GP Brasile 2003: la gara che durò 5 giorni

GP Brasile 2003: la gara che durò 5 giorni

Sono passati esattamente 20 anni da una delle gare più caotiche dell'era moderna, quando da Interlagos, in un susseguirsi di colpi di scena, uscì fuori la prima vittoria per Giancarlo Fisichella e l'ultima per la scuderia Jordan

06.04.2023 ( Aggiornata il 06.04.2023 15:17 )

Si può vincere un GP, sapendo di averlo vinto, ma accettare lì per lì la coppa del 2° classificato. E così Giancarlo Fisichella, anziché essere felice per una piazza d'onore insperata, aveva il broncio perché si sentiva defraudato di una vittoria che era certamente sua. Una vittoria che sarebbe poi arrivata, ma con qualche giorno di ritardo.

Se qualcuno vi chiede cosa intendete con "gara pazza", raccontategli o raccontatele la storia di Interlagos 2003. Una storia che compie 20 anni, proprio oggi, in un 6 aprile che Giancarlo Fisichella non dimenticherà mai. Né lui, né il suo capo di allora, Eddie Jordan, e nemmeno un pubblico che quel giorno, accendendo la tv, avrebbe assistito ad una delle corse più folli di sempre.

La pioggia si abbatte su San Paolo

Si sa che quando in Brasile si scatenano gli acquazzoni, per di più appena prima del via, si devono preparare i popcorn. Soprattutto in un anno in cui, per abbattere i costi, la Federazione impone l'utilizzo di una sola gomma da bagnato (scelta scellerata e, per fortuna, mai più ripetuta): così Bridgestone e Michelin si fanno la guerra portando in pista la loro versione di gomma intermedia. Pneumatico certamente più versatile, ma non adatto ad affrontare i rivoli d'acqua che inevitabilmente si creano con tanta pioggia sull'asfalto, per di più su un circuito non piano ma contraddistinto da saliscendi come quello brasiliano. Se queste scelte sono la causa, il caos ne è la conseguenza.

In un via ritardato di un quarto d'ora per l'arrivo dell'acqua, Rubens Barrichello si appresta a partire dalla pole position per insgeuire quel sogno che resterà irrealizzato: vincere in Brasile di fronte al suo pubblico, come aveva fatto il suo idolo Ayrton Senna. Si parte dietro la safety car, con qualcuno che va subito a rifornire: Frentzen, Verstappen, Fisichella, Panis, Pizzonia e Firman. Nessun nome di grido, insomma, perché i big la gara se la vogliono giocare in pista: e chi sembra in gran forma è David Coulthard, che non appena esce la bandiera verde passa uno stordito Barrichello, poi infilato pure dall'altra McLaren di Raikkonen, dalla Williams-BMW di Montoya, dal compagno di squadra Schumacher e dalla Jaguar di Webber. Davanti invece Kimi e Juan Pablo si mettono davanti a Coulthard e sembrano poter fare gara a parte, ma al 17° giro ci pensa la sospensione anteriore destra di Firman: la Jordan dell'irlandese frana addosso alla Toyota di Panis, detriti in pista e safety car. La classifica comincia a mescolarsi: ai box quasi tutti a parte Raikkonen, che resta al comando. Si riparte ma per poco, perché al 25° è Montoya che finisce a sbattere alla curva do Sol, in pratica la lunga piega verso sinistra in uscita dalla "S Senna". Nella via di fuga gli andranno a fare compagnia Pizzonia, Schumacher e Button, tutti fuori nel solito punto. Le ulteriori tre safety car rimescolano classifica e valori, su una pista viscida e difficile da interpretare: nella confusione generale rinviene Barrichello che ripassa Coulthard (davanti per il gioco dei pit-stop) ricominciando a sognare. E' il 44° giro, ne mancano 27: ma Rubens ne percorrerà appena 2, perché dovrà parcheggiare la sua Ferrari per problemi di pescaggio a bordo pista. 

Finita? Niente affatto: David va ai box per un'altra sosta lasciando strada a Raikkonen, inseguito da un sorprendente Fisichella, che se vi ricordate si era infilato ai box all'inizio azzardando una strategia tutta sua. Kimi è in difficoltà con le gomme e Fisico rinviene, e quando il finlandese commette un errore andando lungo ad una curva il romano passa. E' l'ultima immagine che si ha dei primi, perché dietro si sta scatendando il disastro: Webber finisce violentemente a sbattere lungo il curvone in salita che porta al traguardo, e sui detriti della Jaguar impatta Alonso, il quale disintegra letteralmente la sua Renault. Inevitabile la bandiera rossa, in un caos generale che manda in tilt pure i commissari: mentre Fisichella esulta insieme ai meccanici, tutti sicuri di aver vinto, la direzione gara espone la classifica finale con Raikkonen davanti all'italiano. E Kimi davanti rimane, con tanto di solita cerimonia: a lui la coppa del vincitore, inno finlandese e poi inno britannico in onore della McLaren.

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La gara finisce... ad Imola!

Fin qui i fatti della pista. Ma nel frattempo c'è un giovane ingegnere, Rob Smedley, che si è accorto dell'errore dei commissari. Non è l'unico, al muretto Jordan: tutti si sentono scippati di una vittoria certa. La Federazione ha sbagliato, loro sanno di avere in pugno i documenti con cui ribaltare la classifica del GP, e così avviene nel venerdì successivo alla gara, quando da una riunione straordinaria esce fuori la nuova classifica: vince Fisico, Raikkonen 2°. Dov'era l'errore? Semplice: al momento della bandiera rossa, Fisichella aveva appena tagliato il traguardo del 55° giro iniziando il 56°, ma la direzione gara, per un errore del sistema di cronometraggio, non lo aveva segnalato. Per cui i giri completati sembravano 54, non 55: e questo significava prendere la classifica del 53° giro completato (due tornate prima, come da regolamento), non del 54°, quello in cui Kimi, dopo l'errore ed il sorpasso subìto, se ne era andato ai box. E quello in cui, davanti, c'era Giancarlo Fisichella. 

La prima delle tre vittorie in carriera di Giancarlo Fisichella avvenne così. Arrivò ad Interlagos, ma fu certificata in un ufficio e salutata all'appuntamento successivo di Imola, quando avvenne lo scambio dei trofei: un sorridente Kimi Raikkonen, che alla fine l'aveva presa molto bene, cedeva ad un Giancarlo ancor più felice la coppa del vincitore. In un autodromo deserto, con qualche fotografo e le loro vetture dietro di loro. Spiccava soprattutto il giallo della Jordan: per Eddie sarebbe stato l'ultimo trionfo della sua amata scuderia. Oggi, quella scuderia, si chiama Aston Martin.

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Le storie nella storia

Durò 5 giorni, quel GP del Brasile. Ma per alcuni dura da 20 anni. Tanti per Rubens Barrichello, che mai come quella volta andò vicino ad essere profeta in patria: mancavano 27 giri, ma col senno di poi sarebbe bastato percorrerne poco più di 10 per arraffare la vittoria. Senza colpe, dato che fu un guasto tecnico e non un errore di guida a metterlo fuori, ma con il rammarico di aver potuto solo sognare quello che sarebbe potuto essere e che invece non fu. Sensazioni simili in casa Minardi, con Jos Verstappen, papà di Max, che ancora si mangia le mani per il testacoda che lo mise fuori dopo 30 giri. Al momento dell'uscita di pista Jos era 8°, ma sarebbe potuto finire molto più su: il retroscena sarebbe stato svelato da Paul Stoddart, all'epoca co-proprietario della Minardi. La scuderia faentina, scommettendo proprio su una gara caotica, alla prima safety car aveva riempito fino all'inverosimile il serbatoio della PS03: se fosse rimasto in gara, Jos avrebbe chiuso sul podio o addirittura vinto.

Tra i macigni della nostalgia, c'è anche chi oggi di Interlagos 2003 può raccontare con un sorriso. Giancarlo Fisichella, di sicuro. Ma anche Fernando Alonso e Rob Smedley. Nando, per esempio, finì di fatto fuori dalla gara: ma fu proprio il suo incidente a provocare la bandiera rossa definitiva e decretare la classifica finale, quella di due giri prima, ovvero quella in cui lui, con la sua Renault, era ancora al terzo posto. Fu dunque podio, per Nando, ma fu un podio solo "statistico": lui fisicamente su quel podio non salì mai, perché al momento della premiazione era già all'ospedale per i controlli del caso, lasciando vuoto il gradino del terzo classificato al fianco di Raikkonen e Fisichella, sul podio solamente in due.

E che dire invece dello stesso Fisichella, oppure della sua Jordan che andò a fuoco nel parco chiuso. Pochi altri giri, forse, e nemmeno Giancarlo avrebbe potuto proseguire quel GP iconico, quello in cui un giovane Rob Smedley si accorse per primo che qualcosa, nella classifica finale, non stava funzionando. "E' in gamba, farà carriera", profetizzò il romano. E carriera l'avrebbe fatta eccome, quell'ingegnere britannico, tanto da finire alla Ferrari. Storica voce di Felipe Massa, con il quale ha creato una forte amicizia: ma quando Massa finì ko per la molla di Budapest 2009, dopo due gare con al volante Luca Badoer la sua F60 numero 3 fu affidata proprio a Fisichella. Il quale, dopo sei anni e qualche mese da quella magica vittoria, tornò ad avere Rob Smedley come ingegnere di pista, l'ultimo nella sua carriera in F1. Che storie, che ci ha regalato questa F1. Non rovinatela.

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