Paura di partire per un acquazzone, pause infinite, Safety-car usate col braccino e righe bruciate in piena gara che vengono ignorate. Ma cosa cavolo stanno facendo i padroni dei GP?
Se devo dire tre cose che mi hanno fatto ribrezzo del GP di Monaco proprio non riesco, perché me ne viene solo una, ossia questa: tutto. Tanto per cominciare, ma cos’è questa isteria del bagnato? È Formula Uno, Cristo, mica sono le bocce subacquee! Partite, Giuda ladro, avviatevi, cosa mai state lì ad aspettare ore sane? Siete pagati fantastiliardi perché questo è uno sport estremo, è quasi un secolo che si corre a Montecarlo e spesso piove, anche tanto e anche troppo, ma mai erano state fatte tutte ’ste scene da suorine impazzite. Anzi, le pagine più belle della F.1 sono state scritte a Montecarlo, col circuito a lago. Basta, avete stufato una volta per tutte. Magari i vecchi nelle RSA avessero la stessa assistenza intensiva che hanno i piloti in F.1. Ormai è sufficiente vedere due gocce d’acqua a dieci minuti dal via e ai Federali s’asciuga il palato, gli si alza la pressione, vanno in crisi gestionale e non sanno fare altro che rimandare, rimandare, rimandare, hai visto mai che spiove.
Da che mondo è mondo a Montecarlo si corre anche se piove e tanto, sennò Beltoise non avrebbe mai vinto l’ultimo GP per la Brm nel 1972 e Senna e Bellof non si sarebbero mai rivelati al mondo in quel fantastico GP accorciato del 1984, quando Marcello Sabbatini dalle colonne di Rombo, buonanima, accusò l’80% dei piloti d’essere renitenti al rischio. Ovunque Marcellone sia ora, in qualsiasi dimensione parallela stia vergando il suo articolo di fondo, non oso immaginare cosa starà scrivendo e torno a pensare al mio, di articolo, che è meglio.
Limitandomi a dire che da Monaco 2022 l’establishment della F.1 esce a pezzi e fa cilecca, a tutti i livelli. Altro che Michael Masi, qui è il sistema che non funziona, non trasmette autorevolezza e tantomeno credibilità. Tanto per cominciare, puntualmente, la direzione gara - da chiunque sia condotta - quando si tratta di dare il via a una gara bagnata va nel panico. È dall’incidente a Jules Bianchi che questa sorta di trauma collettivo proietta un’ombra quasi paralizzante ed è ora di dire le cose belle chiare: o smettiamo di piangere o smettiamo di correre. O ce la piantiamo di tremare o chiudiamo baracca e burattini, che è più coerente.
Le corse sono pericolose. Facciamocene una ragione. Possono e, per certi versi, geneticamente devono esserlo, sennò è finita. Come diceva in modo sacrosanto Nico Rosberg a Sky. "Se siamo pagati così tanto è anche perché dobbiamo prenderci dei rischi", punto.
Vedete, è proprio la filosofia, l’environment, l’aria che si respira che hanno ormai qualcosa di ideologicamente sbagliato, di andato a male, di patinatamente marcio. Sento descrivere da sedicenti esperti le problematiche della guida, il senso della sfida, il contesto di gara e piovono frasi che trasudano titanica drammaticità, pericoli maligni che incombono, sfide quasi gigantesche che questi poveri ragazzi sono costretti a lanciare in un mondo cattivo sottoposto a un destino bastardo porco...
Cioè, stiamo scherzando? I livelli di sicurezza sono ai massimi immaginabili, si corre in condizioni di rischio ultraragionevole e in situazioni esponenzialmente bonificate, tranquillizzate e sverminate rispetto financo al passato recente e ancora non va bene? Perché continuate a distruggere questo Sport?
La F.1 si chiama 1 perché poi non c’è altro. La lotta è e deve essere estrema, sotto ogni punto di vista. La F.1 è come la vita: vivendo e correndo può succedere di tutto. Conosco una signora ottantenne che andando a messa s’è rotta un femore al momento della comunione, perché una sua amica è scivolata prendendo l’ostia e franandole addosso a forbice. Capita. C’est la vie. Ma non per questo d’ora in poi ci si comunicherà in fila al ralenty, tutte pregando dietro a Bernd Maylaender.
A me la F.1 delle diecimila precauzioni e delle mille paure non piace. Di più. Mi fa un tantino schifo. Qualche lustro fa Bernie Ecclestone aveva lanciato le gomme “Monsoon”, ossia una mescola ognitempo con la quale si poteva correre perfino in caso di alluvione, fortunale o blizzard di neve. Perché giunti a una certa ora, bisogna avviarsi, punto, visto che il Motorsport non è disciplina per partenti riluttanti, ma per gente che a un certo punto ci dà del gas. Se dimentichiamo questo, non siamo da Montecarlo ma da Montecurling, con tutto il rispetto per il curling che è uno Sport meraviglioso e per puri ultraprecisi ma non altrettanto per duri, ecco, né tantomeno per gente dotata di piede pesante e pelo sullo stomaco. E neanche voglio dare ascolto alla voce che gira nell’ambiente, la quale dice birichina che in realtà a Montecarlo sarebbe stato il semaforo a far le bizze, prendendo poi la scusa dell’acqua per salvare la faccia del via rimandato. No, non voglio neanche approfondire, per carità.
Piuttosto, di quelle due righe bruciate in uscita pit-lane dai due Red Bull Boys, chi più chi meno, tra Perez e Verstappen, ne vogliamo parlare? No, dico, ma con che faccia la Federazione disciplina la F.1, proponendo ad ogni Gran Premio le stesse regole applicate però di volta in volta in modo diverso? Che tipo di certezza del diritto vige in F.1? Quale chiarezza esiste e persiste, nello sport più estremo, costoso e lussuoso del pianeta?
Ho visto Ocon punito con cinque secondi di time penalty che gli hanno rovinato la gara per una resistenza maschia su Hamilton, ma neanche il fumus di una vera indagine nei confronti delle decisive violazioni dei due piloti dell’Energy Drink Team. Cioè, a parti invertite, se la Ferrari avesse vinto con una riga spaccata, Horner e Marko avrebbero tirato giù dal letto il Principe Alberto, invece niente, nada giustizia. Ma come, per anni e anni ci inculcano e ci introiettano che qualsiasi bruciata di linea, seppur millimetrica, verrà sanzionata con inesorabile spietatezza, come se non peggio del fuorigioco nel calcio, poi Perez e Verstappen questo fanno in mondovisione - come impietosamente comprovato dal miriadi di ralenty i quali comprovano che i fattacci, seppur di poco, sono avvenuti eccome -, e tutti zitti e beati, indagini zero, dibattito meno uno e buonanotte al secchio. Ma perché costoro non trovano mai dieci minuti di tempo per vergognarsi? E mi rivolgo a tutti i padroni del vapore della F.1, nessuno escluso.
Per quale motivo sono così gelidi, inamovibili e formalisti solo quando c’è da tosare spettatori e organizzatori, mentre sanno diventare liquidi, elastici ed evanescenti quando si tratta di stirare i regolamenti come la pelle dei cosiddetti, nascondendo sotto il tappeto tonnellate di magagne in sede applicativa? O mettendo il braccino quando c’è da prendersi qualche rischio nella gestione di una corsa, neh? No, dico, ma esiste una giurisprudenza in F.1, ossia un corpus di princìpi stabiliti, osservabili e comprovati da orientamenti costanti dell’apparato giudicante? Secondo me no. Ogni domenica, a seconda di come gira il boccino a chi comanda, si prende una decisione. Giusta o sbagliata ma raramente costante per due o tre weekend.
Al termine di un GP come quello di Monaco 2022 il retrogusto è nauseante, mefitico, farragginoso e di chiaro v’è solo che la Formula Uno versa in cattivissime mani, tra l’altro pelosamente consapevoli di congetturare la maggior parte delle questioni spinose in modo del tutto incomprensibile per l’opinione pubblica e con estrinsecazioni decisionali fin troppo puntualmente indignanti.
Per questo la conclusione unica che s’affaccia guardando le varie problematiche del GP di Montecarlo è questa: Michael Masi non era il problema e cacciarlo non certo la soluzione. Masi ha sbagliato tanto, troppo, a suo tempo, certamente, non perché incapace ma poiché partorito, condizionato, coartato e influenzato da un sistema paludoso, pasticcione e maleodorante, che in gran parte è tutto ancora giulivamente e baldanzosamente in carica e di moda. D’altronde, che palle con sta cosa del Gran Premio più glamour e fashion dell’anno. Noi del Motorsport siam gente che guarda solo alla sostanza e per niente alla forma. E l’idea di una discilpina perbenino, sfavillante, glitterata, politically correct, tutta apparenza e niente succo e valori veri, non ci può andare bene. No. Non l’accetteremo mai. E la lezione che arriva dalla trama monegasca frammentaria, caoticamente gestita e scarsamente accettabile in termini di credibilità, è che la F.1, ancor prima di cercare quale sarà il più forte e meritevole pilota del 2022, deve ritrovare anzitutto se stessa.
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