La bellezza dell'identità Haas

La bellezza dell'identità Haas

La squadra di matrice statunitense è anche un bell’esempio di interazioni multinazionali e a conti fatti è una delle più simpatiche del mazzo

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08.03.2021 12:30

Gene Haas presenta la livrea e già stupisce. Squadra statunitense di Dna, sede a Banbury, in Gran Bretagna, nuova succursale a Maranello al fine d’assumere per osmosi power unit e tecnologia Ferrari, collaudato interfaccia importante con la Dallara, progettista italiano, team principal meranese, un pilota tedesco e uno russo, sponsor pure...

La scuderia melting pot

Dai, alle Nazioni Unite sembra esserci gente meno variegata, certe volte. Il team Haas è uno stupendo esempio di melting pot, di cultura tecnologicamente e agonisticamente inclusiva, oltre che di vocazione a portare in Formula Uno piloti speciali, con vissuti particolari, caratteristiche marcate e tendenzialmente diverse da quelle del solito gregge.

Haas, ecco la nuova livrea

In fondo Romain Grosjean è sempre stato un caso a parte, uno fatto a suo modo, nella buona e nella cattiva sorte, e lo stesso Kevin Magnussen, parla chiaro ma parla poco, a tratti guascone, irriverente e invariabilmente aspro e ruvido come aplomb, rappresenta un’altra storia a sé. E adesso figuriamoci, perché la squadra si lega con due giovanissimi che più opposti non potrebbero essere, ovvero il golden boy Mick Schumacher, determinato ma sorridente, pulito, misurato e giudizioso. La classica bravissima persona ovvero il ragazzo che qualsiasi mamma vorrebbe per genero.

Di contro, al suo fianco, è pronto Nikita Mazepin, strano, ombroso, erratico, non raramente sopra le righe e non esente da critiche per comportamenti eccessivi, magari non gestiti del tutto opportunamente sui social. Insomma, la classica testa calda, non estranea anche a dichiarazioni non improntate al politically corect e allo spirito del classico galantuomo della campagna inglese a fine Ottocento. Bene. Non è questa la sede, né mai sarà, per dare giudizi sommari né per distribuire odiose pagelline.

Il fatto secco e semplice è che a giudicare dalla composizione della formazione farà caldo nei fine settimana di Gran Premio alla hospitality della squadra e di certo, tra le tante che ha il buon Gunther Steiner si ritroverà qualche gatta da pelare in più nella gestione delle possibili intemperanze del più bizzoso dei suoi piloti, da armonizzare con la dolcezza dell’altro che non necessariamente, anzi, manco per niente, significa vulnerabilità.

La WADA indaga sulla livrea Haas

Haas, ambiente frizzate

In poche parole, in un panorama del Circus piattuccio, normalizzato e asettico meno male che in casa Haas ci sono tanti ingredienti caratteriali e possibili scariche psicoelettrostatiche tali da rendere l’atmosfera più ticchettante d’un ordigno: almeno, finalmente, ci sarà ben da divertirsi e non da annoiarsi in caso, che so, di qualche spettacolare mazepinata. Senza tralasciare che lo stesso Nikita, pensa te, al di là dei colori della macchina russeggianti - ovvero rosso, bianco e blu - ispirati tanto da far rinominare l’entità Uralkali Haas F.1 Team, correrà da atleta neutrale per rispettare le restrizioni imposte dal TAS di Losanna dopo la sentenza sul doping di Stato, che ha coinvolto l’agenzia antidoping russa.

Per il resto, ragionando seriamente, il team Haas rappresenta qualcos’altro, in Formula Uno, e, a ben guardare molto di più. A oggi è l’ultimo rappresentante della colonia Usa in F.1, all’interno di una saga iniziata - a parte le edizioni della Indy 500 iridate dal 1950 al 1960, con piloti, vetture e Costruttori tipici degli ovali e in nulla omogenei alla F.1 -, proprio nel 1960 con la Scarab di Lance Reventlow - fatta salva la partecipazione episodica di Rodger Ward su Kurtis Kraft a Sebring 1959 -, e proseguita con l’Eagle di Dan Gurney, la Penske, la Parnelli e la Lola-Beatrice-Haas (qui si parla di Carl, nessuna relazione con Gene), con soltanto Eagle e Penske in grado di cogliere una vittoria a testa, mentre alla Haas come miglior risultato splende il quarto posto di Grosjean in Austria nel 2018, con Magnussen buon quinto. Anno in cui lo stesso team Haas ottiene il miglior piazzamento nella sua storia in F.1 - iniziata nel 2016 con un bellissimo sesto posto di Grosjean in Australia -, col quinto scranno nel mondiale Costruttori assolutamente clamoroso, vista la quantità e la qualità dei rivali in campo.

Le radici USA

Ma c’è dell’altro. Il team Haas ormai è l’ultimo e l’unico nella storia della F.1 a portare il nome e l’impronta del suo diretto creatore ossia l’imprenditore Gene Haas, titolare della Haas Automotive, a incarnare l’essenza di una squadra indipendente non certo piccolissima ma in ogni caso dalle dimensioni tutt’altro che elefantiache. Per certi versi, uno degli ultimi team di assemblatori, per dirla alla Enzo Ferrari, di nobili compositori di puzzle, capaci di dare vita a una diversa fauna all’interno del Circus iridato, composta di comprimari interessanti, di underdog colorati e di outsider se non altro simpatici quanto accattivanti. Perché, vedete, c’è qualcosa allo stesso tempo di antico e nuovo, incistato nei gangli della storia Haas.

La discendenza da una radice fatta di americani che tentano la fortuna in F.1 e anche l’appartenenza alla schiera dei piccoli team che nei decenni non smettono mai, pur se spesso senza speranza, di sfidare i grandi Costruttori. Paradossalmente, da bambino Gunther Steiner s’appassionava a seguire la F.1 delle piccole squadre e, pensa te il destino, proprio con un team indipendente si ritrova a sfogare al muretto passione, competenza e carattere in egual misura forti e al calor bianco.

Haas esempio da seguire

E chissà che in epoca di riformismo in F.1, nell’intento di comprimere le spese e contemporaneamente riaprire la partecipazione anche a nuove realtà, proprio il team Haas non diventi l’esempio di gestione ragionevole e sostenibile, oltre che orgogliosamente libera e indipendente, seppur capacissima di curare adeguatamente negli anni i rapporti con i suoi fornitori italiani di tecnologia, senza misconoscere quindi l’importanza delle interdipendenze settoriali anche nei Gran Premi. In poche parole, anche se la Vf-21 la si vedrà solo in corsia box a pochi minuti dall’inizio dei test e benché i due gettoni di sviluppo non saranno per ora neanche giocati, il team Haas rappresenta già una delle realtà più effervescenti, magnetiche e incuriosenti della prossima edizione del mondiale di F.1. Senza misconoscere che la tanta italianità presente, dal telaio al motore, considerando la fedeltà assoluta all’accoppiata Dallara-Ferrari fin dall’esordio in F.1, alla tecnologia per arrivare alle prossime intuizioni al tavolo da disegno, ce lo fanno sentire vicino e, passionalmente pure, un po’ nostro.


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