L'album dei ricordi: Monaco 2012, l'ultima "pole" di Schumacher

L'album dei ricordi: Monaco 2012, l'ultima "pole" di Schumacher

Il 26 maggio 2012, a 43 anni, Michael Schumacher scriveva un'impresa: una penalizzazione gli impedì di partire in pole, ma qui ed ora, a bordo con lui, riviviamo quel magico giro di dieci anni fa che tanti significati porta con sé

26.05.2022 15:06

Se la prima volta è sempre emozione, l'ultima è pura nostalgia. La differenza, oltre alle sensazioni, è che quasi mai per l'ultima sai che sarà l'ultima. Al massimo puoi avvertirlo, captarlo o semplicemente immaginarlo. Può succedere per qualunque cosa, dalla più banale alla più importante. Tipo una pole position in Formula 1: dopo averne fatte un'infinità, non puoi mai sapere quale sarà l'ultima. Ecco, Michael Schumacher non lo sapeva. Al massimo poteva solo immaginarlo. Ma lui, quella volta, che poi sarebbe diventata ultima volta, pensò soprattutto a godersela.

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Un viaggio nel tempo

Il 26 maggio 2012 è un appuntamento con la storia. E' una data un po' particolare, di transizione tra primavere ed estate, in alcuni anni più soleggiata che in altri. Ma quasi sempre, quella data, è a ridosso del Gran Premio di Montecarlo, giorno più o giorno meno. E se capita di sabato, come quell'anno, c'è ragione di credere che tu stia per assistere alla qualifica più sentita dell'anno, quella di Monaco, appunto. Quella dove dicono che se ti metti davanti, hai buone probabilità di restarci anche il giorno dopo, ammesso e non concesso tu azzecchi la partenza. Michael Schumacher, vestito d'argento, all'età di 43 anni sapeva che il giorno dopo davanti a tutti non ci sarebbe partito comunque in virtù di una penalizzazione di cinque posizioni rimediata alla gara precedente. Ma siccome a Monaco ogni posizione è importante, tanto valeva provarci lo stesso, anche solo per scattare il più avanti possibile in griglia. Ecco, qua la storia si tinge d'argento, anche se in tanti avrebbero preferito di rosso, dalle Alpi in giù. Ma soprattutto la storia si trasfigura in mito. E bastano meno di 80 secondi, 80 secondi che oggi diventano viaggio nel tempo. Quel giorno, il cronometro dice 1 minuto, 14 secondi, 301 millesimi. Da rivivere, tutti quanti.

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Un giro da tregenda

Quando sei a Monaco, meno pensi e meglio è. Ayrton Senna raccontò di essersi sentito in una dimensione parallela, il giorno in cui mise a segno la strepitosa pole del 1988. Michael Schumacher invece al momento di iniziare il giro è tanto concentrato che di più non si può. Sono settimane calde per lui, che ancora deve decidere cosa fare da grande. Di anni ne ha 43 compiuti, e nonostante la carta di identità sia spietata metà del suo cuore gli dice di continuare, sebbene le precedenti due annate, quelle di ritorno con la Mercedes, siano state molto vicine al fiasco assoluto. E pure la terza, quella del 2012, non è mica cominciata tanto bene: in cinque gare i dati dicono due punti raccolti e tre ritiri, anche se in questo caso i bilanci fanno i conti con una sorte parecchio avversa. Perché il dato che conta è un altro: in maniera illogica e contro le leggi del tempo, dal punto di vista della prestazione pure la forbice con Nico Rosberg, anziché aumentare, sta diminuendo. Strano, per uno di quell'età, e invece è così. Michael alla Mercedes ha chiesto tempo per le discussioni del rinnovo, e chiedere tempo significa lasciare una strada aperta alla Mercedes per le trattative con Lewis Hamilton. A queste cose, quando Michael Schumacher taglia il traguardo per iniziare l'ultimo giro del Q3, quello decisivo, non pensa.

Pensa piuttosto a dare il meglio di sé in quella che potrebbe essere la sua ultima Monaco. Anche questo, ovviamente, non lo sa, ma può benissimo immaginarlo. Tuttavia, non c'è spazio per la malinconia mentre ti stai lanciando a tutta verso la frenata di Santa Devota, dove devi tagliare sul cordolo stando il più largo possibile per uscire forte verso la salita, ma non troppo, pena il guard rail sulla sinistra pronto a dirti "stop". Rispetto al 1999, quando con una frenata si mise davanti ad Hakkinen, la curva è cambiata: è sparito il muretto interno e sul cordolo oggi si taglia con più facilità. Ma non è il momento di lasciarsi andare tra i ricordi.

Prima curva indenne, dicevamo. Michael esce bene e va su per la salita ad inserire le marce una dietro l'altra, terza quarta quinta fino alla settima, quando Beau Rivage è già alle spalle e devi andare sul freno verso Massenet, il tutto dopo aver già regolato, la prima di tante volte per essere un giro di qualifica, il ripartitore di frenata vecchio stile, una leva sulla sinistra dell'abitacolo che impone di togliere la mano sinistra dal volante. Così voleva Michael, in quel suo essere preciso al massimo anche in qualifica (era uno dei piloti che più "lavorava" nel giro veloce negli anni d'oro e questo vizio non lo aveva perso nemmeno al rientro). Comunque, ecco Massenet; traiettoria a tenere la sinistra, a sfiorare il cordolo interno, per negoziare l'immediato cambio di direzione verso destra, al Casinò: qua il cordolo lo si prende in pieno con l'anteriore destra per immettersi nella discesa, scarto per evitare il dosso e poi direzione Mirabeau Alto, una insidiosa frenata in discesa dove bloccare è un attimo. E qui, nel curvare al Mirabeau Alto,  Michael fa un qualcosa di alieno: stacca la mano per ritoccare il ripartitore sulla sinistra, ma i fotogrammi parlano chiaro: quando lo fa, il volante è ancora piegato verso destra. Mitico. E' un attimo rimettere la mano sul volante, perché è un attimo arrivare al tornantino del vecchio Loews, la curva più lenta del mondiale, un tornante sinistrorso talmente stretto da richiedere accorgimenti specifici ai braccetti delle sospensioni per girare bene. Ma questa è roba per ingegneri, non per piloti, che appena rimessa dritta la macchina non hanno il tempo di dare un pestone al gas che subito arriva il Mirabeau Basso, con il cordolo interno a delimitare il marciapiede rosso.

Ecco, qui, con il cuore a mille, in quel momento a Michael non sarà di certo tornata alla mente la stessa curva, che all'epoca aveva un cordolo diverso, più alto e quindi più insidioso, di quella domenica del 1996 quando rimbalzando proprio su quel cordolo, al primo giro del GP, vanificò la grandiosa pole position del giorno precedente, alla prima apparizione in Costa Azzurra con la Ferrari. Sedici anni dopo, c'è da scommetterci, Michael non ha certo il tempo di ripensare ad uno degli errori più clamorosi della sua carriera, perché fuori dal Mirabeau Basso c'è subito da preoccuparsi di curva 8, il Portier, il quale altro non è che la piega di circa 90 gradi che immette nel tunnel. Passata indenne pure quella, una toccata rapida al tasto del Kers e poi ad affrontare il buio della galleria, per una curva 9 che una curva non è con queste macchine, il cui carico aerodinamico è sufficiente per evitare problemi ai piloti: basta tenere giù il piede e soprattutto tenere la traiettoria giusta, quella "pulita".

Passa in fretta il tunnel, qualche secondo all'ombra prima di sbucare alla luce del sole, quella che bacia il porto, le barche e la Nouvelle Chicane: in discesa e dunque impegnativa, uno dei pochi punti di sorpasso in gara ed uno di quelli dove puoi fare il tempo al sabato; e Michael lì è perfetto, con una frenata decisa ma lineare come la scalata delle marce, senza il minimo accenno di bloccaggio delle ruote: tra l'anteriore sinistra ed il muretto interno non passa un foglio, ma è solo un istante, perché poi la macchina va messa sul cordolo opposto, e conviene tenersi il più possibile a destra per uscire forte e soprattutto evitare di far conoscenze spiacevoli con l'altra facciata del muretto, ad un soffio dagli yacht. Ma nessuno problema: anteriore preciso, posteriore forte, trazione sicura e si vola verso il Tabaccaio, a pennellare in scalata l'unica traiettoria possibile da quelle parti; un "taglio" in cui prima si è vicinissimi con l'anteriore sinistra al muretto interno ed un attimo dopo vicinissimi con la gomma contraria a quello esterno. Roba tutta velocissima anche quella, roba che solo 20 fenomeni possono fare per tre giorni l'anno, figurarsi chi la fa più veloce di tutti.

Sta per finire il terzo settore, che termina un attimo dopo la prossima chicane, la Louis Chiron, un sinistra-destra velocissimo sotto alle Piscine: sono i metri della fotografia di questa pole position, con un signore di 43 anni che che tra una e l'altra, mentre va dentro a tutta, stacca ancora la mano sinistra per avere il bilanciamento che preferisce alla frenata successiva, un qualcosa di impensabile. Una manovra ragionata ma che per chi guarda, a bordo con Michael, pare essere soprattutto istinto.

Ecco dunque la frenata delle Piscine: un altro destra-sinistra dove è facile toccare sia il muretto interno che quello esterno immediatamente successivo, ma niente che quella Mercedes numero 7 non possa fare con il più naturale dei movimenti, anche se a guidarla c'è un uomo che come gli altri, in un giro di qualifica a Monaco, ha i battiti accelerati, nel tratto in cui nel 1996 fece un autentico capolavoro, con sette decimi rifilati al primo inseguitore solamente nel T3.

Ma guai a distrarsi, arriva la Rascasse: frenata subdola, quella dove "parcheggiò" (ma lui ha sempre detto che si trattò di errore, non di volontarietà) nel 2006, mettendo in salvo una pole che gli sarebbe stata comunque revocata; ma come non c'era il tempo di pensare al 1996, non c'è nemmeno quello per rimembrare il 2006, perché l'uscita dalla Rascasse è veloce e subito dopo c'è l'Anthony Noghes, la stretta piega a destra che immette sul rettilineo principale. Perfetto anche lì, Schumi, con un leggero sovrasterzo in uscita che non gli impedisce di andare prestissimo sul gas, per spalancare nei metri finali di un giro infinito tutta la potenza del suo V8 accompagnati dai cavalli aggiuntivi del Kers, sprigionati con l'ultimo tocco al bottone con il pollice sinistro. Traguardo. Eccoci: 1'14"301. Pole position.

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L'ultima cartolina

Non c'è spazio per ricordare le pole del 1994, la pole del 1996 o quella del 2000, le tre volte in cui Michael Schumacher partì davanti a tutti a Montecarlo. Questa è la pole position del Michael Schumacher in versione 2012. E' una pole troppo diversa da quella del 1994, la sua prima pole in assoluto, o dalle altre due. Questa è speciale perché arriva dopo due anni di difficoltà, ad un'età in cui di solito le qualifiche di Monaco te le guardi dal divano, al massimo da un box, da una tribuna o, se hai un conto in banca di quelli interessanti, dalle barche ormeggiate qualche decina di metri più in là. Non c'è spazio per ripensare al passato, non c'è spazio per ripensare a niente: c'è subito Ross Brawn via radio a fargli i complimenti, c'è un giro d'onore da fare con l'indice alzato. C'è lo spazio per pensare che questa pole position, alla fine, una pole position non sarà: ci sono cinque posizioni di penalità da scontare e per le statistiche la partenza al palo finirà nel conteggio della carriera di Mark Webber, primo beneficiario della sanzione a Michael.

Ma in quegli istanti, probabilmente, a lui importa poco anche quello: ha dimostrato a tutti, sulla pista più probante del mondiale, che la differenza la sa fare ancora. Magari non sempre, magari non come una volta, ma sa farla. Ed a macchina parcheggiata, con il casco in mano, gli occhi non mentono. Sorridono, sprizzano gioia accompagnati da una linguaccia alla telecamera, sono gli occhi di un bambino che ha appena scartato il regalo più atteso a Natale. Sono occhi che godono, occhi che non sanno ancora che si tratta dell'ultima volta. O forse sì, lo sanno, perché dopo quel giro, a 43 anni, non c'è proprio più niente da dimostrare. Sono gli occhi di chi ha deciso che basta così. Sono gli occhi di chi dice che quella, come cartolina finale di una carriera infinita ed irripetibile, è l'ultima emozione che possono offrire.


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