Dopo 6 anni Melbourne torna ad ospitare il via del mondiale nella meravigliosa cornice dell'Albert Park: può essere una stagione da poker d'assi da calare sin dalla prima curva del campionato, la Brabham
È un po' come nella chirurgia plastica: se ritocchi troppo, finisci per snaturarti. Lungi da noi qualsiasi giudizio morale sul ritocco estetico, ma c'è modo e modo. Per fortuna, l'Albert Park è rimasto sobrio, da quando ha deciso di passare sotto le mani del chirurgo, pardon degli architetti, nel 2021. In Australia, causa Covid, a correre non si poteva andare, così si è sfruttato il "tempo libero" per ringiovanirla un po'. Ha perso qualche caratteristica, ora è un po' meno stop&go e un po' più veloce. Un cambiamento che ha avuto il suo peso, soprattutto nella delibera degli assetti. È andata verso l'esigenza di essere più rapida, con più opportunità di sorpasso. Ma soprattutto, ha rispettato la storia delle sue curve.
Da quando fu disegnata per essere introdotta in calendario, gli organizzatori di Melbourne ebbero la brillante idea di dare a qualche curva i nomi di grandi campioni. E allora ecco la Brabham e la Jones, due idoli tra i canguri, ma pure la Clark, la Ascari, la Prost e la Stewart. A parte la Clark, che da chicane destra-sinistra è diventata un lungo rettilineo... ondulato, le altre sono rimaste più o meno le stesse. Arrotondato l'apice di qua, aggiunto il cordolo di là, ma comunque intatte nella loro essenza. Melbourne non è il più bel circuito del mondiale, ma è caratterizzato da un'atmosfera unica, con la sua collocazione all'interno di un parco (l'Albert Park, appunto) e da quel laghetto che costeggia la pista.
È bello, che un mondiale cominci con due curve dedicate alle memoria di due grandissimi come Jack Brabham e Alan Jones. Il primo, se siete amanti delle statistiche, è stato l'unico oltre ad Hamilton, finora, capace di vincere una gara in tre decenni diversi. L'altro è per ora il secondo ed ultimo campione del mondo che l'Australia abbia mai avuto. Purtroppo, ai loro tempi il GP Australia non c'era: anche per questo, forse, tra i canguri aspettano il primo profeta in patria. Dopo la vana speranza di Mark Webber e Daniel Ricciardo, ecco Oscar Piastri.
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