Quel 2006 con Binotto in Red Bull

Quel 2006 con Binotto in Red Bull

Nell’unica stagione in cui la Ferrari ha motorizzato la Red Bull in F.1, l’attuale team principal della Rossa vestiva in blu. Andiamo a scoprire perché

09.08.2022 09:40

Nel mondo iperconnesso di oggi, dove tutto si trova in meno di un minuto giocherellando sulla tastiera degli schermi, dove una notizia raggiunge l’altra parte del globo nello spazio di un click, per fortuna qualcosa di esclusivo è rimasto. Siano benedetti gli archivi fisici, pieni zeppi di carte e fotografie, di certo più invasivi delle micro memory-card dei dispositivi elettronici odierni, ma che non tutto, almeno non ancora, sanno contenere. Ci sono immagini di testimonianze storiche rimaste esclusive, in alcuni casi addirittura introvabili anche per le spietate ricerche del web. Un esempio? Se digitate “Mattia Binotto Red Bull” sulla barra di ricerca, vi verrà fuori un lunga serie di articoli di attualità, tra dichiarazioni, incontri, classifiche e quant’altro. Roba numerosa, attuale. Ma non vi verrà fuori un’inedita immagine di un giovane Mattia Binotto con indosso l’abbigliamento Red Bull. A vederla, a qualcuno verrà il dubbio che sia un’altra delle diavolerie di oggi, un “meme” oppure un semplice fotomontaggio. Niente di più sbagliato: la foto è autentica, storica. E racconta un mondo che oggi non c’è più, quello in cui la Ferrari forniva i motori alla Red Bull.

Strana la vita, strane le corse: un giorno fornisci uno che è tuo cliente e qualche anno dopo te lo ritrovi avversario. Era il 2006, abbastanza per parlare di un’era differente, almeno dal punto di vista sportivo. Era l’anno in cui la Ferrari e Michael Schumacher provavano a strappare i titoli iridati a Fernando Alonso ed alla Renault, mentre la Red Bull, al suo secondo anno di attività nel Circus, cercava innanzitutto di costruirsi una reputazione. Ci stava provando con la RB2, ufficialmente la seconda monoposto nata a Milton Keynes. Ma prima di arrivarci, bisogna fare un passo indietro.

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Il premio: la Stewart e la Jaguar

Le radici Red Bull in Formula 1 sono da ricollegarsi alla Jaguar, a sua volta già Stewart Grand Prix. Paul Stewart, figlio del tre volte campione del mondo Jackie, aveva fondato una scuderia di successo che correva nelle categorie propedeutiche: dopo tanto pensare, lui ed il padre decidono lo sbarco in Formula 1 aiutati dalla Ford, con cui Jackie aveva mantenuto ottimi rapporti sin dai suoi trascorsi da pilota: con la Ford alle spalle, ad entrare nel Circus non sarebbe stata solo una squadra di belle speranze, ma una realtà dagli obiettivi chiari e dai mezzi concreti. Certo, serve tempo, eppure già alla quinta gara della sua storia il team è sul podio: merito di Rubens Barrichello a Montecarlo 1997. A correre al suo fianco Jan Magnussen, padre di Kevin, poi sostituito l’anno successivo a metà stagione da Jos Verstappen, padre di Max. L’anno d’oro per la squadra britannica è il 1999: al Nurburgring Johnny Herbert vince e Barrichello è terzo, un trionfo. La Stewart è 4° nel Costruttori, ed è appetibile sul mercato: rileva tutto la Ford, che per dare lustro al marchio inglese da lei acquistato decide di chiamare la scuderia Jaguar Racing.

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Il progetto è ambizioso, gli investimenti onerosi, le speranze altissime

Ma si scontrano con una realtà che non è fatta solo di soldi, ma anche di visione: sarà per questo che Adrian Newey, a lungo corteggiato, accetterà l’offerta di Milton Keynes solamente quando ci saranno già le insegne Red Bull. La Jaguar, lo si può dire senza mezze misure, è un fallimento: le bellissime monoposto verde smeraldo in cinque stagioni fanno peggio della Stewart, raccogliendo la miseria di due podi, nessuna pole e soprattutto nessun vittoria, senza mai andare oltre il 7° posto nella classifica Costruttori (piazzamento ottenuto tre volte consecutiva- mente dal 2002 al 2004). Del progetto Jaguar, insomma, l’unico felice sembra Eddie Irvine, pilota di punta della squadra nei primi tre anni: poche soddisfazioni a livello di risultati, salvo il 3° posto di Montecarlo 2001 e quello di Monza 2002, ma con una pensione d’oro per quando lascerà, senza rimpianti, il Circus alla fine del 2002. A fine 2004, invece, è la Ford che non ne vuole più sapere: alla porta bussa Dieter Mateschitz, magnate dell’impero Red Bull. A livello di marketing, in pochi hanno la visione di Mateschitz: quella bevanda dagli ingredienti speciali, è pronta a prendersi la Formula 1.

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Nasce la Red Bull

E così, all’inizio del mondiale 2005, ai nastri di partenza si presenta anche la vecchia Jaguar rinominata Red Bull Racing, con tutte le complicazioni del caso tipiche dei periodi di transizione tra una proprietà e l’altra. Per andare in pista, a Milton Keynes (la sede della scuderia è la stessa dai tempi della Stewart) si affidano alla RB1, che altro non è che la Jaguar che avrebbe dovuto correre nella stagione 2005. Per quanto nel nome ci sia già il passaggio di proprietà, nei fatti la RB1 è la vettura che il gruppo Ford, tramite la Jaguar, ha lasciato in eredità ai nuovi arrivati. In tanti, tra i dipendenti, restano a Milton Keynes. Per il nuovo gruppo, il primo passo da fare è ingrandire le strutture, aumentare il personale, far partire una sorta di rivoluzione che possa portare la squadra al vertice della Formula 1. E così, parallelamente al mondiale 2005 che si gioca in pista (con risultati soddisfacenti, che porteranno il team fino al 7° posto tra i Costruttori), a Milton Keynes parte un processo di mutamento che non sarà facile attuare, ma che alla lunga pagherà. La Red Bull, nel frattempo, è un unicum anche dal punto di vista pubblicitario: le sue strutture sono le più imponenti del paddock, piene di vip (ne arriveranno sempre di più nel corso degli anni), e non si può fare a meno di notare il via vai che c’è intorno alle strutture di quelli che, in quegli anni, sono chiamati “bibitari”; sembrano un complesso rock con tutta quella musica sparata a palla nel paddock, uno stile che non è che piaccia proprio a tutti. Comunque, in fabbrica Mateschitz, Marko ed Horner ci danno dentro da subito, hanno ambizioni chiare e chiare sono anche le mosse che hanno in mente. E nel corso del 2005 concludono due trattative che sembrano un guanto di sfida lanciato a tutto il mondo della Formula 1: si assicurano le prestazioni di Adrian Newey e portano a casa l’accordo per la fornitura dei motori Ferrari per la stagione 2006. Un’annata nella quale il marchio Red Bull si allarga ancora: nel corso del 2005, Mateschitz ha raggiunto un accordo con Gian Carlo Minardi per rilevare l’intera struttura della Minardi a Faenza, la scuderia che diventerà Toro Rosso.


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