Nonostante non avesse aggiornamenti, la Ferrari ha dominato ad Austin cogliendo l'affermazione più convincente dell'anno; passi in avanti da parte di Red Bull, non al 100% McLaren, si mettono in mostra Lawson e Colapinto
Dipende che si intende per “tornata”. Se si pensa ad una macchina tornata sul cammino che la riporterà a dominare, probabilmente si sbaglia; se si pensa però ad una macchina capace di mettere da parte le problematiche dell'ultima fase del campionato, allora si può cominciare a pensare che il peggio sia passato.
Non può bastare una gara per avere la certezza che la RB20 abbia risolto del tutto i suoi vecchi problemi, ma sin dall’inizio del weekend nel garage anglo-austriaco avevano una moderata fiducia di essersi messi alle spalle il momento più difficile. Sui pezzi nuovi introdotti ad Austin (e solo sulla macchina di Verstappen), a Milton Keynes puntano molto: sono la risposta a problemi a quanto dicono completamente individuati nel difficile weekend di Monza, che a quanto pare è stato uno spartiacque per indirizzare il lavoro di sviluppo sulla RB20. Lo ha confermato nel fine settimana Verstappen ai media olandesi, con Max che ha spiegato come dopo il GP d’Italia a Milton Keynes abbiano proprio cambiato direzione di sviluppo.
I risultati, anche solo a livello di guidabilità, si sono visti subito: Max ha parlato di macchina “connected”, che in ultima analisi significa bilanciata, almeno nella prima parte del weekend. In gara la Red Bull ha avuto qualche difficoltà di adattamento alla mescola più dura, che ha tolto fiducia a Verstappen, il quale è tornato a parlare di scarsa fiducia in frenata e di tanto sottosterzo dopo il GP. La gara non è stata facile per Max, il quale tuttavia è sembrato meno “impiccato” di altre volte alla guida.
Con la sua grande versatilità di curve Austin poteva mettere in difficoltà la Red Bull, che ultimamente aveva fatto fatica a trovare la quadra su piste che presentavano curve sia lente che veloci, mentre nel complesso la prova è stata superata. Messi da parte, almeno in Texas, anche i problemi di eccessiva sensibilità della RB20 a determinate condizioni, come i cambiamenti di temperatura, oltre ad una ritrovata velocità sul giro secco. Servono dunque altre risposte sul pacchetto portato dalla Red Bull, anche se la primissima sensazione è che i campioni in carica abbiano fatto un passo avanti.
Perché non è mai stata trovata effettivamente colpevole. Nello stato di diritto sei incolpevole fino a prova contraria, ovvero: per essere dichiarato colpevole, servono prove che certifichino, oltre ogni ragionevole dubbio, che tu lo sia. E queste prove non ce l’ha nessuno: la Federazione, la McLaren e nessun’altra squadra.
Per cui è anche semplice rispondere alla domanda, perché effettivamente manca la prova che Red Bull abbia utilizzato la tanto chiacchierata soluzione per regolare il T-tray tra qualifiche e gare. Il che, chiariamolo, sarebbe una infrazione gravissima, meritevole di squalifica, perché il parco chiuso si regge proprio su questo aspetto, il non modificare la macchina nei suoi principi d’assetto di base per farla essere il più uguale possibile tra qualifica e gara.
Come verifica, la Federazione ha chiesto di osservare da vicino la soluzione, oltre che tenere sott’occhio l’intervento del meccanico (è stata chiesta, in pratica, una sorta di dimostrazione visiva al team), e per fugare ogni dubbio ha messo un sigillo al pezzo. Ci sta pensare male, ed è per questo che è stato introdotto il sigillo: tuttavia, Red Bull ha chiarito che si può intervenire sulla soluzione solo a macchina non ancora assemblata, ed ha dovuto dimostrare come proprio con la prova pratica elencata poche righe fa. Perché c’è, allora, quella soluzione? Risposta intuitiva: per velocizzare il lavoro dei meccanici. Ci si può non credere, ma siamo appunto nello stato di diritto: fino a quando qualcuno non dimostrerà il contrario, è questa la risposta che deve essere presa per buona.
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