Vettel rimpiangerà quei 13 punti buttati per l’impulsività

Vettel rimpiangerà quei 13 punti buttati per l’impulsività

Come mai Sebastian si è lasciato andare a questo eccesso? Il ferrarista a volte ha la tendenza a perdere la testa

Alberto Sabbatini

27.06.2017 17:18

Quei 13 punti che Vettel ha perso in Azerbaijan dovendo scontare lo stop&ago per il fallo di reazione a Hamilton rischiano di costare moltissimo in chiave campionato al ferrarista. Avesse vinto la corsa - e l’avrebbe vinta visto l’inconveniente capitato a Hamilton - adesso il ferrarista avrebbe 27 punti di vantaggio in campionato, non soltanto 14. 

Sono punti persi pesantissimi in un mondiale che sarà tirato fino all’ultimo. Il doppio di quelli che Vettel ha guadagnato quando la squadra gli ha permesso di superare ai box Raikkonen a Montecarlo. Un margine che gli avrebbe dato la tranquillità di una gara di vantaggio e che ora non ha più.

Come mai Vettel si è lasciato andare a questo eccesso? Il ferrarista a volte ha la tendenza a perdere la testa. A vedere rosso. A farsi accecare dalla rabbia e diventare impulsivo al volante ed esagerare. Gli succedeva ai tempi della Red Bull (ricordate quando si scontrò con Webber in Turchia nel 2010 per non aver rispettato un ordine di squadra?). Già in Ferrari era stato protagonista di un episodio chiacchierato, in Messico lo scorso anno, anche se li aveva le ragioni dalla sua. Ma dopo l’episodio con Verstappen che aveva tagliato la chicane e lo frenava favorendo il ritorno di Ricciardo, Vettel mandò a quel paese in diretta via radio Charlie Whiting mettendo in discussione l’autorità del direttore di gara, cosa che uno sportivo non dovrebbe mai fare così palesemente. Quando pensa di aver subìto un torto, Vettel diventa vendicativo ma agisce in modo disordinato. Un po’ come certi automobilisti in autostrada che ricevono i fari da chi li segue e reagiscono male affiancandosi, gesticolando e mettendo in pericolo se stessi e l’altro.

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Vettel non è credibile quando racconta che ha perso il controllo della Ferrari affiancando Hamilton perché stava gesticolando con le mani. È ovvio che gli è andato contro deliberatamente. È palese perché ha cercato proprio il contatto ruota-ruota, che è l’unico incruento. Altrimenti si sarebbe incastrato con le ali contro la fiancata della Mercedes. È quel gesto vendicativo che ha fregato Vettel e ha provocato la sanzione. Qualcuno sostiene che non fosse grave perché compiuto a 30 all’ora ma qualsiasi fallo di reazione è invece grave perché rappresenta una atteggiamento di antisportività. Fino a quel momento il ferrarista poteva anche rivendicare di essere dalla parte della ragione perché Hamilton, pur non avendo frenato apposta per farsi tamponare (lo esclude la telemetria), di certo stava facendo l’elastico per innervosire l’avversario. E per prendersi un vantaggio alla ripartenza.

Magari se non avesse reagito scompostamente, Vettel avrebbe anche indotto i commissari a indagare sul presunto eccessivo rallentamento di Lewis. Ma rifilandogli quella ruotata di rabbia e reazione istintiva si è invece messo automaticamente dalla parte del torto. Perché la volontarietà del suo gesto è stata documentata dalle telecamere di bordo e dalla traiettoria delle auto. Ecco perché i commissari hanno punito lui. In tutti gli sport, dal calcio al basket, il fallo di reazione viene punito con più severità di altri falli. Perché si suppone che uno sportivo debba saper resistere al desiderio di vendetta. Questa è la differenza fra il semplice praticante e il vero professionista.

Ma nel giudicare la vicenda Hamilton-Vettel, quello che molti hanno sottostimato è quanto sia complicata la gestione-gara sotto safety car. L’automobilismo non è uno sport “facile” come il calcio che ha quattro regole semplici e ovvie e c’è solo una palla da calciare, ma è uno sport complicato dove la meccanica influisce sulle scelte che fa l’uomo. Per cui vale la pena di riesaminare tutte le problematiche di guida che si incontrano sotto safety car per capire anche perché nascono certi comportamenti.

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Una Formula Uno è progettata e costruita per funzionare al meglio in piena velocità. Ricevendo tanta aria che rende ottimale il livello termico di ogni componente. Il che significa che a bassa velocità - 80-120 all’ora dietro la safety car - le gomme non si scaldano e quindi la macchina non volta, i dischi dei freni restano freddi e la monoposto rallenta a fatica, i radiatori non ricevono abbastanza aria e la temperatura dell’acqua di raffreddamento del motore può salire eccessivamente. Per cui l’impegno di tutti i piloti è quello di cercare di riportare in temperatura gomme, freni e motore per avere la macchina il più efficiente possibile al momento della ripartenza.

Il restart dietro safety car è un momento delicatissimo che può decidere una gara. Di regola chi è in testa, il primo, ha il diritto di fare l’andatura. Questo significa che, rispettando la posizione della safety, può accelerare e frenare. E chi è dietro deve adeguare il proprio passo. Questa situazione per chi è davanti rappresenta un grande privilegio: perché può scegliere lui il momento esatto in cui riaccelerare; e se riesce a sorprendere l’avversario dietro guadagna un grande vantaggio sulla ripartenza. Ecco perché il pilota al comando pratica una sorta di gioco ad elastico, accelerando e frenando, rallentando di colpo e ripartendo, più volte. Serve sia a portare in temperatura gomme e freni, sia per depistare l’avversario.

Questo gioco dell’elastico è permesso ma entro certi limiti. Vuol dire che il pilota in testa alla gara non può staccarsi enormemente dalla safety car ma mantenere una distanza adeguata (l’equivalente di dieci macchine, cioè circa 50 metri). Questa distanza massima non è più obbligata subito prima della fase di restart, quando la SC spegne le luci. In quel momento il primo può rallentare quanto vuole perché deve preparare la ripartenza. L’unica cosa che deve fare il pilota in testa è non superare assolutamente la SC prima del restart: per questo chiunque (come ha fatto anche Hamilton) si prende un margine enorme dalla SC al momento della ripartenza perché con l'accelerazione bruciante di una F1 ci vuole poco a raggiungerla nel momento in cui si riaccelera a fondo.

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A questo punto si capisce che il pilota in testa ha un vantaggio enorme perché può scegliere il tempo della riaccelerazione e sorprendere quelli dietro ottenendo un grande vantaggio. Mentre la situazione peggiore è quella del pilota che si trova in seconda posizione (o terza, o quarta ecc) perché viene preso a sandwich tra chi gli sta davanti e chi gli è dietro. Egli deve guardare cosa fa il pilota davanti a lui per non farsi cogliere di sorpresa da uno scatto in cui perderebbe un sacco di metri e nello stesso tempo sorvegliare con gli specchietti quello dietro di lui per non farsi prendere in controtempo da loro alla riaccelerata. Ma nello stesso tempo deve ogni tanto frenare di colpo per scaldare i dischi, zigzagare per alzare la temperatura delle gomme è così via evitando quello davanti che fanno lo stesso, e facendo attenzione a quelli dietro che potrebbero urtarlo.

Potete perciò immaginare anche voi quanto sia difficile quella fase di gara dietro la safety Car. Bisogna stare con quattro occhi aperti, non due, perché la distanza fra le auto cambia di continuo. Ed è un attimo tamponare o farsi tamponare. O finire addosso a quello di fianco se si zigzaga in direzioni opposte.

Adesso che avete capito cosa bisogna fare per “tenere in temperatura” una F1 sotto SC, vi è forse più chiaro cosa possa essere successo tra Hamilton e Vettel. Lewis dopo quella curva avrebbe riaccelerato per il restart: quindi stava sicuramente facendo un po’ di elastico per cercare di sorprendere Vettel sulla scelta dei tempi rallentando ed accelerando per non fargli capire quale sarebbe stata l’accelerata giusta finale e decisiva. Lui è abituato a fare il “furbetto” giocando sul filo delle regole. Ma l’interpretazione del regolamento gli lasciava il diritto di agire così. 

Vettel a sua volta era in una situazione molto più scomoda: doveva scaldare i freni e le gomme, tenersi alla larga da Hamilton e dalle sue “imboscate” ma nello stesso tempo stargli il più vicino possibile perché alla ripartenza precedente era stato preso in controtempo da un suo allungo e non voleva più ricascarci. Contemporaneamente però doveva sorvegliare che la macchina dietro di lui – la Force India velocissima in rettifilo - non si avvicinasse troppo per prendergli la scia alla ripartenza. Quello che è syuccesso ala fine è che Lewis, nel suo “elastico”, ha rallentato in un momento in cui Vettel non se l’aspettava, all’uscita della curva invece che a metà rettifilo.

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È anche probabile che Lewis volesse tenersi ancora più margine dalla safety car perché nella ripartenza precedente, nel lungo rettifilo, l’aveva praticamente raggiunta sulla riaccelerata e quindi avrà rallentato ancor più vistosamente per fare più spazio fra la SC e se stesso e stare più sul sicuro.

Questa serie di incomprensioni ha portato alla tamponata. Che non è stata una provocazione di Hamilton a Vettel, come ha detto qualcuno, né tantomeno un fallo di ostruzione. Toccava a Vettel stare attento. Seb invece, forse perché prevenuto, forse perché nervoso per la difficoltà del momento, s’è fatto venire il sangue agli occhi e ha interpretato la manovra come una “porcata” di Lewis. Acuita dal fatto che aveva subito la rottura dell'ala e quindi si sarà inviperito. Per quello che l’ha affiancato per protestare ed esasperato gli ha dato la ruotata.

Ora speriamo soltanto che Vettel non debba rimpiangere da qui a fine stagione quei punti mondiali gettati al vento in Azerbaijan per l’eccessiva impulsività.


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