&rdquo;60, che ha preceduto di oltre un secondo la Maserati MC12 guidata da Bartels, poi la McLaren F1 GTR coda lunga di Le Mans affidata all&rsquo;ex vincitore di Indy 500 Kenny Brack, quindi una Nissan GTR Nismo, una Jordan F1 del 1991, una McLaren M8F Can-Am del 1970, la March F1 a sei ruote (di cui 4 posteriori), un esperimento di met&agrave; Anni &lsquo;70 che non ebbe successo, e tante altre vecchie F1, vetture turismo e GT. Compresa la Toleman-Hart Tg184 ex Senna.    

Al Festival of Speed auto e campioni di tutti i generi si trovano e fanno show. Gustatevi questa gallery fotografica

Goodwood, la festa dei motori

di Cesare Maria Mannucci  Il 1983 &egrave; l&rsquo;anno dell&rsquo;incontro tra Senna e la F. 1. Ne prova quattro: la Williams-Ford, la McLaren-Ford, la Toleman-Hart e la Brabham-Bmw. Ognuno di questi test nasce per motivazioni e strategie diverse. Alla fine, la scelta di Senna per il 1984 sar&agrave; obbligata in favore della Toleman, per lui la meno attraente. Questo carosello di test sar&agrave; per&ograve; utile per capire che l&rsquo;ambiente della F. 1 &egrave; molto complicato e diverso da tutto quello che ha conosciuto sino ad ora.  Martedi 19 luglio, a Donington, Ayrton Senna prova per la prima volta una monoposto di F. 1. Si tratta della Williams FW 08C-Ford del 1982, anno in cui Rosberg l&rsquo;ha portata al titolo iridato. Il test avviene per pura curiosit&agrave; di Frank Williams, che vuole conoscere questo pilota che in Inghilterra, da tre anni, domina le formule minori. Mai per un attimo Frank Williams pensa di coinvolgere o di bloccare Senna con contratti e opzioni. Per il 1984 i suoi piloti saranno Rosberg e Laffitte, ci sono contratti da rispettare e per il futuro i piloti saranno concertati insieme alla Honda, che al momento ignora l&rsquo;esistenza di Senna. Frank Williams si comporta da vero signore. Senna gli chiede un test, Williams glielo offre, senza esigere nulla in cambio. A Donington, Senna percorre 83 giri. Dai primi passaggi si mostra sicuro, mai impegnato al limite. Con pi&ugrave; potenza a disposizione, &egrave; subito a suo agio. Quando rientra ai box, riferisce direttamente a Frank Williams. Le sue indicazioni sono precise, veritiere. Non c&rsquo;&egrave; ancora la telemetria, ma Ayrton, pur girando in tempi record, non ha problemi ad osservare la strumentazione, a controllare lo stato delle gomme posteriori guardando lo specchietto.  Ayrton stabilisce il record, poi subito migliorato da Warwick che gira con la Toleman. Qualche noia arriva con il fisico. Di struttura gracile, ha problemi con i muscoli del collo e delle braccia, un aspetto sul quale Ayrton in seguito lavorer&agrave; duramente sino ad acquisire una condizione atletica perfetta. Senna e Frank Williams si lasciano con una vaga promessa. Il costruttore inglese ha la certezza che sar&agrave; Bernie Ecclestone, allora proprietario della Brabham, ad assicurarsi i servigi di Senna per gli anni a venire.  Il 27 ottobre, come premio per aver vinto il campionato inglese di F. 3, Senna prova a Silverstone la McLaren MP4/C-Ford. Ron Dennis convoca anche Martin Brundle e Stefan Bellof, promessa tedesca della F. 2. Con Ayrton, Ron Dennis ha un atteggiamento diverso, sia rispetto a quello di Williams a Donington, ma anche rispetto a quando si sono incontrati a casa del brasiliano, un anno prima. Dopo un solo giro di pista lo richiama ai box, e davanti a tutti gli fa una ramanzina per essere andato subito troppo veloce, senza considerare che fa molto freddo e le gomme non sono ancora in temperatura. Ayrton riparte con pi&ugrave; prudenza, e dopo una progressione costante, sebbene il sedile mal fatto gli causi problemi alla gamba destra, realizza il tempo di 1&rsquo;14&rdquo;300, proprio quando il motore palesa problemi con una valvola. Senna &egrave; il pi&ugrave; veloce tra i tre, e a fine giornata Ron Dennis dichiara: &rdquo;I piloti si sono mostrati maturi, considerando l&rsquo;et&agrave; e l&rsquo;esperienza limitata. I tempi realizzati avrebbero permesso a tutti di essere al via del Gp d&rsquo;Inghilterra. Il crono di Ayrton Senna Da Silva &egrave; impressionante considerando le condizioni atmosferiche, ma rispetto a Brundle e Bellof aveva il vantaggio di aver gi&agrave; provato una monoposto di F. 1&rdquo;.  Quel giorno, a Silverstone, non c&rsquo;&egrave; solo il team McLaren, a bordo pista, in incognito, si trova Herbie Blash, direttore sportivo Brabham, che Ecclestone ha inviato per spiare il comportamento di Senna e degli altri. Blash prende i tempi con il suo cronometro, e quello stesso giro che la McLaren cronometra in 1&rsquo;14&rdquo;3 (quando il motore di Senna cede), per lui, posizionato alla chicane precedente i box, diventa 1&rsquo;13&rdquo;8, migliore di quello realizzato da Lauda con la stessa vettura al Gp d&rsquo;Inghilterra. Il tempo della Mclaren non &egrave; infatti veritiero, perch&eacute; Senna davanti ai box palesa gi&agrave; problemi al motore. Ron Dennis non si accorge che quel giorno Ayrton ha mostrato di essere a livello dei migliori in F1, e Blash si guarda bene dal dirglielo.  D&rsquo;altro canto, da quasi due anni, Alex Hawkridge, team manager Toleman, non d&agrave; tregua a Senna. Prima gli propone un contratto di management, poi gli prospetta la possibilit&agrave; di correre in F2. Ora torna alla carica offrendogli un test in F. 1 e la garanzia di firmare un contratto per correre nel 1984. La Toleman-Hart non &egrave; una vettura competitiva. Affidata a Warwick e a Giacomelli, nel 1983 naviga nelle retrovie, palesa una fragilit&agrave; di motore preoccupante, anche se le ultime gare hanno mostrato progressi apprezzabili. Dispone per&ograve; di uno staff tecnico di rilievo, caratterizzato da Rory Byrne e Pat Simmonds. Nei primi giorni di novembre, Senna torna a Silverstone al volante di una Toleman TG183 a motore Hart 4 cilindri. &Egrave; la prima volta di Ayrton al volante di una vettura sovralimentata. Percorre 72 giri, ottenendo il miglior tempo in 1&rsquo;11&rdquo;54. Da quando si &egrave; disputato il Gp d&rsquo;Inghilterra, la vettura ha fatto passi da gigante, quindi &egrave; irrilevante paragonare i tempi di Senna con quelli pi&ugrave; lenti di Warwick. Durante il test Toleman, Senna palesa grande professionalit&agrave;. La Toleman non &egrave; la sua prima scelta, ma quel giorno si comporta come se fosse il team migliore del mondo. D&agrave; e chiede tanto, ma &egrave; l&rsquo;attitudine che Ted Toleman e Hawkridge si aspettano da un pilota che dovrebbe farli uscire dalla mediocrit&agrave;. Senna per&ograve; prende tempo, non vuole firmare nessun contratto.  Fine prima parte - Continua

Tratta dal libro "Ayrton" pubblicato da Autosprint nel 2004, la storia di come il brasiliano approcci&ograve; la massima formula

Cos&igrave; Senna scopr&igrave; la Formula Uno (1&deg; parte)

Nelle corse e nella vita le belle storie non finiscono mai. Certo, il cantante Jim Morrison a una frase cos&igrave; avrebbe risposto con parole migliori. Le sue: a volte basta un attimo per cancellare una vita, altre volte non basta una vita per cancellare attimo. Ayrton Senna se n&rsquo;&egrave; andato al Tamburello, al 7&deg; giro del Gp di San Marino a Imola, il 1&deg; maggio 1994, ore 14 e 17, ma a tutti noi non sono stati sufficienti tre lustri n&eacute; quant&rsquo;altro per dimenticarlo. Perch&eacute; scoveremo sempre nell&rsquo;anima l&rsquo;inseguimento a Prost di Monaco 1984, l&rsquo;urlo di Ayrton disperatamente liberatorio a Interlagos 1991, la fuga per la vittoria di Donington 1993. Solo alcune tra mille schegge balenanti dell&rsquo;epopea d&rsquo;un campione che &egrave; anche l&rsquo;antologia preziosa della nostra storia d&rsquo;amore con le corse. Da qui l&rsquo;idea, la voglia di dire per una volta ancora, tanti anni dopo, che non &egrave; finita tra noi e lui e che emozionalmente non finir&agrave; mai. Insieme a quattro amici suoi e nostri, gente che lo ha capito, respirato come pochi altri e che ora vuole e pu&ograve; farcelo magicamente percepire accanto. Perch&eacute; quando si ama davvero, nulla finisce mai.  Stefano Modena ha 46 anni, 25 dei quali nelle corse. Ha vissuto Ayrton dall&rsquo;alfa all&rsquo;omega, dal kart alla F. 1. "La prima volta nel &rsquo;76, in un mondiale karting all&rsquo;Estoril, poi a Jesolo, io 1&deg; lui 2&deg;. S&igrave;, abbiamo litigato. In una gara lo spintono per innervosirlo, ma lui vince. Alla bilancia mi fa: &ldquo;sei un bastardo, uno stronzo&rdquo;. E io da ignorante: &ldquo;Sbagli&rdquo;. Sai una cosa? Lo rifarei. Perch&eacute; c&rsquo;era invidia che fosse cos&igrave; veloce. Poi &rsquo;sta cosa &egrave; sparita. Batterlo mi ha guarito. &Egrave; la vita a essere cos&igrave;&raquo;.    MAI IRIDATO IN KART  Vita crudele, per Senna in kart. Mai iridato, re senza corona, come Stirling Moss in F. 1. Perch&eacute;? Circostanze inspiegabili - fa Modena -. Nel &rsquo;79 in Portogallo poteva vincere, ma non and&ograve; cos&igrave;, l&rsquo;anno dopo a Nivelles fu 2&deg;. Gli seccava, s&igrave;. Per lui il 2&deg; era il pi&ugrave; beffato dei perdenti. Senna kartista, con la tuta monopezzo in pelle. "Era poco approcciabile e, se lo era, lo era solo nel suo entourage. Tipo molto riservato. E sai perch&eacute;? Quando corri parli e meglio &egrave;. Primo, perch&eacute; potresti essere mal interpretato, secondo, perch&eacute; potresti farti sfuggire suggerimenti che ti rendono vulnerabile. Infatti diventammo amici solo quando lui pass&ograve; alle auto e io entrai alla DAP, la sua squadra in kart. Tornava spesso per fare test. Mi fratturai una gamba, venni in pista con le stampelle, lui mi vide e mi rest&ograve; vicino. Persi l&rsquo;equilibrio, stavo per cadere e Ayrton con uno slancio inaspettato mi aiut&ograve;. L&ldquo; siamo diventati amici davvero. Poi facevamo anche footing insieme, era un maniaco di fitness, mi massacrava&raquo;.  Intanto il brasiliano sfonda con le auto. Prima in F. Ford, poi in F. 3 britannica, dove il rivale nel 1983 &egrave; Martin Brundle. Sentiamolo: &laquo;La verit&agrave; &egrave; che il 1983 lanci&ograve; la mia carriera pi&ugrave; che la sua. perch&eacute; lui grande era gi&agrave;. Uno straordinario talento naturale. C&rsquo;&egrave; una storia che lo fotografa in modo quasi inquietante. Siamo a Silverstone F. 3, gara bagnata. Prima fila, io e lui. Parto bene, sono primo. Arriviamo alla Stowe. Vado in traiettoria-scudo, mi difendo, resto all&rsquo;interno, mentre lui va tutto non sarebbe logico buttarsi, perch&eacute; c&rsquo;&egrave; sporco. Resto piantato, perch&eacute; all&rsquo;interno la pista &egrave; in realt&agrave; pi&ugrave; scivolosa, cos&igrave; lui mi passa all&rsquo;esterno e se va. Ma piove sempre pi&ugrave; e danno bandiera rossa. Okay, capita la lezione, non mi freghi pi&ugrave;, Ayrton. riparte, risono in e arriviamo alla Stavolta decido di stare all&rsquo;esterno, ma mi pianto in una mega-di strada. Lui ha gi&agrave; scelto l&rsquo;interno, mi sfila di nuovo e se ne va. Niente da fare: vince. Sul podio non ho pace e gli chiedo perch&eacute; mai alla Stowe mi ha di nuovo fregato: &ldquo;Ayrton, come potevi sapere che la seconda volta era meglio andare dov&rsquo;era peggio la prima?! &rdquo;. &ldquo;Istinto - mi rispose -. Il grip ideale si era invertito. Istinto&rdquo; - ripet&egrave; sorridendo. Capii che non l&rsquo;avrei mai pi&ugrave; battuto, uno cos&igrave;&raquo;.   DEB IN F. 1 SU TOLEMAN   Gara di F. 3 di contorno al Gp inglese 1983. Puntuale battaglia con Brundle, solita vittoria. Dopo la premiazione Senna picchetta la spalla di un omone riccio e biondo che di solito gira i paddock con una specie di mitragliatrice stile Django, pronto a giurare che sia l&rsquo;obbiettivo di una macchina fotografica. Il suo nome &egrave; Angelo Orsi. A presentarli &egrave; Andrea Ficarelli. Ayrton &egrave; gentile ma spiccio: &laquo;Ci sono decine di giornali, radio e reti tv brasiliane vorrebbero seguirmi sulle piste, ma non hanno mezzi per farlo. Io l&rsquo;anno prossimo sar&ograve; in F. 1 e se tu mi garantisci un&rsquo;adeguata copertura fotografica in modo che possa rifornire tutti, per me sarebbe l&rsquo;ideale&raquo;. Un sorriso, una stretta mano e inizia un&rsquo;amicizia profonda. Un rapporto del quale Angelo fino a oggi non ha mai voluto parlare, quasi lo custodisse in uno scrigno segreto. Ma un vero Cuore da Corsa prima o poi si apre. &laquo;L&rsquo;anno dopo Ayrton in F. 1 ci arriv&ograve; con la Toleman. Ogni gioved&igrave; pre-Gp facevo un giro di pista a piedi, a rovescio, per carpire le posizioni pi&ugrave; belle e furbe per scattare foto e Senna prese l&rsquo;abitudine di venire con me. Studiava ogni centimetro, lo sezionava. A Montecarlo facemmo quattro giri a piedi, forse pi&ugrave;. Alla fine, al Loews, divenne serio e disse: &ldquo;Angelo, io domani faccio il miglior tempo&rdquo;. Libere iniziate da mezzora. L&rsquo;altoparlante gracchia, lo speaker si schiarisce la voce, quasi per dire qualcosa d&rsquo;inatteso, ma io so gi&agrave; cosa: &ldquo;Miglior tempo, Senna su Toleman!&rdquo;. Palpava l&rsquo;asfalto, sentiva la consistenza di ogni via di fuga. In Australia, nel 1985 con la Lotus, tampon&ograve; Rosberg, ma riusc&igrave; a uscire dalla sabbia dell&rsquo;ultima curva. &ldquo;Visto? - mi disse a fine gara - avevo notato mentre passeggiavamo che la sabbia era cos&igrave; consistente da non impantanarmi, cos&igrave; ho sfruttato la cosa&raquo;.  Aveva qualcosa pi&ugrave; degli altri. E non solo in pista. Fu il primo ad assumere una &ldquo;pierre&rdquo;, Betise, futura moglie di Patrick Head, che gli organizzava i rapporti con la stampa. Ayrton non voleva filtri, ma solo pianificazioni. A fine gara faceva conferenze stampa in inglese, italiano e portoghese e a tutti dava repliche meditate e vere. E se una domanda era complessa, rispondeva: &ldquo;Un momento, questa alla fine&rdquo;. Arrivava al termine del discorso, tutti se ne stavano per andare, ma lui li fermava, dava la risposta mancante e di solito era la battuta del giorno&raquo;.&nbsp;  ECCO QUANTO VALE L&rsquo;UOMO  Personaggio, talento mediatico, telescopico poliglotta, okay. Ma chi era Ayrton nel privato? Angelo deglutisce prima di rispondere: &laquo;Un uomo che per le corse aveva sacrificato la famiglia e che tendeva a ricostruire nuclei che gli potessero dare lo stesso calore, delle triadi affettuose. Il telecronista brasiliano Galvao Bueno era il Pappagallo, io il Tucano - per il naso -, lui Dumbo, per le orecchie. Oppure c&rsquo;erano i Tre Porcellini, ossia lui, gi&agrave; in F. 1, io e Mauricio Gugelmin con cui divideva un loft in Inghilterra. Via dai circuiti Ayrton non era una star inavvicinabile, ma uno studente fuori sede che cercava il calore di una famiglia. Mi veniva a trovare a Bologna e stavamo sere intere davanti alla Tv con le videocassette di vecchie corse, o si usciva con Carlo Cavicchi a vedere il basket al PalAzzarita. Una sera, febbraio &lsquo;89, si giocava Virtus-Caserta e nell&rsquo;intervallo volle conoscere Oscar Schmidt, suo connazionale. Altre volte lo andavo a prendere all&rsquo;Hotel Castello di Imola per andare a osterie e poi passeggiare in Piazza Maggiore&raquo;.   Fine 1987. Ayrton, 27enne, lascia la Lotus per la McLaren. Ha l&rsquo;iride nel destino. L&rsquo;anno dopo. In Australia quello stesso destino lo fa reincontrare con Stefano Modena, 24enne deb F1 su Brabham. Insieme, come ai vecchi tempi del kart. &laquo;In albergo mi cerc&ograve; lui. Era rimasto l&rsquo;Ayrton di Parma e Jesolo, il ragazzo di sempre. &ldquo;&egrave; dura, vero Stefano? &rdquo; - mi disse, poi m&rsquo;abbracci&ograve;. Un pilota lo pesi in pista, ma giudichi da cose come queste quanto vale l&rsquo;uomo&raquo;.   &laquo;Valeva tanto - gli fa eco Angelo Orsi - perch&eacute; sapeva valutare le cose che contano e gli stessi avversari con onest&agrave; intellettuale&raquo;. &laquo;Parliamo della rivalit&agrave; con Prost&nbsp; - ammicca Modena -. Gli rosicava eccome, ma la sua analisi era chirurgica: Prost pilota lo stimava. Era il Prost uomo, quello che muoveva i capi del team come pedine una volta uscito di macchina, che non sopportava. Il Prost con amicizie potentissime, tipo quella con l&rsquo;allora presidente della FIA, Balestre&raquo;. Spietato, ma mai sbracato&raquo; &nbsp;chiarisce Orsi: &laquo;Quando nel &rsquo;92 Piquet si maciull&ograve; le gambe a Indy, Ayrton, che provava a Imola, chiam&ograve; Ascanelli per farsi accompagnare in chiesa, a pregare per Nelson. E guarda che lui contro Senna aveva detto per anni di tutto e di pi&ugrave;&raquo;. &nbsp;&Egrave; vero che Senna non chiamava mai Prost per nome, quando in privato parlava di lui? Angelo sorride sotto i baffi, si vede che &egrave; una vita che ha voglia di dirlo: &laquo;Lo definiva &ldquo;il Francese&rdquo;. E lo diceva con un tono che sembrava il frusc&igrave;o di un rasoio nell&rsquo;aria&raquo;.   IL RICORDO DI RAMIREZ  Alla McLaren forse il solo neutrale alla rivalit&agrave; Senna-Prost fu il messicano Jo Ramirez, team coordinator e monumento della F. 1 che fu. Un Cuore da Corsa pi&ugrave; che mai, Jo: &laquo;Senna era un vincente. Sarebbe stato architetto di grido, chirurgo di fama, stella del cinema, ma mai un perdente. E mai in Brasile. Un anno in gara a Interlagos torn&ograve; ai box, con una disastrosa accelerata. Scese e se ne and&ograve;. Ritirato. Una selva di microfoni spunt&ograve; sotto di me: &ldquo;Cos&rsquo;&egrave; successo ad Ayrton? &rdquo;. &ldquo;Non lo so, la macchina andava bene&rdquo;- risposi. Intanto Senna era gi&agrave; via dal circuito e alla radio sentiva in diretta le mie parole. Mi telefon&ograve; poco dopo, inferocito: &ldquo;Jo, come ti sei permesso di dire quelle cose?! &rdquo;. &ldquo;Okay - gli replicai -, non m&rsquo;hai detto nulla, quindi non ti puoi lamentare&rdquo;. Ci pens&ograve; su, poi rise. Fin&igrave; l&igrave;. Il suo motore non prendeva i giri e Ayrton non voleva arrivare al traguardo sconfitto, a casa sua. Questo era Senna. Di corse ne ho viste tante, ma lui fu il primo a spingere cos&igrave; sull&rsquo;identit&agrave; nazionale, facendo i giri d&rsquo;onore con la bandiera brasiliana&raquo;. Il suo errore pi&ugrave; clamoroso fu l&rsquo;uscita alla curva del Portier, a Montecarlo &rsquo;88 - tracciato su cui di 10 corse ne ha fatte sue 6 -, buttando via una gara gi&agrave; vinta: &laquo;Un calo di concentrazione - chiosa Orsi -. Ci vedemmo la sera, era inviperito. Disse, semplicemente: &ldquo;Okay, non succeder&agrave; mai pi&ugrave;&rdquo;. E cos&igrave; fu&raquo;.   RETROSCENA A SUZUKA  Angelo ha vissuto dietro le quinte Suzuka 1989 e 1990, i duelli da Ok Corral tra Senna e Prost: &laquo;Nel 1989 era furibondo per la collisione alla chicane. Gliela giur&ograve;. L&rsquo;anno dopo lo butt&ograve; fuori alla prima curva. Ayrton era in pole, ma il&nbsp;polena&nbsp;era stabilito partiva dal lato sinistro, la parte sporca. Lui non voleva e fece il diavolo a quattro per farsi spostare, ma non gli dettero ascolto. Okay, partono e io sono l&igrave; alla prima curva che li aspetto: Prost lo frega sullo scatto, logico. Bene. Bang! Ayrton lo caccia fuori ed &egrave; iridato per la seconda volta. La sera ci vediamo e mi fa: &ldquo;Il Francese sapeva che se partiva meglio di me alla prima curva io gli andavo dentro. Ha sbagliato lui, lui solo, perch&eacute; mi ha messo in condizione di rendergli quello che era sacrosanto gli restituissi&rdquo;&raquo;. &laquo;Momento - fa Modena - la peggior umiliazione Senna l&rsquo;ha inflitta a Prost a Donington 1993, quando tutti e due erano tricampeao. Sverniciandolo sotto il diluvio, con una McLaren inferiore alla Williams. E occhio, nell&rsquo;immaginario collettivo quel trionfo conta pi&ugrave; del quarto titolo vinto da Prost&raquo;.   Continua il tema Ramirez: &laquo;Adelaide 1993, l&rsquo;addio di Senna alla McLaren. In griglia lo saluto, &egrave; la fine di una grande parentesi di vita. E da puro neo-latino gli dico: &ldquo;siamo a pari successi con la Ferrari, Ayrton: se vinci questa, ti amer&ograve; per sempre&rdquo;. Gli vennero gli occhi lucidi, a un minuto dal via. Pensai: &ldquo;Jo, che hai fatto?! Mai rendere emotivo un pilota prima della partenza. Che cavolata... &rdquo;. Ma Ayrton vinse. Imprendibile, spietato. La sera andammo al concertone di Tina Turner. Lei lo chiam&ograve; sul palco e col pubblico in visibilio gli dedic&ograve; il pezzo &ldquo;Simply the Best&rdquo;. perch&eacute; lui questo era. E i record di Ayrton che Schumi ha poi battuto sono cifre bugiarde, perch&eacute; i numeri mentono, a volte. Con Ayrton vivo non sarebbe successo&raquo;.   Brundle rincara la dose: &laquo;Prost non mi &egrave; mai piaciuto, ho corso con Senna in F. 3 e in F. 1, di Schumi sono stato compagno di squadra in Benetton. E penso che Michael stia dietro a Senna e di molto. Ayrton era campione nato, un emozionale, Michael un puro calcolatore&raquo;. Imola 1994. Senna &egrave; a quota zero con la Williams, Schumi su Benetton in orbita nel mondiale. Il via, la fuga, lo schianto. La fine. La fine? &laquo;Il crash lo ebbe davanti a me - racconta Orsi -, il resto &egrave; noto. Ma nessuno sa che alla postazione 2 di Imola (ingresso Tamburello, ndr) Ayrton aveva lasciato una bandiera austriaca che avrebbe sventolato da vincitore in onore di Ratzenberger, morto il giorno prima. Meno noto che dopo l&rsquo;incidente di Roland, Ayrton era andato a ispezionare la Tosa, beccandosi una reprimenda dalla Fia che l&rsquo;aveva fatto imbufalire&raquo;.   S&igrave;, il resto &egrave; cronaca. Umana, sportiva, processuale, fate voi. Racconta Ramirez: &laquo;Gli avevo noleggiato un elicottero, perch&eacute; dopo il Gp sarebbe volato in Portogallo dalla compagna Adriane Galisteu. Domenica gli consegnai un biglietto col nome dell&rsquo;elicotterista, lui mi guard&ograve; grato e mi strinse la mano forte forte. Era un addio&raquo;, - sfuma Ramirez. &laquo;Dopo il crash sfrecciando al Tamburello si percepiva nella via di fuga il rosso della pozza di sangue che aveva lasciato Ayrton. Fu terribile&raquo; - racconta Brundle. &laquo;Di lui mi manca tanto, tutto - dice Angelo Orsi -, ma c&rsquo;&egrave; una cosa che rende questa storia ancor pi&ugrave; dolorosamente spezzata. A inizio &rsquo;94 Ayrton mi aveva detto: &ldquo;la prossima volta che vinco sali in macchina con me e facciamo il giro d&rsquo;onore, cos&igrave; scatti foto alla gente che mi fa festa. Nessuno ha mai fatto una cosa del genere e voglio vedere l&rsquo;effetto che fa&rdquo;. Ora questa &egrave; la metafora di tutto ci&ograve; che di lui avrebbe potuto essere e purtroppo non &egrave; stato&raquo; -, chiude Angelo. Un giro di rallentamento aggrappati a lui. Con l&rsquo;eco di un trionfo mai spento. Per affetto, senso della memoria condivisa, per una passione che brucia ancora. In fondo &egrave; quello che abbiamo appena fatto, qui ed ora. Per contemplare, come se quelle immagini esistessero davvero, un che di incancellabile.  Mario Donnini  &nbsp;  &nbsp;

Incancellabile Ayrton

Cosa ne pensate del film &ldquo;Senna&rdquo; che Italia Uno ha trasmesso lunedi 28 aprile in prima serata? Il bellissimo documentario del regista indiano Asif Kapadia traccia la storia di Ayrton Senna dalle origini, quando correva in karting (con una squadra italiana, la Dap) fino ai suoi anni di Formula Uno.  Si tratta, come avrete visto, di un documentario che usa moltissime sceme di gara ufficiali fornite dalla tv di Ecclestone, ma anche di lunghi spezzoni di interviste in cui Senna si racconta. Interviste raccolte qua e l&agrave; dalle trasmissioni di Rete Globo (la tv nazionale brasiliana) e commenti della tv americana Espn. Ci sono anche lunghi brani tratti dalle conferenze stampa ufficiali in cui Senna dava le proprie impressioni su alcuni argomenti scottanti del momento.  Il film sorvola in fretta gli anni della Toleman e della Lotus e si sofferma invece a lungo sul dualismo fra Ayrton e Alain Prost, raccontando attraverso inedite immagini tv dei briefing dei piloti il contrasto esistente fra le posizioni di Senna e quelle di Prost e del presidente Fia Jean Marie Balestre che lo combattevano politicamente. La tragedia di Imola &egrave; ben raccontata, fin dalle ansie della vigilia, con gli incidenti di Barrichello e Raztenberger, e le preoccupazioni di Ayrton.  Se vogliamo trovare un difetto al film, &egrave; che &egrave; raccontato da una prospettiva troppo anglosassone, perci&ograve; un po&rsquo; &ldquo;fredda&rdquo;. Il film, di produzione inglese, fa ricorso esclusivamente a interviste rilasciate da Senna alla tv brasiliana o a quelle anglosassoni. Si coglie la presupponenza della cultura inglese di ritenere degno di nota solo quello che accade nella loro sfera. Manca l&rsquo;Ayrton Senna &ldquo;italiano&rdquo;, quello che i giornalisti italiani conoscevano bene perch&eacute; Senna si esprimeva meglio nella nostra lingua; forse per affinit&agrave; di sentimenti, con noi italiani si lasciava andare di pi&ugrave; alle proprie emozioni: dal rapporto mai concretizzato con la Ferrari, ai suoi sentimenti verso l&rsquo;amicizia e al rapporto con la fede cristiana.  Manca insomma quel lato pi&ugrave; &ldquo;intimista&rdquo; di Senna che con noi italiani veniva fuori e con gli inglesi no. Avendo il regista scelto solo materiale video di provenienza brasiliana e inglese, non esistono eprci&ograve; alcune scene chiave importanti per comprendere la personalit&agrave; di Senna e i tormenti che stava vivendo: ad esempio tutta la scena della finta pace Senna-Prost, con tanto di stretta di mano maturata in conferenza stampa al Gp di Monza 1990 e le dichiarazioni un po&rsquo; ipocrite dei due; manca perch&eacute; il dialogo (che paralizz&ograve; all&rsquo;epoca la sala stampa) avvenne tutto in italiano e come abbiamo detto il regista ha usato solo filmati in altre lingue.  Per lo stesso motivo manca anche - grave assenza perch&eacute; importante ai fini dei sentimenti reciproci e per cpaire i veri rapporti tra i due - lo spezzone di affettuoso saluto in griglia di partenza fra il campione brasiliano e Prost, ormai ritirato dai Gp, a Imola &lsquo;94 pochi minuti prima del fatale incidente. Fu un dialogo radio fra i due, fra Ayrton seduto in macchina in griglia di partenza e Prost dalla cabina di commento tv dove era commentatore per la tv francese TF1. Con quella emozionante frase &ldquo;Alain, mi manchi&rdquo; pronunciata da Senna ai microfoni della tv francese. Un dialogo esclusivo e chiarificatore chiss&agrave; perch&eacute; dimenticato dal regista.  Ma a parte queste mancanze, il film &ldquo;Senna&rdquo; di 106 minuti, &egrave; uno spaccato eccellente della vita agonistica di Ayrton, con bellissime immagini, alcune davvero inedite, che a distanza di 20 anni dalla tragedia &egrave; in grado di emozionare fortemente i telespettatori che hanno vissuto quei giorni. Ed &egrave; in grado di chiarire ai pi&ugrave; giovani, che Senna non l&rsquo;hanno mai visto correre, perch&eacute; il brasiliano sia entrato nella leggenda del motorsport.

La nostra opinione sul film trasmesso lunedi 28 sera da Italia Uno. Scriveteci qui anche voi cosa ne pensate

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