Binotto-Audi, voglia di riscatto: una caricatura da cancellare e dei risultati da conquistare

Binotto-Audi, voglia di riscatto: una caricatura da cancellare e dei risultati da conquistare© Getty Images

Mattia Binotto torna in F1 dalla porta principale, come capo Audi: compito complesso date le condizioni del team attuale, ma con l'ambizione di crescere e raggiungere con i Quattro Anelli i traguardi mancati in Ferrari

24.07.2024 ( Aggiornata il 24.07.2024 12:11 )

Alla fine la Svizzera era nel suo destino, per il semplice motivo che in Svizzera ci è nato. Perché Mattia Binotto viene da Losanna ed in territorio elvetico, nonostante origini e cultura tipicamente emiliane, ha vissuto gioventù e prima parte di un percorso accademico che lo avrebbe condotto alla Ferrari. L'unica squadra, prima di oggi, ad averlo visto attivo in Formula 1. Ma siccome la storia ama una certa ciclicità, ecco che Mattia Binotto è pronto a tornare: lo farà ad Hinwil, presso la Sauber destinata a divenire Audi.

Che incarico!

Si completerà, così, quello che nel dicembre 2022 sarebbe potuto sembrare utopia: uno scambio Vasseur-Binotto alla guida di Ferrari e Sauber. Lo scambio effettivamente c'è stato, con metodi e tempi diversi. Uno scambio che solo la storia dirà chi ha favorito, nella consapevolezza che oggi, dire chi ha il compito più difficile e ingrato, è complicato. Perché se è vero che a Maranello non vincono dal 2008 e che là la pressione è sempre enorme, è anche vero che guidare lo sbarco di un marchio importante come quello dell'Audi nel Circus tanto più facile non è: tant'è che Andreas Seidl, designato come il messia per il gruppo tedesco, è durato meno di due anni nonostante un contratto fino al 2030. Seidl è stato uno capace di vincere a Le Mans con la Porsche, di ristrutturare la McLaren ricostruendola dopo le macerie del post Alonso e di meritare la totale fiducia da parte della casa dei Quattro Anelli. Una storia finita anzitempo: a Ingolstadt si parla di un malcontento per un reclutamento meno ambizioso del previsto quale una delle cause principali dell'allontanamento. Seidl, inizialmente, aveva carta bianca per operare: solo che, a quanto pare, in Germania non è affatto piaciuto il suo staccarsi totalmente dal team attuale, che nel frattempo è sprofondato all'ultimo posto tra i Costruttori. Questo ha reso l'attuale Sauber meno appetibile sul mercato, sia per i tecnici che per i piloti: tant'è che nonostante un bel budget a disposizione, non sono arrivati nomi di grido, James Key a parte. Ecco in che razza di faccenda si è andato ad infilare Mattia Binotto.

Audi così ha già tritato il primo grande nome ancor prima di cominciare. E questo spiega perché non sarà facile, per Mattia Binotto, lasciare il segno. In fondo, anche per lui è tutto nuovo: in Ferrari è andato per gradi, scalando le gerarchie con bravura ed un pizzico di politica, ad Hinwil invece sarà l'uomo di punta in un ambiente che, contrariamente a Maranello, dovrà scoprire e conoscere metro quadrato per metro quadrato. Condizione diversa dunque rispetto alla Ferrari, dove conosceva pregi e difetti di ognuno, avendo vissuto con il Cavallino 27 anni di carriera. 

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Autorità eccessiva

L'esperienza di Maranello, per quanto vasta, è l'unica che Mattia Binotto potrà portare con sé. Nell'augurio che sia stata utile per attuare un piano organizzativo e gestionale diverso, quantomeno in alcuni punti critici. Di lui si è sempre apprezzata la dedizione al lavoro, perché ha sempre privilegiato la quantità, prendendo spunto dalle abitudini di Jean Todt, che in ufficio praticamente viveva. Non è stata dunque la dedizione, a fregare il Mattia Binotto team principal alla Ferrari, bensì una certa autoreferenzialità e la sua incapacità di delegare. A Maranello si era praticamente fatto terra bruciata intorno: se lo chiamavano il Faraone, del resto, un motivo ci sarà. E al di là dell'aspetto apparentemente mansueto, non erano piaciute certe ombre del suo carattere: non sapeva delegare, non sapeva fidarsi, ed aveva creato un clima per cui i membri del team venivano rimproverati se pizzicati a salutare Toto Wolff oppure ad applaudire un successo di Lewis Hamilton sotto al podio.

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Condannato dai numeri

A Maranello non poteva andare avanti così, anche perché dopo la guerra intestina con Maurizio Arrivabene erano necessari i risultati. Vinta quella guerra, bisognava dimostrare di aver meritato la fiducia: non è da tutti, passare da direttore tecnico a team principal. I numeri però a Mattia hanno dato torto: 7 GP vinti in quattro anni, la metà esatta del suo predecessore nello stesso lasso di tempo. E sono cose che si pagano, in una Ferrari che aveva mal digerito la questione del "motorone" 2019 o certi atteggiamenti troppo autoritari, come il dito indice sventolato in faccia a Charles Leclerc a Silverstone 2022.

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Audi: quello che Mattia voleva

In Ferrari di Binotto, inteso come eredità, non è rimasto di fatto più nulla. Fuori Mekies, Sanchez, Cardile e Sainz, giusto per dire dei nomi più chiacchierati. Quello stesso Sainz che oggi torna in voga come nome per la futura Audi, più altri ferraristi che come lui potrebbero prendere un biglietto di sola andata verso Hinwil: del resto Audi Mattia Binotto lo ha chiamato anche per questo, per aumentare un reclutamento di personale (a tutti i livelli: telaistico, aerodinamico e motoristico) che con Seidl non ha convinto. Binotto eredita una situazione delicata, perché Audi o non Audi parliamo dell'ultimo team della griglia: ma ha vinto la sua scommessa di rientrare in F1 dalla porta principale, e con un incarico di prestigio, proprio quello che voleva uno come lui, incapace di accettare un passo indietro (non avrebbe voluto solo un incarico "tecnico" senza quello "gestionale"). Perché al di là delle polemiche del passato, essere investiti da una carica del genere da parte di un marchio importante e globale come quello dell'Audi provoca oneri e onori, oltre ad un senso di orgoglio che ad uno orgoglioso come Mattia Binotto non può che fare piacere.

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Voglia di riscatto

E' dunque finito il tempo della vendemmia, il tempo del relax lontano dalla F1. Ora è tempo di rimettersi in marcia. Mattia Binotto: una moglie, due figli, tre lingue parlate, un'unica fede (quella interista), è pronto a tornare. Da avversario di quella Ferrari in cui non tutti hanno nostalgia di lui e del suo modo di comandare, e da professionista che, si spera, possa aver fatto tesoro delle esperienze passate, sia belle che brutte. Mattia è uno che sa anche godersi la vita: ama bere, mangiare e nelle feste non si tira indietro quando si tratta di scendere in pista, intesa quella da ballo. Ora torna in pista sul serio, quella fatta di motori e asfalto. Laddove da ambizioso tecnico prima e capo squadra poi era diventato caricatura, con quel Maurizio Crozza che tra il serio ed il faceto aveva contribuito ad aumentarne la popolarità. Qui si tratta di capire se Mattia Binotto può essere davvero un capo vincente o no: ad Hinwil se lo augurano. A Maranello, probabilmente no: veder vincere con altre case un'altra figura uscita non senza polemiche dai cancelli di Maranello comporterebbe l'ennesima riflessione da fare.


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