I racconti della passione: I misteri della Riviera

I racconti della passione: I misteri della Riviera

Il team Brianzolo rappresenta una delle pagine più incuriosenti e ricche di punti oscuri della Formula 1 iridata. Atteso al debutto nel mondiale del 1980 con Alberto Colombo, produce una monoposto che esiste solo in rarissime foto. Poi la squadra si sfalda come colpita da un raggio alieno. Scopriamo da chi e perchè. 

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30.03.2020 17:28

Il dramma sportivo di Alberto Colombo 

Alberto Colombo, classe 1946, adesso si riposa, ma quarant’anni fa era un pilota di F.2 validissimo, esperto e meritevole di chance in F.1. Nel 1978 il brutto carattere di Schmidt all’ATS e i pochi mezzi di Merzario a Monza gli avevano lasciato addosso la voglia di dimostrare il suo valore e... ma no, sentiamo lui, che è pronto a rivelare tutta la verità e nient’altro che la verità: «La Riviera per me è un sogno che diventa realtà. Nel 1980 ho 34 anni ed è la chance che aspetto da una vita. E’ una squadra solida, razionale e cucita attorno a me, come un abito su misura da gente appassionata, onesta e valida. Tutto nasce mettendo in moto nel 1979 dei miei finanziatori brianzoli che mi stanno supportando in F.2 col team Sanremo Racing. Unendo le forze, c’è la possibilità di salire in F.1 e creare una squadra tutta italiana, piccola ma capace di ben difendersi».

- Andiamo nel concreto. Il tuo sponsor buono in F.2 è Le Coq Sportif.  «Esatto. E dietro le Coq Sportif, marchio d’articoli sportivi di successo, c’è la società distributrice Riviera, il cui uomo pubblico di spicco è il capitano della grande Inter, Giacinto Facchetti, oltre ad altri nomi molto validi dell’imprenditoria lombarda. Si tratta di procedere per gradi - racconta il Capellone di Varedo -, prima acquistando materiale preesistente per avere una base e, quindi, passando alla realizzazione di una F.1 nuova di pacca. Ed è proprio così che si procede, rilevando gran parte del materiale Kauhsen e quindi ordinando la costruzione di una scocca alla britannica Thompson, la stessa che aveva realizzato la monoscocca Ferrari nel 1973».

- Ci credi molto, vero? «Posso e devo crederci, perché si va avanti rispettando tempi e scadenze. Senti, ti racconto una cosa entusiasmante, che non tutti sanno, perché quello era un mondo in cui le notizie si diffondevano meno che in questo. Morale della favola, il team Riviera di F.1 viene presentato con una cena da favola a Milano, in uno dei ristoranti più chic di San Babila. Accanto a me, a tavola, ho il grande Giacinto Facchetti, eccitatissimo dall’idea di debuttare in F.1 dopo aver fatto parte della grande Inter e dall’altra parte c’è il mitico tennista Arthur Ashe, icona Usa e impegnatissimo nella causa dei neri d’America, oltre che vice presidente del marketing internazionale di Le Coq Sportif, per l’occasione accompagnato dalla meravigliosa moglie, una donna d’una classe e di una bellezza paralizzanti. Lì capisco che ho svoltato: sono entrato in un giro e in un’iniziativa immensa, ben supportata e che non può fallire. Il giorno dopo i giornali ne parlano poco, ma io so che ho in mano tutte le carte giuste per vivere una grande avventura, in F.1, nel 1980».

- Stai mettendo la fregola solo ad ascoltarti. Continua! E poi? E poi?! «Tutto questo fino a che, a fine 1979 parto dell’italia per disputare la Temporada argentina di F.2 . Ma quando torno trovo le cose improvvisamente cambiate, a proposito della Riviera».

- Spiegati meglio, Alberto. «Siamo a inizio 1980. La scocca è arrivata dall’Inghilterra, la monoposto è stata montata, ma pare che l’ingegner Valentini sia un po’ deluso del risultato, perché la vettura pesa 20 chili più del dovuto. Lui lo dice agli investitori, che prendono non bene la cosa, si disorientano, ecco».

- Al punto che, mentre hanno l’acqua alle caviglie, prendono freddo, tornano indietro e decidono di non fare il bagno nelle paludi per certi versi limacciose della F.1 iridata, giusto? «Un momento, andiamo con ordine. Una sera mi invita nella sua meravigliosa villa Paolo Barzaghi, prestigioso industriale tessile di Giussano, che è il punto di riferimento e il capocordata dell’iniziativa. Io so che c’è qualche problemino, ma nulla di non risolvibile. Ceniamo insieme e poi lui mi conduce in una sala sontuosa, con in mezzo un biliardo dotato di un meraviglioso telo color nocciola. Cominciamo a giocare e lui parla, parla, mi spiega della F.1, fa dei ragionamenti prendendola alla larga e, infine, arriva al punto: la Riviera non correrà, si ritira. Addio. Mi cade la stecca».

- Sì, ma, Alberto, in sintesi, perché? «Gli investitori rimangono male, perché a mio avviso, quei venti chili di sovrappeso sono una mazzata nel morale della cordata, che comunque aveva già speso 600 milioni di lire veri. Così tutto viene smembrato e il tecnico Gianfranco Bielli viene incaricato di vendere a pezzi ciò che resta della Riviera di F.1».

- Okay ma... «Ma per me finisce lì. Ci resto male, sai. La mia carriera in F.1 finisce per sempre, un po’ da incompiuto. Per me è un sogno infranto, ancora oggi. Dopo quarant’anni, solo parlarne mi dà una sensazione ambivalente, perché da una parte è bello riscoprire quei momenti d’esaltazione, dall’altra sento ancora l’amarezza per il finale così triste, improvviso e decisamente tronco, forse non spiegato né mai compreso a sufficienza. Secondo me quei venti chili si potevano togliere e tutto poteva essere rimesso sui binari, invece... Comunque senti, so che vuoi saperne di più e allora parla con il farmacista Cesare Guidi, che in questa storia è un uomo chiave e sa tante cose. Inoltre sappi che poco tempo fa a una sua festa di compleanno Barzaghi gli ha regalato i faldoni che contengono tutti i disegni della Riviera di F.1. E’ una storia tuttora oscura, in cui diverse persone devono dire ancora la loro. So solo che stavamo per provare su un circuito italiano a fine inverno, tipo Varano, Mugello o Misano, per poi portare la Riviera in Spagna e iniziare lo sviluppo, ma, sul più bello, è finito tutto. Per quanto mi riguarda, posso dire solo una parola: peccato».


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