Nugnes racconta Senna - Le verità: "Orgoglioso di aver fatto parte di Autosprint"

Nugnes racconta Senna - Le verità: "Orgoglioso di aver fatto parte di Autosprint"

"Senna - Le verità" è il primo libro di Franco Nugnes, che a 30 anni dalla scomparsa del brasiliano ha scelto di ripercorrere tutte le tappe dell'incidente e dell'inchiesta successiva, un'inchiesta che vide Autosprint in prima linea

26.04.2024 ( Aggiornata il 26.04.2024 17:05 )

Pagina nera, scritta rossa a caratteri cubitali: "È morto Senna". Così Autosprint aveva deciso di titolare il numero in uscita il 3 maggio 1994, quello immediatamente successivo alla scomparsa di Ayrton Senna ad Imola. Ma ce n'è stato un altro, di numero, che per certi versi ha fatto la storia più del numero precedente: è il numero che arrivò in edicola la settimana dopo, con il titolo "Il sospetto", contenente il servizio che dette il via, di fatto, a tutto il processo sull'incidente al Tamburello. Questo ed altro oggi rivive nel primo libro di Franco Nugnes, all'epoca vicedirettore di Autosprint. Tre decenni dopo, Franco ha deciso di mettere tutto in un'opera intitolata "Senna - Le verità" (disponibile da mercoledì 24 aprile in libreria e su tutte le piattaforme), la quale riporta alla luce non tanto e non solo l'incidente, quanto tutta la lunga inchiesta che ne seguì con Autosprint in prima linea nella ricerca della verità. 

Il lancio del libro è avvenuto insieme all'inaugurazione della mostra dedicata ad Ayrton Senna a 30 anni dalla sua scomparsa, organizzata al Museo dell'Auto di Torino.

Non è mancata occasione di scambiare quattro chiacchiere con Franco Nugnes, e ripercorrere con lui i perché ed i percome alla base della sua prima fatica letteraria. 

Franco, partiamo con una domanda che tanti lettori si sono fatti: perché uno con la sua esperienza ci ha messo 30 anni prima di scrivere questo libro?
"Quando ho finito l'inchiesta con Autosprint, e una volta accertata a livello processuale la verità della rottura del piantone dello sterzo, ho pensato che non ci fosse più niente da dire. Per cui ho raccolto il materiale informativo, le immagini e quant'altro ed ho messo tutto in uno scatolone in cantina. Per me era un discorso chiuso. E non nascondo che ogni primo maggio per me è sempre stato un po' una sofferenza, nel vedere i vari ricordi ma anche chi si professava amico o amico degli amici di Ayrton. Carlo Cavicchi però, all'epoca direttore di Autosprint, negli ultimi anni ha cominciato con l'atteggiamento della goccia d'acqua, puntuale: ogni volta che ci vedevamo, diceva che era il momento di buttare giù tutta l'esperienza vissuta. E nel momento in cui ci si libera del dolore per la tragedia vissuta in diretta e di tutti quei condizionamenti che come redazione abbiamo vissuto, mi sono reso conto che alla fine l'idea era giusta. Così, anziché limitarmi ad aprire la scatola dei ricordi che avevo chiuso a suo tempo, da matto quale sono ho cominciato a ricontattare tutte le fonti che in qualche modo avevano avuto a che fare con la tragedia di Ayrton, come ad esempio il fotografo Angelo Orsi, suo amico, oppure l'ingegnere Giorgio Ascanelli, che di Senna era stato ingegnere di pista. Ci sono stati tantissimi altri contatti, e devo dire che secondo me la ricchezza del libro non è tanto ciò che scrivo io, quanto l'umanità che emerge dal racconto, a distanza di 30 anni, di una situazione tragica che porta a far vivere a queste persone emozioni forse non venute fuori neanche all'epoca".

A proposito di emozioni dell'epoca: come tutti gli altri lei stava seguendo la gara in redazione, giusto?
"Sì, è così".

Qual è stata la primissima sensazione appena visto l'incidente? Come è stata vissuta quella giornata nella redazione di Autosprint?
"Per noi era inconcepibile che 'Magic', il migliore, potesse essere quella figura inanimata dentro l'abitacolo di quella Williams FW16 ferma al Tamburello. Ci aspettavamo che sarebbe saltato fuori dalla macchina da un momento all'altro, per cui inizialmente risultò inaccettabile il pensiero che potesse aver avuto qualcosa di grave. Poi però con il passare del tempo... Non dimentichiamoci il clima che stavamo vivendo in quel weekend: il botto di Barrichello al venerdì, l'incidente mortale di Ratzenberger al sabato, la gomma finita sulle tribune alla partenza. In quella situazione, un po' alla volta, siamo entrati nel concetto del dramma. C'era silenzio totale, eravamo tutti attaccati al televisore ad aspettare le possibili buone notizie che non arrivavano. Poi purtroppo la consapevolezza che fossimo di fronte a qualcosa di terribilmente serio l'abbiamo avuta nel momento stesso in cui l'elicottero dei soccorsi è passato sopra le nostre teste, perché l'elicottero passò proprio sopra la redazione in direzione Ospedale Maggiore di Bologna. Quella è stata una sensazione terribile".

La settimana dopo Autosprint uscì con il famoso numero con copertina nera, quello in cui Gabriele Tarquini notò, sfogliandolo, il piantone rotto. Chiamò immediatamente in redazione e da lì mise in moto la macchina dell'inchiesta.
"Sì, Tarquini segnalò l'anomalia. Noi guardavamo le immagini con il focus sul corpo di Ayrton steso a bordo pista, invece l'attenzione di Gabriele andò immediatamente al piantone dello sterzo rovesciato, ai cavi elettrici ed al volante per terra. La reazione immediata fu telefonare al dottor Domenico Salcito (il dottore presente sulla Medical Car, ndr), per chiedere se lui o qualcuno dei suoi colleghi avesse tagliato il piantone. Ognuno lavorò in maniera molto 'meccanica' facendo il suo compito, parlo dei medici, e ci fu confermato che nessuno aveva toccato niente. Lì nacque lo stimolo per fare l'inchiesta, la quale ha poi portato in qualche modo a scoprire la verità".

La storia ha confermato che Autosprint fu centrale nella ricostruzione di quella vicenda. Come è stato vivere dall'interno quella situazione all'epoca? È stato orgoglioso di aver fatto parte di quella redazione?
"Sicuramente mi porto dietro l'idea che ci fosse un gruppo di lavoro straordinario in quella redazione, era una redazione fantastica. Abbiamo lavorato spesso sotto traccia e talvolta anche borderline per raccogliere le informazioni che un po' alla volta venivano fuori nonostante i forti tentativi dell'ambiente inglese, in generale del mondo della Formula 1, di sviare ogni indagine e portarla in un punto morto. A distanza di 30 anni dunque sì, emerge l'orgoglio, perché mi rendo conto che facemmo questo lavoro da soli, senza nessun altro giornale al fianco, perché non c'era un grande seguito mediatico ad andare dietro alla nostra inchiesta, anzi abbiamo visto spesso posizioni contrarie alle nostre. Riguardando dunque il lavoro a distanza di tutto questo tempo, c'è grande soddisfazione e rendo il merito al direttore dell'epoca, Carlo Cavicchi, per aver insistito. Noi ogni settimana in copertina mettevamo un simbolo che era un piantone tagliato, dicendo 'cerchiamo la verità'. Io non ho mai saputo, se non anni dopo, che sulla casa editrice, nonché sull'editore e sul direttore, erano arrivate richieste per querele di miliardi di lire. Magari, se lo avessi saputo, qualcosa nella penna me lo sarei tenuto, proprio per il timore di recare qualche danno all'azienda per la quale stavamo lavorando. E invece, andammo andati avanti senza temere niente e nessuno".

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A tal proposito, come è stato negli anni successivi il rapporto con i diretti interessati? Parliamo dei vari Frank Williams, Patrick Head, Adrian Newey e di tutte le altre persone appartenenti al mondo delle corse.
"Ho parlato anche recentemente con Patrick Head, che in quel momento era sì il direttore tecnico, ma aveva attribuito a Newey il compito di curare la FW16. Adrian era in un momento in cui non riusciva a capire il comportamento di quella macchina, nata pensando di utilizzare le sospensioni attive e poi adattata per le passive. Quella vettura aveva delle perdite repentine di carico aerodinamico dovute ad un qualcosa nella carrozzeria che andava a stallare. La sua priorità era mettere a posto questo aspetto aerodinamico della monoposto, e si è completamente disinteressato delle difficoltà di Senna a stare dentro a quell'abitacolo, nel quale non poteva utilizzare un volante dal diametro più grande come aveva sempre fatto. Con Patrick coinvolto a gestire la squadra e Adrian a cercare la soluzione aerodinamica per rendere la macchina competitiva, affidarono il lavoro sul volante a due giovani ingegneri che, lasciatemelo dire, hanno combinato un mezzo disastro, perché utilizzarono materiali non adeguati alla F1. Questi ultimi abbassarono il piantone per evitare che le nocche di Ayrton sfregassero contro la scocca in un modo rivelatosi disastroso. Però Patrick Head, quando nei mesi scorsi a distanza di 30 anni gli ho rimandato le immagini, ha detto che quelle lavorazioni non furono fatte secondo quello che era lo 'stile Williams'".

Dunque nonostante la faccenda si è cercato di mantenere un equilibrio con le persone coinvolte, sia dal punto di vista della testata sia dal punto di vista del rapporto umano.
"Di Adrian Newey io ho una grandissima stima per le vetture che è in grado di progettare, e lo considero certamente il miglior progettista degli anni recenti della F1. Quella è una macchia che lui patisce in modo molto forte. Ho letto con attenzione la sua autobiografia ed emerge in modo molto chiaro la responsabilità che ha avvertito per quell'incidente. Dunque io credo che non siamo noi uomini a dover giudicare, ognuno ha la propria coscienza".

Tornando al discorso della redazione di Autosprint: quella sua esperienza e l'essere stato all'interno di quella redazione è stato fondamentale per la stesura di questo libro?
"Rispondo immediatamente dicendo che se non ci fosse stato Autosprint, non ci sarebbe stata nemmeno l'inchiesta giornalistica, e di conseguenza neanche il libro sarebbe mai nato, credetemi. Se i lettori ricercano i nomi di quella redazione, scopriranno nomi di colleghi i quali tutti quanti nel mondo del giornalismo da corsa hanno avuto l'opportunità di fare una propria carriera, segno che il brodo di coltura che c'era allora in quella redazione era un qualcosa di straordinario e forse irripetibile".

Ultima domanda: dopo questo libro le è venuta voglia di scriverne altri? 
"Non ne ho la più pallida idea! Ho impiegato 30 anni per scrivere il primo, ma sono dell'idea che bisogna cimentarsi e scrivere un libro solo nel momento in cui si ha qualcosa da raccontare. Dunque, se dovessi trovare un tema interessante, non lo escluderei, perché scrivere un libro è un esercizio molto bello, impegnativo e diverso dall'essere giornalisti, ma bisogna avere l'argomento giusto. Ne deve valere la pena".

All'Autodromo di Imola l'evento in ricordo di Senna e Ratzenberger


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