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Michael Schumacher, 10 anni dopo

La verità e il senso della vita di Schumi dopo il terribile incidente sugli sci di Meribél

Mario DonniniMario Donnini

28 dic 2023 (Aggiornato il 29 dic 2023 alle 12:02)

Dieci anni dall’incidente sciistico di Michael Schumacher a Meribel. Dieci anni di una vicenda personale che appare filtrata da lontano come un tunnel crudele e insondabile. Dieci anni da un momento che ci ha messo per la prima volta di fronte a una realtà mai vissuta prima. Fin lì i campionissimi o c’erano o non c’erano. O vivevano o morivano. Da Schumi e con Schumi terribilmente infortunato accade purtroppo una cosa diversa e mai vista prima, per un superdivo dello Sport a livello planetario, benché da poco ritiratosi dall’attività. C’è e non c’è, è vivo ma non interagisce. Non inteviene, non può farlo, ha domicilio mediatico sol perché se ne parla e se ne ragiona, molto spesso a sproposito, giocando a indovinare invece di rispettare, a carpire al posto di capire. E così nel mondo iperconnesso h24, in cui chiunque sa e si racconta come vuole, uno tra gli uomini più conosciuti del mondo diventa improvvisamente impercepibile. Svanisce, si decontestualizza, perde domicilio mediatico per scelta dei suoi cari, i quali ritengono di non dover far altro che curarlo, custodirlo e proteggerlo.

Non eravamo abituati a sentirci dire “mi dispiace, la famiglia vuole che la scelta di riservatezza sia compresa, per cortesia statene fuori”. Tutto fin lì era stato a rischio, in altri casi non uguali ma assimilabili, di una specie di parassitismo guardone del dolore e della sofferenza. Da Schumi in poi e con Schumi no. Chi a fatica e chi con empatia, impariamo tutti, sperimentandolo in pratica che un limite alla curiosità, all’interesse, perfino al diritto di cronaca nudo e crudo, può e deve esserci. Oltre è vietato andare. Forse non solo perché lo impone la famiglia, ma anche per una tutela valoriale del diritto alla privacy di colui che soffre e al rispetto del dramma e della riservatezza dei suoi cari. E per uno strano e severissimo capriccio del destino, proprio oggi va preso atto che i due campioni più d’ogni altro in grado di dare pareri, opinioni, suggerimenti e orientamenti e critiche sull’automobilismo d’oggi, non possono farlo. Perché sia Michael Schumacher che Alessandro Zanardi, pur in contesti differenti, sono costretti al silenzio e all’isolamento. Sorte che pesa e che non può che essere accettata, col garbo e con l’empatia, i soli sentimenti che ci sono concessi, poiché oltre non avrebbe senso alcuno andare.

Ciò che rappresenta e rappresentava Michael Schumacher fino al giorno dell’incidente lo conoscono e lo ricordano tutti. Ciò che incarna da quel giorno è bene che lo sappia e lo metabilizzi chiunque. Perché è un’occasione di riflessione, civiltà e rispetto. Michael Schumacher da dieci anni continua a stare in quella terra di nessuno che sta tra l’essere e il non essere. E il suo indiretto insegnamento, la laterale lezione di vita che ci proviene, dieci anni dopo, è accettare questo stato delle cose, mandandogli da lontano, semplicemente, dolcemente, un sorriso e una carezza.

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