GP Usa 2005: perché servono le prove libere

GP Usa 2005: perché servono le prove libere© Getty Images

Le parole di Domenicali sull'eliminazione delle prove libere fanno discutere: viene alla mente l'episodio di Indianapolis 2005, quando un incidente avvenuto al venerdì evitò guai probabilmente peggiori

28.03.2023 ( Aggiornata il 28.03.2023 15:01 )

Paradossalmente, lo spunto di discussione più interessante di questa Formula 1 è venuto fuori da un weekend del Motomondiale. Stefano Domenicali, nei box delle due ruote a godersi la gara di Portimao, è stato intercettato dalle telecamere ed ai microfoni si è lasciato andare ad una frase che ha fatto e sta facendo discutere: "Basta prove libere, servono solo agli ingegneri". Eppure lui c'era, ad Indianapolis 2005.

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Libere benedette

Il GP Usa 2005, per i pochi che non lo sanno, è il famigerato GP in cui partirono solamente sei vetture, nella fattispecie quelle gommate Bridgestone: due Ferrari, due Jordan, due Minardi. Gli altri, i gommati Michelin, fecero il giro d'onore e poi rientrano mestamente ai box per guardare la corsa dai garage. La motivazione fu che, nella lunga sopraelevata verso destra che immette sul rettilineo del traguardo, i carichi verticali erano troppo elevati per i pneumatici francesi, e questo non avrebbe garantito l'integrità strutturale del prodotto dopo una manciata di giri. Era l'anno dei cambi gomme vietati, per cui i piloti erano obbligati a percorrere l'intera distanza di gara con un solo treno di gomme: si andava ai box solo per rifornire. 

Che ci fosse un problema con le gomme francesi fu chiaro, appunto, con le prove libere. Segnatamente, nel corso della seconda sessione, quando sulla Toyota di Ralf Schumacher esplose la posteriore sinistra nella velocissima sopraelevata: impatto tremendo contro il muretto esterno.

Da lì, le analisi dei tecnici Michelin che portarono ad una verità: quelle gomme non riuscivano a reggere i carichi dopo alcuni passaggi. Qui non importa entrare nel merito di quella domenica, tra la Michelin che voleva l'aggiunta di una chicane oppure il permesso di effettuare una tantum una corsa con i cambi gomme, suggerimenti che trovarono il muro dei gommati Bridgestone e la risposta negativa della Fia. Qui importa entrare nel merito di quanto quelle prove libere, con il senno di poi, siano state utili per evitare un disastro ancora maggiore nel corso della gara. Immaginiamo, per un attimo, un weekend di quel tipo senza libere (o con una sola sessione appena): senza long run di prova al venerdì, sarebbe stato impossibile percorrere un chilometraggio adeguato per far venire a galla il problema. Questo, in uno scenario catastrofico, avrebbe fatto iniziare il GP con tutte le macchine al via mettendo a rischio 14 piloti su 20, perché sicuramente non ci si sarebbe fermati al primo incidente (scientificamente inevitabile, secondi i dati dei tecnici Michelin). Furono uno stress test a tutti gli effetti, quelle prove libere: e chi dice che anche con le libere si verificarono incidenti nell'edizione del 2004 (sempre con Ralf Schumacher, in una dinamica molto simile), bisogna ricordare che allora si parlò di detriti che fecero esplodere la gomma, non di guai strutturali.

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L'ingegneria in F1 è un vanto

Ora, è vero che Indy 2005 è un caso unico nella storia ultra millenaria (nel senso di GP disputati) della F1. Ma visto che la sicurezza ha fatto passi da gigante, sarebbe folle prendersi un rischio del genere. Togliere ad una F1 che ha già abolito i test in stagione anche le prove libere sarebbe come togliere al calcio, oltre che l'allenamento infrasettimanale, anche il riscaldamento pre-partita. Un po' troppo, forse, per una categoria che ha costruito anche sulla tecnica e sull'ingegneria la sua aura dorata. Altrimenti, si rischia di far passare gli ingegneri come persone che al venerdì si divertono con le loro auto telecomandate e niente più. E la sofisticazione tecnologica ed ingegneristica per la F1 è un vanto, non un difetto. Ma per rimanere tale, ha bisogno di essere messa nelle giuste condizioni.

Libere: non necessariamente un anti-show

Guardiamo in faccia la realtà: è vero, il mondo oggi è cambiato e la richiesta di show è sempre più elevata. Questo può significare rivedere il format del fine settimana, con la F1 che lo ha puntualmente fatto nel corso dei decenni, tra warm-up inseriti ed aboliti, format di qualifica diversi e via dicendo. Però la F1 oggi scoppia di salute e ad un certo livello di popolarità ci è arrivata mantenendo da sempre delle sessioni di prove libere. E non è necessariamente vero che le libere siano un freno allo spettacolo, basti vedere quest'anno: la Red Bull pare in condizioni già ottime non appena poggia per terra le ruote. Chi insegue, chi è in ritardo di prestazione, ha più bisogno di girare per recuperare il divario. Togliere anche quei 180 minuti di preparazione per qualifiche e gara che ci sono oggi rischierebbe di portare ad uno show ancora più blando nel caso in cui ci fosse una macchina che parte nettamente davanti, come progettazione o come preparazione al simulatore.

Il giocattolo della F1 va in una direzione chiara, si è messo in moto e non si può fermare. Per dirne una, quest'anno saranno sei le sprint race. Sulla mini-gara del sabato si può discutere, ma si può accettare. Quello che non si può accettare è che le scuderie vadano in pista allo sbaraglio, perché per quanto sempre più sofisticate e precise le simulazioni non potranno mai dare le sensazioni della pista, altrimenti non ci sarebbero squadre che pensano di aver fatto una grande macchina salvo poi scoprire sull'asfalto che poco o nulla funziona. Teniamocele strette le libere, almeno qualche sessione a weekend: altrimenti, di questo passo verso una ricerca di spettacolo sempre maggiore, il rischio è che incidenti come quello di Grosjean a Sakhir 2020 passino come benedizione mediatica piuttosto che come dramma sfiorato.


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