La promessa di Hamilton: 'Non sono ancora al limite, posso fare meglio'

La promessa di Hamilton: 'Non sono ancora al limite, posso fare meglio'© Getty Images

Lewis dopo la vittoria del titolo parla del futuro, di come il 2020 sia stata una sfida unica, dell'impegno sui diritti umani e di come si senta ancora in grado di esprimere qualcosa in più di quanto già fatto

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Fabiano Polimeni

17.11.2020 ( Aggiornata il 17.11.2020 13:08 )

“Adesso voglio godermela, inizierò il prossimo anno a pensare dove potrò migliorare, cos’altro vorrò fare. Quel che posso dire è che voglio restare qui e non sento di aver ancora centrato il limite. Parole di Lewis Hamilton, a caldo dopo aver vinto il settimo titolo mondiale, essere entrato ancor più nella storia della Formula 1.

Si ragiona del futuro, di cosa farà, quando firmerà con Mercedes il rinnovo di contratto, quanto a lungo, corollario a una voglia che rappresenta chiara, di miglioramento continuo e, soprattutto, di una causa abbracciata quest’anno e che ha caricato ulteriormente di importanza, al di là degli aspetti sportivi, la corsa al titolo.

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Più di un mondiale in gioco

I detrattori diranno “facile, con quell’astronave lì, dominare”. C’è altro del personaggio Lewis Hamilton emerso negli ultimi anni, una sorta di Hamilton della maturità, che si spende per cause sociali dove potrebbe tranquillamente scegliere il politically correct di non indispettire nessuna parte dell’opinione pubblica. Schierarsi, alla fine, perché?

“È sicuramente un titolo diverso, per gran parte del tempo si è trattato di un dimostrare a te stesso, una specie di passione che ti prepari alla vittoria del campionato, un po’ come un uomo con un compito: lungo la via hai persone che ti aiutano, quest’anno è stato molto diverso, a lottare per qualcosa di molto molto più grande di un mondiale.

Sì, è grandioso, fantastico questo trofeo, ma quel che davvero conta, quel che dobbiamo fare e non abbiamo ancora fatto, è il bisogno di ritrovarsi, spingere per il cambiamento; ci serve la qualità, più diversità all’interno dell’industria, che ci sia maggiore rappresentanza, è importante il messaggio.

Quando parliamo di varietà non vuol dire scambiare le persone, vuol dire rendere più rappresentativo del mondo esterno, le opportunità per i giovani delle minoranze che non hanno le stesse opportunità di un giovane ragazzo bianco, forse. Non è una colpa del giovane bianco, è la nostra società e dobbiamo lavorare insieme per creare pari opportunità, qualsiasi ragazzo deve poter avere uguali opportunità, uguale istruzione, non dovrebbe essere legato al colore della pelle, alla religione, a dove vivi”, racconta in una lunga intervista al giornalista Lawrence Barretto.

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E puntualizza come sposare la causa del movimento Black Lives Matter, il più ampio esporsi per le pari opportunità delle minoranze, “non è una visione politica ma di diritti umani. Abbiamo questo spazio, perché sprecarlo?”.

Miglioramento senza fine

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Dopo il trionfo in Turchia si è concesso un momento di relax, immancabilmente documentato su Instragram. Cose semplici con ancora un campionato da portare a termine e poi prepararsi al 2021, rigenerato e con una promessa: “Sì, onestamente sento che quella di oggi (domenica; ndr) sia stata una delle mie migliori guide e sento di poter fare meglio: probabilmente non è quello che le persone vogliono sentire.

Ci saranno asperità ad attendermi ma va bene, resterò umile come sono, fa parte del processo di crescita e accolgo le difficoltà, tuttavia sono più consapevole di come affrontarle e superarle in fretta imparando”.

Che pressione nel 2006!

Dalla Turchia del 2006, in GP2, alla Turchia 2020 del settimo titolo mondiale, Lewis ricorda la gara forse in assoluto più spettacolare che abbia corso, conclusa al secondo posto dopo un recupero epocale dal fondo del gruppo, finitoci per un errore di guida. “Quando penso al 2006, la gente forse non lo sa ma ricordo che l’anno prima verso la fine dell’anno dovevo andare in cerca di soldi degli sponsor per correre le ultime due gare della stagione e fu davvero davvero un momento difficile della mia carriera, perché volevo passare in GP2 prima, avevo fretta, chiamavo ogni giorno, eroall’inseguimento.

Sapevo che era una pista di F1 e che i capi avrebbero guardato, il più importante soprattutto per me: Ron guardava.

La pressione che avevo su me stesso, in gran parte dei campionati che avevo corso - avevo fatto 2 anni in Formula Renault, due in Formula 3, due in GP2 - un anno era per imparare e uno per vincere e se non vincevi al secondo anno non eri buono abbastanza. È sempre stato questo il pensiero quell’anno nella mia testa: se vinco questa al primo anno mi daranno la chance di correre in Formula 1 il prossimo anno. Ho caricato una pressione enorme su me stesso”.


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