Le prestazioni meravigliose, inarrivabili e gioiose di George Russell impallano Hamilton. Il quale resta il n.1 del Circus e della Mercedes, ma..
E adesso che cosa facciamo, finta di niente? Ricordate più o meno il contenuto di questa rubrica il giorno dopo dei momenti più trionfali di Lewis Hamilton in questa stagione? Pieno mio riconoscimento alla classe del Migliore di questa Formula Uno, lode ad Hammer, perché la realtà non si contesta ma si interpreta, però anche totale contrarietà a qualsiasi paragone tra il Re Nero della scacchiera e lo Schumacher del ciclo Ferrari.
Primo, perché Schumi quella Rossa vincente l’aveva creata e praticamente costruita da zero, in quattro anni di purgatorio, secondo perché al volante della Mercedes turboibrida è un tantino comodo vincere gli ultimi quattro titoli mondiali dovendo battere - lo ripeto -, solo e soltanto Bottas. Onesto e bravissimo pilota, Valtteri, per carità, ma nel sistema Wolff nato, mantenuto e pagato apposta per esser battuto, appunto e punto.
Ecco, ora che George Russell ha vissuto uno dei weekend agonistici più belli, entusiasmanti e sfortunati in tutta la storia della F.1, ribadire le stesse cose che sostenevo qualche settimana fa diventa molto più facile e agevole, diciamo pure quasi scontato. E comunque continuo a farlo, visto che resto completamente d’accordo con me.
Perché se arriva un ragazzo dalla parte giusta dei suoi vent’anni, facciamo ventidue e mezzo, dopo due stagioni a zero punti in casa Williams, sale a bordo della W11 immaginata molto più al simulatore che non dal vero, e si issa subito in prima fila, stradominando la gara e perdendola per colpe assolutamente non sue, facendo strame di un Bottas inquietante per tutto il weekend salvo il momento della pole position, be’, allora, qualche considerazioncina di quelle destrutturanti, demolenti e rivelatrici viene spontanea anzichenò.
Per carità George Russell è un pilota meraviglioso e un campione in divenire, sia dato pieno merito alla sua gara memorabile e poco baciata dalla buonasorte, ma viene spontaneo anche pensare che almeno mezzo schieramento di partenza in questo momento sarebbe in grado di prendere la Mercedes di Hamilton e di vincere un Gran Premio, perlomeno contro il Bottas moscio, demotivato e depresso di questo fine di stagione.
E la verità è che il Gran Premio di Sakhir, il secondo di fila in Bahrain, diventa d’amblé la gara più spettacolare, interessante, rivelatrice e gravida di conseguenze di tutto il mondiale. Perché a volte la realtà delle cose, con lo scorrere del tempo, non cambia, ma, molto più semplicemente, si rivela. E allora diciamolo: sul circuito più corto, più rimediato e meno tormentato del mondiale, si assiste non a caso alla gara più spettacolare, interessante e ricca di colpi di scena, nonché fittissima di infilate più che vibranti.
Perché il problema di questa F.1 moderna è anzitutto quello di correre inesorabilmente troppo spesso in tracciati intestinali, orrendamente avvelenati da curve, curvette, rampini, tornanti e pieghe isteriche. Basta per una volta drizzare il senso di marcia, realizzare il layout più semplice, scontato e ruffiano, e improvvisamente le belve son più libere di ruggire e lo show ne guadagna, alla grande. Ci voleva Stephen Hawking per capirlo?
Punto due, con questa Mercedes una figurona mica male l’avrebbe fatta anche la nonna di George Russell, ma questo non toglie che il nipote sia tosto davvero e che in una domenica intensa, strana e ingenerosa come quella di Sakhir sono tanti coloro che hanno cominciato ad amarlo come quando si ama uno che ha subito una mitragliata di ingiustizie nel giorno in cui meritava solo lodi e gioia.
D’altronde la storia di George ricorda quelle che in genere il destino voglia accadano quando un Signor Nessuno all’improvviso si ritrova da supplente la macchina vincente in mano e ci si mettono tutte perché non possa godere appieno dell’opportunità.
Tanto che nei giorni scorsi mi torturava, al pensiero di George in W11, la vittoria mancata di Jarier in Canada 1978 quando finalmente poté sfruttare appieno la meravigliosa Lotus 79 in un anno in cui il francese faceva addirittura fatica a qualificarsi, tanto da dedicargli in questo numero un Racconto della Passione precotto di ben sei pagine.
Se andate a leggere quella storia, da una Regina Nera all’altra, similitudini e filosofia di base restano parallele e egualmente valide in modo addirittura inquietante.
La verità è duplice: quando all’improvviso ti ritrovi in mano la macchina vincente, anche in genere se giri anonimamente nel mucchio, nella F.1 moderna puoi trasformarti nel giro di poche ore in un vincente. A patto che tu comunque valga qualcosa, come pilota, eh, sennò no. E una. La seconda morale è che queste chance il più delle volte finiscono in un nulla di fatto, quasi che, per dirla alla Stephen King, il corso del destino sia viscoso, refrattario e ci goda a difendersi per non essere cambiato.
Jarier è uno che di solito in F.1 non vince. Okay, in Canada 1978 domina ma rompe, non per colpa sua. Salo su Ferrari potrebbe trionfare a Hockenheim 1999? Manco per idea, ci pensa un avveduto ordine di scuderia a trasformarlo in un riluttante ma correttisimo benefettore.
Russell su Mercedes esalta tutti sull’ovalino ammaccato di Sakhir? Ci si mette il team a far casino, con un pateracchio al cambio gomme e poi ci pensa uno pneumatico ad andare in crisi, rovinando la giornata a George, a Toto e un po’ a tutti noi, che, a prescindere dalle propensioni di tifo, di quella fuga indomita del ragazzino a quota zero ci siamo innamorati un po’ tutti da casa, strada facendo, no?
E così alla fine va a vincere Sergio Perez, il primo ex positivo di Covid-19 che fa suo un Gp iridato e anche il futuro disoccupato più felice del mondo, al volante dell’unica Casa automobilistica del Circus che diventa contemporameamente vincente e morente, perché da qui a un mese cambierà nome e presumibilmente colore nonché sicuramente ragione sociale, divenendo Aston Martin.
Insomma, non poteva esistere Gran Premio più strano, difettivo, anomalo e rivoluzionario di quello disputato sul layout inedito di Sakhir. Con Russell che ad ogni giro in testa faceva calare di trecentomila dollari - per vero o falso che sia è così - l’entità della cifra che Hamilton strapperà per il rinnovo alla Mercedes. Piaccia o non piaccia, Sakhir 2 è la gara più rivelatrice, emblematica e severamente sincera della stagione.
Dicendo cosa? Vediamo. In questa Formula Uno non esistono superuomini ma esiste eccome una Supermacchina, tra l’altro da ben sette stagioni e quattordici titoli mondiali a questa parte. Peraltro nelle condizioni, tra un annetto esatto, di passare tranquillamente a sedici. Con Hamilton candidatissimo a raggiungere quota otto, dovendo lottare, per riuscirci, solo col solito compiacente Bottas, mentre Perez manco ha il posto sicuro.
Certo, se ci fosse stato Bernie Ecclestone al timone di questa F.1, mentre avete tale numero di AS in mano, sarebbe già ufficiale il (ri)passaggio di Bottas alla Williams e quello di Russell alla Mercedes in quota 2021, con Perez alla Red Bull al posto di Albon e una cinquantina di cavalli in arrivo a far compagnia al Cavallino per renderlo più rampante. Fatto sta che nel weekend in cui Mick Schumacher col numero 20 vince il campionato F.2 2020 a 20 anni dal primo titolo vinto dal padre in Ferrari, a uscirne alla grande è anche, di riflesso, la figura di papà Michael.
Perché, sorry, i fatti a suo favore restano molto più stringenti che non i numerini in quota Lewis Hamilton, nell’era turboibdrida dello strapotere Mercedes. In fondo, vincere mondiali dovendo battere solo Bottas è come avere il salvacondotto per diventare leggenda con la garanzia della mutua.
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